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Petrolio

Petrolio, cosa succede in Iraq, Iran, Algeri e Venezuela con la crisi del Covid

È probabile che il petrolio rimanga una delle principali fonti di energia per gli anni a venire. Il momento del picco della domanda è ampiamente contestato, e alcune previsioni stimano sia improbabile che avvenga prima dei prossimi due decenni

Da Baghdad e Algeri fino a Caracas, molte delle capitali petrolifere del mondo stanno vivendo un’estate di malcontento a causa della crisi mondiale innescata dal coronavirus, che potrebbe rappresentare anche uno scorcio su quello che sarà il loro futuro.

Secondo Bloomberg, “l’Iraq sta vivendo proteste importanti della popolazione” a causa del coronavirus, in un periodo in cui la rete elettrica “sta soffrendo il caldo torrido” e “la produzione petrolifera del Venezuela è scesa al minimo storico da 75 anni. Mentre nella capitale algerina, la tensione si sta facendo più forte, poiché le difficoltà legate al blocco dei virus portano al rischio di nuove manifestazioni e rivolte”.

L’INTERVENTO OPEC NON È BASTATO

In un tale contesto, l’intervento dell’Opec ha contribuito a rialzare i prezzi del petrolio dopo lo storico calo registrato in questo periodo. Tuttavia, “i prezzi vicini ai 40 dollari sono ancora troppo bassi per la maggior parte dei membri del cartello, che si trovano ad affrontare economie deboli, governi instabili, popolazioni giovani e irrequiete e le devastazioni del cambiamento climatico. Poiché l’eredità della pandemia e il passaggio a un’energia più pulita minaccia di mantenere i prezzi del greggio più a lungo più bassi, ci saranno profonde conseguenze per il modo in cui saranno gestiti i paesi ricchi di petrolio”, ha scritto Bloomberg.

“I sei paesi traballanti dell’OPEC – Algeria, Iran, Iraq, Libia, Nigeria, Venezuela – stanno affrontando una prospettiva politica ed economica molto precaria”, ha detto Helima Croft, responsabile della strategia sulle materie prime della RBC Capital Markets LLC.

ENTRATE CALATE DEL 50% TRA I PAESI OPEC

Le entrate dell’OPEC sono diminuite di circa il 50% rispetto a un anno fa, e i problemi finanziari ormai di lunga durata dei paesi membri stanno venendo alla ribalta.

ANGOLA E NIGERIA IN DIFFICOLTÀ

L’Angola, paese fortemente dipendente dal petrolio, sta cercando di aumentare di 800 milioni di dollari il prestito del Fondo Monetario Internazionale da 3,7 miliardi di dollari già richiesto. Il Paese insieme alla Nigeria hanno svalutato le loro valute per la mancanza di valuta estera in entrata che ha colpito le imprese locali. Anche l’Iran – colpito dal doppio shock delle sanzioni statunitensi e dal virus – e il vicino Iraq hanno raggiunto un accordo con il FMI.

I PROBLEMI DI ARABIA SAUDITA E ALGERIA

Persino l’Arabia Saudita non è immune da questo periodo storico e ha varato “una serie di misure di austerità nell’ultimo trimestre, mentre si trova a fronteggiare il triplicarsi del suo deficit di bilancio a 109,2 miliardi di riyal (29 miliardi di dollari)”.

In Algeria le tensioni si stanno manifestando da tempo. “L’anno scorso, le rivolte popolari hanno costretto il primo ministro iracheno Adel Abdul Mahdi a dimettersi e hanno posto fine al governo ventennale dell’algerino Abdelaziz Bouteflika”.

PROSPETTIVE FOSCHE

Le prospettive per i paesi ricchi di petrolio, insomma, “sono drammaticamente cambiate rispetto a soli dieci anni fa. Allora il prezzo del petrolio era vicino ai 100 dollari al barile e i consumatori erano preoccupati per l’esaurimento delle scorte. Ora l’Opec deve sempre più fare i conti con la prospettiva di un picco di domanda, quando i consumi iniziano a diminuire con l’aumentare della popolarità dell’energia eolica e solare”, ha sottolineato Bloomberg che citando l’Agenzia Internazionale per l’Energia, ha avvertito che il punto di svolta del settore petrolifero potrebbe verificarsi nell’arco di un decennio anche se il Covid-19 potrebbe aver anticipato i tempi.

LA PANDEMIA HA ACCELERATO COMPORTAMENTI CHE SAREBBERO COMUNQUE ARRIVATI

A maggio, il capo della BP Bernard Looney ha affermato che il lavoro a distanza potrebbe erodere la necessità di carburanti per il trasporto e accelerare il passaggio dagli idrocarburi ad altre fonti. Avendo consumato circa 100 milioni di barili di petrolio al giorno l’anno scorso, la sete di petrolio nel mondo potrebbe non essere mai più così intensa.

“La pandemia accelererà molte delle tecnologie e dei comportamenti che sarebbero venuti comunque – ha detto Amy Myers Jaffe, amministratore delegato del laboratorio di politica climatica della Fletcher School of Law and Diplomacy della Tufts University -. Per i governi che dipendono dalle vendite di petrolio, le implicazioni potrebbero essere gravi. L’idea che avremo un ciclo di crescita che durerà un decennio e produrrà un prezzo del petrolio tra gli 80 e i 100 dollari, e che tutti questi paesi potranno riscuotere il loro profitto sembra meno probabile”.

PICCO DELLA DOMANDA

“Tuttavia, è probabile che il petrolio rimanga una delle principali fonti di energia per gli anni a venire. Il momento del picco della domanda è ampiamente contestato, e alcune previsioni stimano sia improbabile che avvenga prima dei prossimi due decenni. Affinché il petrolio venga spodestato dal trono sono necessari miliardi di dollari di spesa per l’elettrificazione dei veicoli e per l’energia rinnovabile”, ha evidenziato ancora il quotidiano economico.

Alcuni esportatori stanno usando la recessione per diversificare le loro economie. L’Arabia Saudita sta perseguendo la riforma, con il suo programma “Vision 2030” che cerca di sviluppare altri settori come il turismo e la tecnologia. Ma il piano è ostacolato dai tagli alla spesa e dalla lotta per attirare gli investimenti stranieri. E per paesi come l’Iraq, la Nigeria e il Venezuela, che non hanno le tasche profonde del regno, la sfida della riforma potrebbe rivelarsi insuperabile.

I sauditi potrebbero accontentarsi di vedere i prezzi del petrolio rimanere sottotono un po’ più a lungo, essendo consapevoli del fatto che l’eventuale rialzo non farebbe altro che rivitalizzare rivali come l’industria shake degli Stati Uniti, che nell’ultimo decennio ha dato del filo da torcere all’ecort saudita.

Per questo motivo, “colpire la concorrenza potrebbe far guadagnare all’OPEC un po’ di respiro. Le trivelle americane sono state messe in ginocchio dall’ultima crisi, e altre grandi aziende, tra cui la Exxon Mobil Corp., stanno ridimensionando gli investimenti, minacciando di creare in pochi anni un vuoto di fornitura che l’OPEC dovrebbe colmare – si legge ancora su Bloomberg -.Ma un rallentamento dello shale può solo offrire ai membri del cartello una tregua di breve durata, ha detto Ed Morse, responsabile della ricerca sulle materie prime di Citigroup Inc”.

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