La US Energy Information Administration ha stimato che lo scorso anno l’84% del petrolio e l’83% del GNL transitati attraverso lo Stretto di Hormuz erano destinati ai mercati asiatici, soprattutto in Cina, India e Giappone
L’attacco USA di sabato scorso ai siti del programma nucleare iraniano ha provocato turbolenze nei mercati petroliferi. Il prezzo del WTI è balzato inizialmente fino al 13%, prima di stabilizzarsi intorno ai 77 dollari al barile.
In questo scenario geopolitico, un elemento cruciale è lo Stretto di Hormuz, che collega il Golfo Persico con l’Oceano Indiano e dal quale transita tutto il petrolio iraniano diretto in Cina e circa il 20% di tutto il greggio esportato nel mondo. L’Iran, infatti, potrebbe decidere di sabotare lo Stretto per provocare un aumento del prezzo del petrolio, che avrebbe enormi ricadute sulle economie globali.
VILLA (ISPI): CHIUDERE LO STRETTO AVREBBE POCHISSIMO SENSO
Secondo il nuovo indice di vulnerabilità dell’ISPI, i Paesi che più soffrirebbero in caso di chiusura di Hormuz. India e Cina sono tra i più esposti. Italia non benissimo, USA molto meno.
In un post su X Matteo Villa, Head of DataLab di ISPI, spiega che l’indice di vulnerabilità “è una misura di quanto il PIL di ciascun paese dipenda dall’importazione netta di petrolio. Chi è esportatore netto e lontano dallo Stretto, come gli USA, risentirebbe di un colpo molto, molto più limitato”. Nello stesso post, Villa afferma che, per questa ragione, “chiudere lo Stretto avrebbe pochissimo senso”.
IL PETROLIO IRANIANO VA QUASI TUTTO IN CINA
Il 90% delle esportazioni petrolifere iraniane finisce in Cina e, secondo gli analisti, se quel greggio non arrivasse più sarebbe un danno per Pechino, anche se superabile. La Cina – che rappresenta il maggior importatore mondiale di petrolio – non lo acquista solamente dall’Iran, ma anche da altri Paesi della regione, come Arabia Saudita e Oman.
NEL 2024 DA HORMUZ è PASSATO L’84% DEL PETROLIO DESTINATO ALL’ASIA
La US Energy Information Administration (EIA) ha stimato che lo scorso anno l’84% del petrolio e l’83% del GNL transitati attraverso lo Stretto di Hormuz erano destinati ai mercati asiatici. Cina, India, Giappone e Corea del Sud le principali destinazioni.
I POSSIBILI EFFETTI SU PETROLIO E GAS
Un eventuale blocco del commercio marittimo provocherebbe un aumento importante dei prezzi energetici e una possibile crisi economica globale. Secondo le analisi di Oxford Economics, la chiusura dello Stretto di Hormuz potrebbe spingere il petrolio fino a 130 dollari al barile.
CHIUSURA DI HORMUZ BOOMERANG PER L’IRAN
L’eventuale chiusura della rotta, però, sarebbe anche un autogol per l’Iran: Hormuz è la principale scelta di Teheran per il transito delle sue petroliere, poiché è la via più rapida per l’Asia ed evita il rischio di attacchi da parte degli Houti. I maggiori produttori petroliferi della regione, cioè Arabia Saudita ed Emirati Arabi, dispongono invece di rotte alternative.