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Stellantis, allarme rosso: produzione in crollo di un terzo, futuro nero per l’Italia

Quasi metà dei lavoratori è in cassa integrazione, ora si attende l’incontro decisivo con il nuovo CEO Filosa. Il sindacato chiede un cambio di passo a governo e UE per salvare il settore.

Produzione in caduta libera per Stellantis in Italia, con un crollo di quasi un terzo dei volumi nei primi nove mesi del 2025 che fa suonare un pesante campanello d’allarme per il futuro industriale del gruppo nel Paese. A lanciare l’allarme è il sindacato FIM-CISL, che ha diffuso i dati di un bollettino di guerra: tra gennaio e settembre sono state prodotte appena 265.490 unità tra auto e veicoli commerciali, segnando un drammatico -31,5% rispetto allo stesso periodo del 2024. Il calo è ancora più pesante per le sole autovetture (-36,3%), mentre i veicoli commerciali registrano un -23,9%.

PREVISIONI NERE E IMPATTO SUI LAVORATORI

La situazione, sottolinea il segretario generale della FIM-CISL Ferdinando Uliano, è destinata a peggiorare ulteriormente. Le previsioni per la chiusura dell’anno sono “fortemente negative”, con una stima di poco più di 310.000 unità complessive e le sole autovetture che, per la prima volta, scenderanno sotto la soglia psicologica delle 200.000. L’impatto sociale di questa crisi è devastante: attualmente, quasi la metà dell’intera forza lavoro di Stellantis in Italia è interessata da ammortizzatori sociali, tra cassa integrazione e contratti di solidarietà.

UN INCONTRO DECISIVO PER IL FUTURO

In questo clima di profonda incertezza, tutti gli occhi sono puntati sul 20 ottobre, quando a Torino si terrà il primo, cruciale incontro tra le organizzazioni sindacali e il nuovo CEO di Stellantis, Antonio Filosa. Un appuntamento che il sindacato definisce “indispensabile per costruire relazioni solide e costruttive” e affrontare le gravi difficoltà del gruppo. L’obiettivo è ottenere prospettive industriali certe per ogni stabilimento, rafforzando il piano di investimenti ottenuto dopo lo sciopero del 2024 che portò alle dimissioni dell’ex CEO Carlos Tavares.

LA MAPPA DELLA CRISI: MIRAFIORI E IL NODO MASERATI

La crisi colpisce in modo trasversale tutti i siti produttivi, con perdite che vanno dal -17% al -65%. A Mirafiori, la produzione è calata del 17%, ma il dato più allarmante è il crollo quasi totale delle Maserati, ferme ad appena 140 unità. Una situazione che il sindacato definisce frutto di “scelte errate”. Speranze sono riposte nell’avvio della produzione della 500 ibrida a novembre, ma i volumi attesi (100.000 vetture nel 2026) sono un “obiettivo impegnativo e tutto da verificare”. Anche a Modena, la produzione Maserati è crollata del 65,9%.

CASSINO E MELFI, RITARDI E TRANSIZIONE SOFFERTA

Profondo rosso anche per gli stabilimenti del Sud. Cassino registra il dato quantitativo “più negativo nella storia” con un crollo del 28,3%, lavorando da quattro anni su un solo turno e con oltre 84 giornate di fermo produttivo. Pesa il rinvio “senza una nuova data” del lancio dei nuovi modelli Alfa Romeo sulla piattaforma STLA Large. A Melfi, le produzioni si sono letteralmente dimezzate rispetto al 2024 e la perdita rispetto al periodo pre-Covid è dell’87%. Nonostante la transizione verso i nuovi modelli ibridi ed elettrici, lo stabilimento ha già visto l’uscita volontaria di 2.370 lavoratori dal 2021.

POMIGLIANO E ATESSA, TRA CALI E INCERTEZZE

Persino Pomigliano d’Arco, che oggi rappresenta il 60% della produzione nazionale, subisce un calo del 35%. La Panda resta il modello di punta, ma si registra una flessione preoccupante per l’Alfa Romeo Tonale (-41%) e un crollo verticale per la Dodge Hornet (-90%). Ad Atessa, polo dei veicoli commerciali, la produzione è scesa del 23,9% a causa di una contrazione degli ordini, con un ricorso stabile alla cassa integrazione per circa 700 lavoratori al giorno.

L’ALLARME GIGAFACTORY E IL FUTURO DI TERMOLI

Una delle preoccupazioni maggiori riguarda lo stabilimento di Termoli. La decisione di sospendere l’investimento per la Gigafactory destinata alla produzione di batterie viene definita dalla FIM-CISL “un fatto estremamente grave” che mette a rischio 1.800 posti di lavoro. L’assegnazione della produzione del nuovo cambio e-DCT è un segnale positivo, ma giudicato “insufficiente a compensare la perdita” dello storico motore Fire.

L’APPELLO A GOVERNO E UNIONE EUROPEA

Di fronte a questo scenario, il sindacato lancia un forte appello alle istituzioni. All’Unione Europea si chiede un “piano industriale espansivo” e una ridefinizione dei tempi e delle modalità della decarbonizzazione per renderla sostenibile. Al Governo italiano, invece, si chiede di “fare la propria parte”, individuando risorse adeguate per sostenere e rilanciare un settore strategico per l’intero Paese e la sua filiera.

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