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Green Deal europeo

Un nuovo quadro di governance per salvaguardare il Green Deal europeo

Secondo il think tank Bruegel “l’Ue non può permettersi di avere una grande strategia per il clima e l’energia e, allo stesso tempo, non disporre di strumenti di attuazione. Ciò metterebbe a repentaglio l’intero processo di decarbonizzazione”

Con il Green Deal europeo, l’Unione europea ha adottato degli obiettivi climatici ambiziosi e tutta una serie di leggi per raggiungerli. La sua attuazione, però, sarà politicamente impegnativa, in particolare perché il Green Deal non ha migliorato il quadro di governance dell’energia e del clima Ue.

LE 5 PROPOSTE DI RIFORMA DELLA GOVERNANCE DEL GREEN DEAL EUROPEO

Il think tank Bruegel propone quindi le sue 5 priorità per la riforma della governance:

1) Tutte le emissioni dovranno essere soggette allo scambio di emissioni. Entro il 2030, i sistemi separati di scambio delle emissioni (ETS) riguarderanno le emissioni industriali e quelle degli edifici/trasporti, che rappresentano i tre quarti di tutte le emissioni territoriali. Dovrà essere creato un terzo ETS per i settori non ancora coperti, e i meccanismi di controllo delle emissioni dovranno essere unificati entro il 2040.

2) Dovranno iniziare i preparativi per un piano di investimenti verdi dell’Unione europea. Ciò dovrà garantire che, una volta terminati i finanziamenti per la ripresa dalla pandemia nel 2026, le sovvenzioni verdi Ue rimangano almeno al livello attuale di 50 miliardi di euro all’anno (0,3% del PIL).

Per colmare il deficit annuale saranno necessarie nuove risorse Ue per un ammontare di 180 miliardi di euro tra il 2024 e il 2030, ma ciò sarà importante per affrontare i problemi politici e distributivi che l’Ue vedrà in misura crescente. Inoltre, le riforme della governance economica dell’Unione europea attualmente discusse dovranno essere modificate, per consentire ai Paesi con un debito pubblico superiore al 60% del Pil ma con finanze pubbliche sostenibili di ridurre il debito ad un ritmo più lento, a condizione che vengano effettuati ulteriori investimenti per la riduzione delle emissioni.

3) Dovrà essere istituita un’Agenzia Europea per l’Energia. Ciò fornirà dei punti di riferimento imparziali per la valutazione e la preparazione delle politiche. Non avrà poteri decisionali, ma raccoglierà e renderà disponibili i dati per il processo decisionale, manterrà degli strumenti di modellazione aperti e valuterà in modo indipendente le politiche Ue e degli Stati membri.

4) La governance dell’energia e del clima dovrà essere elevata al livello dei capi di Stato e di governo per aumentare il coordinamento delle politiche e la titolarità politica. Almeno una volta all’anno verranno organizzati dei vertici europei speciali, con i preparativi svolti dagli sherpa europei per l’energia e il clima.

5) Lo sviluppo e il funzionamento della rete di trasmissione dovranno essere guidati dalla minimizzazione dei costi europei. Un operatore europeo indipendente del sistema di rete garantirà che la trasmissione transfrontaliera esistente venga utilizzata in modo ottimale, anche al fine di favorire gli investimenti.

LE CONSEGUENZE NEGATIVE DEL GREEN DEAL EUROPEO

L’Ue ha intrapreso una rivoluzione industriale verde, che però è guidata dalla politica, piuttosto che dalla tecnologia e dall’innovazione. Anche se i benefici che comporta superano i costi, forse anche in termini strettamente economici, questa trasformazione comporterà notevoli disagi.

Alcuni beni perderanno valore, alcuni posti di lavoro verranno distrutti, alcune regioni soffriranno. La competitività sarà messa alla prova. Le implicazioni macroeconomiche della transizione verso la neutralità carbonica potrebbero rivelarsi temporaneamente negative. Questo passaggio può avere successo solo se otterrà un sostegno sufficientemente ampio, il che a sua volta richiede che le considerazioni sull’equità siano poste in primo piano nell’agenda politica. Questa preoccupazione deve essere una priorità per ogni Stato membro, ma anche per l’Unione europea nel suo complesso.

I RISCHI PER LA TRANSIZIONE VERDE IN EUROPA

Inoltre, aumentano i rischi per la transizione verde in Europa. In vista delle elezioni europee del 2024, si stanno levando diverse voci che chiedono un rallentamento del processo, spinte dai timori su possibili compromessi tra decarbonizzazione e competitività industriale, e dai timori sui costi per famiglie e imprese. Le elezioni nazionali hanno avuto la tendenza a rafforzare queste voci, al punto che la sopravvivenza del consenso esistente in seno al Consiglio europeo non può essere data per scontata.

In questo clima politico poco favorevole, la prossima Commissione europea dovrà attuare la tabella di marcia verde verso la quale l’Ue ora è legalmente impegnata. La Commissione ha individuato tempestivamente i rischi che potrebbero minacciare la transizione verso un’economia senza emissioni di carbonio, e l’UE ha messo in atto gli strumenti per affrontarli.

UNA GRANDE STRATEGIA, MA MANCANO GLI STRUMENTI PER ATTUARLA

Tuttavia, l’attuale quadro di governance non è all’altezza: l’Ue non può permettersi di avere una grande strategia per il clima e l’energia e, allo stesso tempo, non disporre di strumenti di attuazione. Ciò metterebbe a repentaglio l’intero processo di decarbonizzazione, in particolare in un clima politico meno favorevole.

Per rendere il quadro di governance adeguato alle sempre maggiori ambizioni climatiche e alle rinnovate sfide che l’Europa si trova ad affrontare, dovrebbero esserci più centralizzazione (per l’ETS) e più incentivi per garantire che i Paesi Ue agiscano in conformità con il piano comune. Oltre ai benefici diretti in termini energetici e climatici, ciò consentirebbe anche di sbloccare vantaggi significativi per altri obiettivi politici Ue, tra cui innovazione, industria, competitività, protezione della natura, digitale e salute.

C’è poco spazio per gli errori, poiché la posta in gioco è troppo alta. L’Unione europea non può restare intrappolata in un circolo vizioso, in cui gli Stati membri concordano a Bruxelles degli obiettivi ambiziosi di politica energetica e climatica, ricevono entrate da strumenti climatici come l’ETS o l’RRF e poi, nelle capitali nazionali, incolpano Bruxelles per i suoi obiettivi energetici e climatici troppo sfidanti. O semplicemente non li attuano. Questa linea d’azione, infatti, rischierebbe di rallentare in modo significativo, se non di far deragliare, la transizione verde dell’Europa.

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