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Rinnovabili

Zanchini (Legambiente): Annunci a parte, anno deludente per la svolta ‘green’

Quanto è serio l’impegno del governo Conte sulla transizione energetica? Intervista a Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente

Conte ha detto che i miliardi che arriveranno all’Italia dal Fondo per la ripresa serviranno a “favorire la svolta verde”. Al di là delle dichiarazioni, però, ritiene che il governo abbia davvero preso sul serio la transizione energetica? Il PNIEC è sufficiente o c’è bisogno di una strategia più ampia?

In questo anno non sono di sicuro mancanti gli annunci sulla “svolta green” e su come questa sarebbe stata la stella polare del governo. In realtà, dal punto di vista delle politiche ambientali è stato un anno deludente, e la “svolta verde” non ha affatto caratterizzato l’agenda di governo.

I dubbi ci sono. Basta vedere cosa è stato fatto in tema di energia e di mobilità.

Sull’energia l’Italia è ferma. Le installazioni rinnovabili sono ferme. Si parla però di infrastrutture energetiche: è stato completato il TAP, e sembra proprio che sia il gas – e non le rinnovabili – la vera stella polare.

Per quanto riguarda la mobilità, invece, la priorità sono le nuove infrastrutture. Il piano del ministro dei Trasporti Paola De Micheli è il solito piano sulle infrastrutture che si ripete di governo in governo, senza quella “svolta green” che sarebbe non solo necessaria ma anche possibile, viste le condizioni. Sia sull’energia che sulla mobilità ci sono state delle rivoluzioni negli ultimi anni, ed oggi le rinnovabili sono fonti competitive. Ma una spinta in questa direzione sembra poco probabile.

Faccio un esempio. Dal bonus 110% per le ristrutturazioni edilizie private ci si aspetterebbe un ancoramento ad obiettivi ambientali, eppure – nonostante la generosità della misura – non è così. Non è altro che una politica di rilancio dell’edilizia: lo Stato fornisce i soldi per interventi di riqualificazione energetica dalla classe G alla classe E, per i quali può bastare una nuova caldaia a gas. Una fonte fossile, dunque. È certamente nell’interesse del Paese che l’economia si muova, ma il bonus 110% avrebbe dovuto essere garantito a chi passa alle rinnovabili; per una caldaia sarebbe stato più sensato un bonus inferiore.

Il bonus 110% non spinge per un cambio di paradigma. Non solo: lancia un messaggio negativo al settore dell’edilizia, garantendo una possibilità di intervento incredibile a spese dello Stato. Il rischio è che possa aprirsi una stagione di cantieri di bassa qualità, in controtendenza rispetto a quella “svolta green” di cui avremmo bisogno.

Eppure bastano pochi interventi ben fatti per passare dalla classe G alla B. Il governo avrebbe dovuto spingere maggiormente sull’efficienza energetica, anche per ridurre la spesa delle famiglie: negli altri Paesi europei si sta andando in questa direzione. Il bonus rischia invece di essere un’occasione persa per l’Italia.

La “green economy” viene spesso presentata come un modello positivo non soltanto per l’ambiente, ma anche per la crescita e per l’occupazione. Tenendo conto di questo, allora, come dovremmo spendere i soldi del Fondo europeo?

Questo è il grande tema. Intanto, non dobbiamo ricorrere alle solite politiche.

Gli investimenti infrastrutturali – ormai lo sappiamo – sono molto importanti per la crescita economica, ma solo se risolvono i problemi dei cittadini. E questi problemi, oggi, sono nelle aree urbane: problemi di mobilità, di traffico, di inquinamento. Dovremmo investire nelle città, come già accade in altri Paesi europei. Da noi però si fa il contrario: le città praticamente non esistono, nemmeno ora. Nell’elenco del ministro De Micheli le aree urbane non compaiono. Eppure realizzare nuove linee tramviarie, oppure acquistare nuovi treni per il trasporto pubblico, sono operazioni per le quali bastano un paio d’anni. E che permettono però di migliorare la qualità della vita a decine di migliaia di persone. Non solo: rendono le città stesse più attraenti.

La direzione da prendere è quella dell’elettrificazione dei trasporti: dei treni, ma anche dei tram. È fondamentale poi investire nelle piste ciclabili: in Italia è una questione che viene demandata ai sindaci. All’estero, invece – pensiamo al Regno Unito o alla Francia – è il governo ad interessarsene; si fanno piani nazionali.

È fondamentale arrivare ad un’integrazione tra trasporto pubblico su ferro, piste ciclabili e shared mobility: sono servizi che funzionano, dal basso costo di realizzazione, e che permettono di migliorare la qualità della vita delle persone.

Oltre a questo, è necessario dare una prospettiva alla transizione verso le fonti rinnovabili, che ad oggi sono ferme. Sembra mancare l’attenzioni: gli incentivi approvati con il decreto FER 1 stanno portando investimenti ma anche problemi. Le aste per fotovoltaico sono state deserte.

C’è poi la questione delle comunità energetiche. C’è una direttiva, che dovrà essere recepita entro il giugno 2021, che permetterebbe di aprire all’auto-produzione e allo scambio di energia rinnovabile. Perché non approvarla subito, così da sbloccare degli investimenti? Le piccole e medie imprese, ad esempio, che pagano moltissimo in energia elettrica, potrebbero riorganizzarsi da subito, investendo nell’efficienza energetica, oppure organizzandosi per lo scambio di energia. In un contesto di comunità energetiche, anche i condomini diventerebbero centrali. Eppure questa visione sembra mancare al governo. Al contrario, si parla moltissimo di idrogeno, come se rappresentasse la soluzione geniale a tutti i problemi.

Relativamente all’eolico, gli operatori del settore chiedono da tempo una semplificazione dei processi autorizzativi e maggiori certezze normative. Sono stati fatti passi in avanti negli ultimi mesi?

Con il decreto Semplificazioni sono stati fatti dei passi in avanti: viene semplificato il revamping degli impianti eolici, ad esempio. Si tratta tuttavia di proposte parziali, che il governo ha elaborato senza consultarsi con i diretti interessati: gli operatori. Ma il tema delle regole – che siano chiare e che aiutino lo sviluppo delle rinnovabili – riguarda anche il solare e l’idroelettrico.

Sembra che per il governo, in sostanza, il tema ambientale sia importante, tanto da dover essere menzionato di continuo. Ma che non sia un’emergenza. Il rischio quindi è che il Recovery Plan – anche per la scarsa chiarezza di idee e per la mancanza di coordinazione tra i ministeri – possa essere la riproposizione di cose già viste: le autostrade, il ponte/tunnel sullo stretto di Messina, l’idrogeno.

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