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Libia

Petrolio: cosa succede in Libia per Eni, Bp e le altre compagnie

L’instabilità continua a far deragliare i tentativi delle autorità petrolifere della Libia nel convincere le compagnie internazionali a tornare a cercare petrolio nel paese

La volontà libica era quella di far ripartire le esplorazioni petrolifere nel paese, coinvolgendo due dei più importanti attori internazionali attivi nello scacchiere del paese, vale a dire BP ed Eni. Ma anche questa mossa sembra essere tramontata, come ultima vittima di una guerra civile che non accenna a placarsi nel paese.

TUTTO FERMO DA 12 MESI

Il riavvio delle esplorazioni era stato annunciato a ottobre dello scorso anno e, nelle intenzioni delle autorità libiche, avrebbe dovuto far ripartire un settore fermo ormai da quasi un decenni: a distanza di dodici mesi, però le due società sembrano aver accantonato i piani per lo spiegamento di nuovi impianti di trivellazione. Anche la National Oil Corporation (NOC) libica sta affrontando problemi da parte di entrambi i governi in guerra del paese, con il suo presidente Mustafa Sanallah che avverte praticamente ogni giorno che la compagnia si trova di fronte a possibili punti di non ritorno.

L’ACCORDO ENI-BP

Quando era stato annunciato l’accordo BP-Eni, era stato presentato come un ritorno all’esplorazione per le compagnie petrolifere internazionali che si sono allontanate definitivamente dalla Libia dall’inizio della guerra civile nel 2014. Il progetto era incentrato su tre giganteschi blocchi di esplorazione, due nel bacino occidentale di Ghadames e il terzo nel Golfo di Sirte. BP aveva acquistato i diritti sui siti nel 2007, ma nel 2013 si era ritirata dalla Libia, per motivi di sicurezza. Il nuovo accordo avrebbe visto Eni acquisire la metà dell’85 per cento in mano a BP, con il resto in mano al fondo sovrano libico, la Libyan Investment Authority.

PER IL MOMENTO NESSUNA IPOTESI DI AVVIO DELLE ESPLORAZIONI

Entrambe le società erano inizialmente entusiaste, con l’amministratore delegato di BP Bob Dudley che lo scorso ottobre parlava di un via libera alle attività con l’inizio dell’anno: “Ci vuole tempo per installare impianti di perforazione in mare aperto, ma si farà entro il primo trimestre di sicuro”, le parole del numero uno della compagnia britannica. Un anno dopo, invece, tutto è fermo e mentre Bp non fa più cenno sul suo sito web a esplorazioni in Libia un portavoce di Eni, riferisce il portale Petroleum Economist, ha riferito di non avere aggiornamento sul quadro di lavoro e che non ci sono date su un possibile avvio, specialmente in vista dei risultati del terzo trimestre che arriveranno alla fine di questa settimana

LE (OTTIME) RAGIONI PER RIMANERE IN STAND BY

Entrambe le aziende, ammette Petroleum Economist, hanno buone ragioni per rimanere in stand by: “Il bacino di Ghadames è la scena di combattimento tra le forze dei governi rivali, a Tripoli e Tobruk, sovrapposti da una campagna di attacchi aerei degli Stati Uniti contro Isis. Nel frattempo, il Golfo di Sirte, che si dice detenga ingenti riserve di petrolio e gas, avrebbe bisogno di ingenti investimenti da effettuare però in un paese in preda al caos”.

LE LAMENTELE DI NOC

Nella stessa Libia, la NOC si lamenta che entrambi i governi in guerra stiano ostacolando le sue operazioni. A inizio di ottobre, il primo ministro del governo di Tobruk, Abdullah al-Thinni, si è lamentato del fatto che Tripoli ha bisogno di fondi e ha chiesto una quota maggiore delle entrate petrolifere del paese, attualmente circa 2 miliardi di dollari al mese. La richiesta è di vecchia data: la Libia orientale ospita il bacino di Sirte, che rappresenta i due terzi della produzione nazionale, ma le entrate petrolifere sono raccolte dalla rivale di Tobruk, il governo di Tripoli, sede del governo di accordo nazionale e unica autorità riconosciuta a livello internazionale. Il fatto curioso è che malgrado le due fazioni siano in lotta tra loro, Tripoli invia comunque a Tobruk una parte dei proventi del petrolio libico, compresi gli stipendi necessari all’esercito nazionale libico, guidato da Khalifa Haftar, che da aprile assedia la capitale.

LA NOC VUOLE RIMANERE SUPER PARTES

La NOC sta cercando di rimanere super partes rispetto alla contesa, insistendo sulla sua indipendenza: ma le pressioni della guerra cominciano a farsi sentire. Tripoli accusa Tobruk di usare le consegne di carburante per l’aviazione per consentire alle sue forze aeree di effettuare quotidianamente raid nella capitale. Tobruk a sua volta lamenta che le consegne di carburante da Tripoli sono state tagliate e, a settembre, ha preso il controllo della Brega Petroleum Marketing Company, sussidiaria di NOC per la fornitura di carburante, con sede nella Libia orientale. A sua volta Sanallah ha accusato Tobruk di cercare di vendere il petrolio indipendentemente da NOC, in spregio alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che impongono NOC come unico trader di petrolio legittimo.

LICENZE OPERATIVE SOSPESE MA PER ORA È TUTTO CONGELATO

Non solo. Come se questa situazione non fosse abbastanza ingarbugliata, il governo di Tripoli a maggio ha improvvisamente sospeso le licenze operative di Total e di altre 39 società straniere, apparentemente dopo che i leader dell’Ue non sono riusciti a dare il giusto sostegno al governo nella sua battaglia contro le forze di Haftar. Anche se, subito dopo, Tripoli ha fatto marcia indietro, dando alle compagnie fino ad agosto per presentare nuove domande di licenza. Il ministro dell’economia Ali Abdulaziz Issawi ha avvertito le compagnie internazionali che, se non fossero state interessate a nuove licenze, “ci sarebbero diverse compagnie petrolifere che si sarebbero impadronite dei campi petroliferi nel giro di 24 ore”. Ma anche agosto è passato senza ulteriori annunci sulla questione e Total e le altre compagnie hanno continuato ad operare. Ma l’episodio non ha fatto nulla per rafforzare la fiducia delle compagnie petrolifere verso la Libia come posto sicuro in cui investire.

LA LIBIA COMPRA PRODOTTI RAFFINATI DALL’ITALIA

In questi ultimi mesi Sanallah ha visitato Washington e Houston, sperando di incoraggiare le aziende americane ad investire in un programma per spingere la produzione di petrolio dagli attuali 1,1 milioni a 2,4 milioni di barili al giorno entro il 2024. Finora senza esito. In un cupo discorso pronunciato a Washington, Sanallah ha avvertito che NOC potrebbe trovarsi di fronte a una “divisione” tra i governi rivali, con una scissione in grado di distruggendo l’economia libica. “Il paese si fermerebbe se queste funzioni chiave venissero ostacolate”. “Nel frattempo, in mancanza di capacità di raffinazione, la Libia importa due terzi del suo combustibile raffinato, soprattutto dall’Italia, e uno studio di London thinktank Chatham House ha scoperto che gran parte di questo viene rubato dalle milizie della Libia occidentale, per essere venduto sul mercato nero o riesportato in Italia. La Germania ospiterà una conferenza di pace in Libia a novembre nel tentativo di fermare i combattimenti di Tripoli. Ma, con Haftar determinato a catturare la città, mentre le milizie della GNA lo tengono in una situazione di stallo nei sobborghi esterni, pochi si aspettano una svolta”, ha concluso Petroleum Economist.

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