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Porto di Ravenna, Ex Ilva e green bond: cosa c’è sui giornali di oggi

Gli investimenti per il porto di Ravenna, il prestito ponte Ue per lo stabilimento di Taranto e l’andamento delle obbligazioni per progetti ambientali

RAVENNA, PER IL NUOVO PORTO OLTRE 5 MILIARDI DI INVESTIMENTI

Oltre 5 miliardi di investimenti in un piano quinquennale che permetterà al porto di Ravenna di fare un salto dimensionale, adattarsi alle conseguenze del cambiamento climatico e adeguarsi alle normative europee in tema di transizione. È quanto si legge sul Corriere della Sera di oggi.  A dare la misura di come e quanto si trasformerà nel giro di un anno e mezzo il porto — creato scavando un canale nel 1600, diventato moderno all’inizio degli Anni 60 grazie al volano del petrolchimico dell’Eni di Enrico Mattei — è Daniele Rossi, presidente dell’Autorità di Sistema portuale del Mare Adriatico centro settentrionale. «Abbiamo quasi completato il progetto “Hub Portuale di Ravenna”. Un porto nuovo era necessario perché sono cambiate le esigenze della logistica e le dimensioni delle navi sono cresciute molto. L’infrastruttura doveva adattarsi all’attuale mondo della navigazione mondiale».

Quali opere nel dettaglio?

«A giugno abbiamo terminato il rifacimento delle banchine e realizzato una banchina di un chilometro di lunghezza al servizio del nuovo terminal container. Sono stati creati 200 ettari di aree logistiche, che stanno suscitando interesse da parte di operatori della logistica e dell’industria. Abbiamo quasi concluso la prima fase, in anticipo di un anno sul cronoprogramma. Ma è un’altra opera che ci permetterà di fare il salto».

Quale?

«A dicembre sarà completato l’approfondimento dei fondali, che passeranno da 11 a 12,5 metri di profondità per accogliere navi più grandi. E grazie all’anticipazione della fase uno abbiamo potuto avviare la fase due che serve per portare i fondali a 14,5 metri di profondità. A fine 2026 contiamo di passare da navi da 45.000 tonnellate alle Panamax da 80.000 tonnellate».

Quanto ha investito l’autorità portuale?

«Per l’hub 450 milioni e altri 160 milioni per le banchine e altri 70 milioni per altri interventi, tra cui voglio sottolineare la digitalizzazione. Un’altra grossa fetta sono i 270 milioni per la diga frangi-flutti che serve sia al rigassificatore di Snam sia come adattamento al climate change».

Cos’altro farete in ottica di transizione?

«Realizzeremo come impone l’Ue un impianto di cold ironing per alimentare con energia elettrica le navi da crociera e un impianto fotovoltaico da oltre 35 Mw di potenza con elettrolizzatori per la conversione di parte dell’energia prodotta in idrogeno verde. In totale, l’Autorità investirà poco più di un miliardo. Ma non è l’unica a mettere capitali nel porto».

Chi altri?

«Abbiamo tre progetti che valgono un miliardo ciascuno: la nave rigassificatrice di Snam, l’impianto di cattura e stoccaggio della CO2 di Eni e il parco eolico galleggiante di Agnes, a cui si sommano opere di Rfi, Anas, al Terminal Crociere di Royal Caribbean e di altri privati come Marcegaglia e Ferretti. In tutto superiamo i 5 miliardi».

In questo panorama roseo c’è un fattore esogeno che sta incidendo negativamente sull’attività…

«Nei primi sette mesi abbiamo movimentato 14,9 milioni di tonnellate, il 4% in meno su anno. Faccio l’esempio del Mar Nero, da cui provenivano a Ravenna 5 milioni di tonnellate all’anno: ora siamo scesi a 2 milioni. La causa è il protrarsi delle guerre in Ucraina e in Medio Oriente, storicamente punti di riferimento commerciali per Ravenna, con la deviazione dei traffici. Come porti del Nord Adriatico (Napa) abbiamo scritto alla Commissione Ue chiedendo misure di ristoro», conclude il quotidiano.

EX ILVA, DISPONIBILI I FONDI UE, PARTONO I PRIMI INVESTIMENTI

Nei giorni scorsi sono arrivati dal Mef i 320 milioni del prestito ponte Ue. La produzione dell’unico (per ora) altoforno in marcia (il 4) si è stabilizzata su una quota di oltre 5mila tonnellate di ghisa al giorno (era a 4mila quando sono arrivati i commissari). E ora in Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria, l’ex Ilva, si lavora ad un nuovo step: riaccendere l’altoforno 1 e avere così due impianti in marcia per far risalire la produzione. È quanto si legge su Il Sole 24 Ore di oggi.

Il riavvio avverrà entro fine ottobre. Le attività preliminari alla ripartenza sono cominciate. Lanciati gli ordini per rifare il crogiolo dell’altoforno 1, intervento da 60-70 milioni. Quest’ultimo lavoro, però, necessita dell’impianto fermo. E quindi avverrà dopo la rimessa in marcia dell’altoforno 2, prevista per i primi mesi del 2025, che intanto sconta la complicazione rappresentata dal fatto che l’impianto non è stato svuotato dalla precedente gestione aziendale, cosa invece avvenuta per l’1.

Rifatto il crogiolo all’1, ci sarà la riaccensione di quest’altoforno per poi fermare il 2 ed effettuare analoga operazione di sostituzione. Quest’anno, visto che un secondo altoforno operativo lo si avrà solo nell’ultima parte, la produzione è stimata tra 1,9 e 2,2 milioni di tonnellate. L’anno prossimo, con una migliore stabilizzazione, ci si dovrebbe attestare tra i 4,5 e i 5 milioni di tonnellate. Manutenzioni e ripristini sono nel piano di ripartenza di Acciaierie, finanziato con le prime risorse arrivate. Per l’azienda è stato avviato il 70% delle attività urgenti. E ai 320 milioni del prestito ponte, sul quale la commissione Ue ha dato il via libera a metà luglio, si sommano i 300 che Ilva in amministrazione straordinaria, proprietaria degli impianti, ha già girato mesi fa, in due tranche da 150 ciascuna, ad Acciaierie in as. Adesso in cassa ci sono circa 420 milioni, essendo già stata impegnata per i lavori una quota dei 620 milioni. Altri fondi dovrebbero arrivare tra settembre e ottobre. Sono i 200-250 milioni – la negoziazione è aperta – di due banche americane (si veda Il Sole24Ore del 13 luglio) e le risorse sono legate al pegno rotativo sul magazzino insieme ad alcune modifiche tecniche. In sostanza, la banche americane utilizzeranno il magazzino di Acciaierie come garanzia. Su quanto affluirà ad AdI, spiegano fonti vicine alla società, «si sta lavorando. Si è ancora in una fase di discussione».

Sul fronte degli stabilimenti, in tre reparti di Genova-Cornigliano – torneria, cilindri e revisione appoggi – dal 20 al 24 agosto é in corso, indetto dai sindacati, uno sciopero di un’ora alla fine del primo turno e di un’altra ora all’inizio del secondo, oltre al blocco dello straordinario. Si protesta contro i vuoti dell’organico. A Taranto, invece, è scattata la nuova cassa integrazione straordinaria prevista dall’accordo di fine luglio al ministero del Lavoro. Riguarda un numero massimo di 3.500 dipendenti sui 4.050 interessati nel gruppo. L’11 settembre, alle 11.30, sindacati e azienda avranno un primo incontro di verifica. Intanto, i dipendenti sospesi temporaneamente dal lavoro stanno percependo un trattamento di cassa rinforzato economicamente da un’integrazione del 10 per cento corrisposta da AdI. In questo modo la copertura della cassa sarà pari al 70 per cento della retribuzione lorda annua. E a proposito di cassa, a settembre azienda e sindacati si incontreranno per parlare di flessibilità come stabilito dall’intesa ministeriale. È previsto che i lavoratori, rinunciando alla pausa di mezz’ora, possano effettuare sei ore di lavoro anziché otto, coprendo le restanti due ore con le ferie o con la cassa integrazione, conclude il quotidiano.

GREEN BOND, PREMIO IN DISCESA PIÙ RESISTENTI ALLE FASI DI STRESS

Più titoli, premi ridotti e maggiormente sensibili nelle fasi di tensione sui mercati. La convenienza e l’attrattività dei green bond si gioca sul filo di un equilibrio che pare diventare sempre più sottile con il passare del tempo e via via che il mercato delle obbligazioni i cui proventi sono utilizzati per progetti ambientali acquista maturità, almeno quando si guarda ai titoli emessi dai governi europei nel corso degli ultimi mesi. È quanto si legge su Il Sole 24 Ore di oggi.

La conferma arriva da un’analisi condotta da Intesa Sanpaolo su questi particolari strumenti, all’interno della quale si evidenzia ancora una volta la presenza del cosiddetto greenium, il sovrapprezzo che gli investitori sono disposti a pagare per acquistare titoli verdi anziché tradizionali. Quest’ultimo compare tuttavia in misura sempre più ridotta rispetto al passato, soprattutto per gli emittenti di maggiore affidabilità con i rating più elevati. La differenza di rendimento (che è minore nel caso dei green bond) tende anche ad assottigliarsi ulteriormente nei momenti in cui il mercato è sotto stress.

«Da inizio anno ad oggi possiamo notare una generale sotto performance dei titoli green nei confronti dei nominali e una convergenza della loro curva dei tassi verso quella convenzionale», conferma Federica Migliardi, strategist sul reddito fisso di Intesa Sanpaolo, pronta a evidenziare anche come gli emittenti di titoli governativi verdi con rating più elevato («Aaa») abbiano un premio minore in termini assoluti rispetto a quelli con giudizio più basso (da «Aa-» a «Bbb»). La sua attenzione si rivolge soprattutto verso i Bund tedeschi, che allo stato attuale «incorporano tutti un greenium inferiore a un punto base».

Il fatto che per le obbligazioni con merito di credito inferiore, per esempio i BTp, lo scarto si aggiri su livelli più elevati e compresi fra i 2 e i 4 punti base viene attribuito a diversi fattori. «Per quest’ultima categoria di emittenti – spiega Migliardi – il vincolo sull’utilizzo dei proventi in progetti ambientali e i maggiori obblighi informativi riducono il premio per il rischio di credito e l’investitore è più disposto a rinunciare a una parte del rendimento rispetto a un titolo convenzionale dello stesso emittente». In altre parole, il vincolo sulla destinazione del denaro preso a prestito influisce in misura minore quando chi colloca le obbligazioni sul mercato è ritenuto in teoria più affidabile.

A frenare l’attrattività dei Bund verdi contribuisce però secondo l’analisi di Intesa Sanpaolo anche un fattore specifico, quale «una più generale disaffezione degli investitori verso i titoli governativi tedeschi». In più, la Germania risulta essere l’emittente governativo dell’area euro con maggior numero di titoli green in circolazione, con scadenze che variano da uno a trent’anni e con un totale di debito sostenibile finora emesso pari a 69,5 miliardi di euro. Questo elemento, legato alla crescente presenza sul mercato di questo particolare strumento porta a un’ulteriore considerazione generale. Migliardi cita infatti «l’aumento dell’offerta di titoli governativi core e semi-core green da inizio anno» fra i fattori che possono aver contribuito alla convergenza verso rendimenti e prezzi dei titoli convenzionali e ricorda come da gennaio a oggi siano stati collocati green bond sovrani per 57 miliardi: 18 da emittenti con rating «Aaa», 16 miliardi con rating da «Aa+» ad «AA-» e 13 miliardi con rating «Bbb» e «Bbb+», conclude il quotidiano.

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