Secondo l’Handelsblatt, i trader del settore si domandano come sarà possibile attuare un piano così ambizioso
Sconcerto e incredulità sono le reazioni tra i principali operatori del settore energetico tedesco dopo l’annuncio dell’accordo energetico tra Unione Europea e Stati Uniti nel quadro del contenzioso sui dazi, che prevede l’importazione di energia statunitense per un valore di 750 miliardi di dollari nei prossimi tre anni. A raccogliere le reazioni, che oscillano tra la perplessità e lo scetticismo, è stato il quotidiano economico Handelsblatt, secondo cui i principali attori del comparto vedono nell’intesa un’imposizione politica che rischia di stravolgere la logica del libero mercato. “Siamo completamente senza parole”, si legge in una dichiarazione proveniente da ambienti vicini a uno dei grandi gruppi energetici tedeschi, che il quotidiano di Düsseldorf mantiene anonima.
UN ACCORDO POLITICO, NON UN’OPERAZIONE DI MERCATO
L’intesa è stata annunciata dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e dal presidente Usa Donald Trump nel fine settimana e ha immediatamente suscitato reazioni negative in Germania. Al centro delle critiche vi è il carattere politico dell’accordo, giudicato incompatibile con la struttura attuale dei mercati energetici europei, che si fondano su contratti liberamente negoziati tra aziende, in base ai prezzi e non a decisioni istituzionali.
Secondo l’Handelsblatt, i trader del settore si domandano come sarà possibile attuare un piano così ambizioso: “Come si potrà realizzare tutto questo?”, si chiede uno dei maggiori operatori europei nel commercio di energia statunitense. Anche la specialista del settore gas Anne-Sophie Corbeau, del Center on Global Energy Policy della Columbia University, ha espresso forti dubbi: “L’accordo non ha senso. Ho già detto che la Casa Bianca ha un problema con i numeri, e a quanto pare anche la Commissione europea”.
UN OBIETTIVO ECONOMICAMENTE IRREALISTICO
L’accordo prevede un incremento delle importazioni energetiche europee dagli Stati Uniti per un valore medio di 250 miliardi di dollari l’anno, ma i numeri disponibili indicano che si tratta di un traguardo poco realistico. Nel 2024, l’Ue ha importato complessivamente energia per 438,6 miliardi di dollari, ma solo 75,9 miliardi da fornitori statunitensi. Anche includendo l’energia nucleare – come specificato dalla Commissione – le cifre non tornano. Secondo l’esperto Walter Boltz dello studio legale Baker McKenzie, l’intero fabbisogno europeo di uranio si aggira sui 10-15 miliardi di euro all’anno, un valore molto lontano dagli obiettivi dell’accordo.
Inoltre, gli Stati Uniti non dispongono attualmente delle capacità produttive necessarie per fornire le quantità aggiuntive richieste. Lo stesso uranio utilizzato dalle centrali nucleari americane è in parte importato dalla Russia, elemento che aggiunge un’ulteriore contraddizione all’obiettivo di “indipendenza energetica” che l’Ue persegue proprio attraverso questo accordo.
LE AZIENDE DECIDONO DOVE COMPRARE L’ENERGIA
Un altro punto critico è il ruolo delle imprese nella catena di approvvigionamento energetico. In Europa, sono le aziende private a decidere da chi acquistare energia: colossi globali come Shell o Total, ma anche attori tedeschi come RWE, Uniper o EnBW. L’Ue non può imporre per decreto da dove debba provenire il gas o il petrolio.
Esistono esempi di acquisti centralizzati, come quelli effettuati dalla tedesca Trading Hub Europe durante la crisi energetica, ma estendere quel modello all’intero fabbisogno europeo significherebbe un passo verso la centralizzazione del mercato, se non la sua parziale nazionalizzazione. Per le imprese, un tale scenario è difficile da immaginare
In teoria, Bruxelles potrebbe ricorrere a incentivi o quote obbligatorie per favorire le importazioni dagli Usa, ma questo comporterebbe una complessa ingegneria normativa. E resta il rischio di una nuova dipendenza unilaterale.
DALLA RUSSIA AGLI STATI UNITI: UNA DIPENDENZA SOSTITUITA
Uno degli obiettivi dichiarati dell’accordo è ridurre ulteriormente la dipendenza dal gas russo. Tuttavia, i numeri indicano che questa dipendenza è già drasticamente calata: su 118 miliardi di dollari di importazioni totali di gas, meno di un sesto proveniva dalla Russia. Anche ipotizzando un completo passaggio al gas Usa, la cifra concordata con Trump resterebbe comunque irraggiungibile
Al contrario, il settore sta cercando attivamente di diversificare. In Germania l’azienda EnBW, ad esempio, ha appena firmato un’intesa per importare idrogeno verde dall’Arabia Saudita, e sono in crescita gli accordi con Emirati Arabi e Qatar. I fornitori mediorientali difficilmente accoglieranno con favore l’intesa Ue-Usa, che potrebbe indebolire le relazioni energetiche esistenti.
A tutto ciò si aggiunge una controversia normativa: l’Ue intende rafforzare il regolamento sul metano, ma potrebbe concedere deroghe alle aziende statunitensi. Secondo il *Handelsblatt*, Trump ha chiarito di non voler sottostare a vincoli ambientali europei, mentre Bruxelles punta ad aumentare le importazioni senza imporre le stesse condizioni previste per gli altri fornitori.
UN’INTESA CHE SOLLEVA PIÙ DOMANDE CHE RISPOSTE
La Commissione europea ha avuto difficoltà a spiegare come sia stata calcolata la cifra di 750 miliardi di dollari. “Non siamo in grado di scomporre il numero, ma vi assicuro che ha un fondamento”, ha dichiarato un funzionario Ue a Bruxelles, ripreso sempre dall’Handelsblatt.
Secondo l’analista Boltz, è probabile che si tratti più di una mossa politica che di un piano operativo concreto. “Credo che sia stato soprattutto un successo comunicativo concesso a Trump”, ha affermato.
Ma tra gli operatori tedeschi del settore energetico prevale l’incredulità. Il timore è che si sia rinunciato alla coerenza con gli obiettivi climatici e alla logica del mercato per assecondare pressioni politiche. E, mentre le domande restano molte, le risposte da Bruxelles tardano ad arrivare.