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Ilva

Ilva, ArcelorMittal se ne va. I numeri e i dati dell’acciaieria più grande d’Europa

Se lo stabilimento ex Ilva venisse chiuso, con il conseguente azzeramento della produzione di acciaio la perdita sarebbe di circa 24 miliardi di euro secondo un’analisi econometrica dello Svimez

ArcelorMittal ha deciso di lasciare l’Italia e rescindere l’accordo per acquisire le acciaierie ex Ilva di Taranto e alcune controllate e ha chiesto ai commissari straordinari di assumere nuovamente la responsabilità delle attività e dei dipendenti entro 30 giorni. A pesare maggiormente sulla decisione della multinazionale, lo stop allo scudo penale per gli ex manager e i provvedimenti del Tribunale di Taranto. Ma anche “altri gravi eventi, indipendenti dalla volontà di ArcelorMittal” che rendono applicabile il recesso del contratto. I sindacati hanno subito lanciato l’allarme per la bomba sociale che si potrebbe scatenare con la chiusura del gigante siderurgico italiano mentre il governo ha convocato un vertice di urgenza ribadendo che non ci sarà nessuna chiusura per Ilva.

QUANTI DIPENDENTI HA ILVA

Ma perché una eventuale chiusura dell’azienda, la più grande di questo tipo in Europa, potrebbe causare un vero e proprio allarme sociale? “Sono 10.700 i dipendenti che ArcelorMittal ha assunto in tutta Italia, a partire dall’1 novembre 2018, da Ilva in amministrazione straordinaria. Di questi, 8.200 sono a Taranto e si tratta di dipendenti diretti – si legge sul sito Rainews.it -. Di questi dipendenti a Taranto, attualmente, dal 30 settembre scorso, 1.276 sono in cassa integrazione ordinaria per crisi di mercato, e ci resteranno per 13 settimane. Prima di questa fase di cassa, ve ne era stata già un’altra, sempre di 13 settimane, dal 2 luglio al 28 settembre scorso per 1.395 addetti. Prima del subentro di ArcelorMittal, lo stabilimento di Taranto contava 10.300 dipendenti. Di questi, 8.200 sono appunto stati assunti da AM, gli altri invece sono rimasti in Ilva in amministrazione straordinaria, proprietaria degli impianti: erano 2.600 dipendenti, che poi si sono ridotti a circa 1.700 perché una parte ha interrotto il rapporto di lavoro con Ilva accettando l’esodo agevolato e incentivato che era previsto dal contratto firmato con i sindacati da ArcelorMittal a settembre 2018”.

L’INDOTTO

Non solo. “A Taranto l’indotto di ArcelorMittal vale circa 3.000-3.500 dipendenti. Si occupano di lavori, rifacimenti impianti, manutenzioni, servizi e pulizie industriali e civili. Per una parte di queste aziende, quelle delle pulizie, ArcelorMittal ha avviato nelle scorse settimane una revisione dei contratti con un sensibile taglio dei costi- si legge ancora su Rainews.it -. L’indotto vive una situazione di difficoltà pesante perché sperava che con ArcelorMittal si sarebbero aperte delle opportunità di lavoro con gli investimenti industriali e ambientali annunciati dalla multinazionale, pari a poco più di 2 miliardi complessivi”.

QUANTO “PESA” ILVA SUL PAESE

Ma quanto vale in concreto economicamente l’Ilva? “Se lo stabilimento ex Ilva venisse chiuso, con il conseguente azzeramento della produzione di acciaio — ossia la perdita di 6 milioni di tonnellate a regime, anche se quest’anno non si raggiungeranno i 5 milioni – la perdita sarebbe di circa 24 miliardi di euro. È quanto emerge da un’analisi econometrica dello Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, commissionata a giugno scorso dal Sole 24 Ore – evidenzia Corriere.it -. Dal momento che nel 2017, secondo i dati Istat, il Pil italiano era stimato intorno ai 1.725 miliardi di euro – evidenzia l’analisi di Svimez — la chiusura dell’ex Ilva e il blocco della produzione avrebbe un valore pari a circa l’1,4 per cento del Pil”. Non solo. A questo conto “bisognerebbe aggiungere i mancati investimenti (ArcelorMittal si è impegnata a fare investimenti ambientali per 1,1 miliardi e industriali per 1,2 miliardi, oltre al pagamento dell’azienda per 1,8 miliardi, al netto dei canoni di affitto già versati). Al conto, ovviamente, andrebbe aggiunta la perdita di occupazione”.

IN FUMO 23 MILIARDI DI EURO DAL 2012

Secondo l’analisi econometrica dello Svimez, dal sequestro dello stabilimento avvenuto a luglio 2012 a oggi, sono andati perduti «23 miliardi di euro di Pil, l’1,35 per cento cumulato della ricchezza nazionale». Lo studio ha infatti calcolato l’impatto della crisi dello stabilimento sull’andamento manifatturiero reale e fra il 2013 e il 2018, la perdita sarebbe stata ogni anno tra i 3 e i 4 miliardi di euro.

QUANTO PRODUCE E QUALI SONO LE PROSPETTIVE

“Lo stabilimento siderurgico annaspa, fermo a poco più di 4 milioni di tonnellate di acciaio liquido prodotto nel 2019”, scrive ancora la Gazzetta del Mezzogiorno. “Dal mercato dell’acciaio arrivano pessime notizie in prospettiva. Dopo un buon 2018, il 2019 è molto difficile per l’acciaio italiano: la produzione dell’intero anno è vista in calo del 4,1%, contro un ribasso medio per i Paesi dell’Unione europea del 3,1%. Per l’Italia male le previsioni di vendita dei prodotti piani (i principali dell’ArcelorMittal ex Ilva di Taranto, ad esempio), che quest’anno dovrebbero essere in calo del 2,5%. Tutto ancora a vantaggio – secondo i dati di Siderweb – della Cina: nei primi otto mesi il gigante asiatico ha già incassato un aumento di produzione del 9%. Secondo i dati forniti da Eurofer, l’associazione europea dei produttori, il consumo di acciaio è diminuito del 7,7% nel secondo trimestre del 2019, dopo un calo dell’1,6% nel primo trimestre. L’andamento negativo della domanda di acciaio è il risultato della crisi in corso nel settore manifatturiero dell’Unione Europea e gli indicatori principali prevedono una continuazione della flessione per il resto dell’anno, senza rimbalzo prima del secondo trimestre del 2020”.

UN PO’ DI STORIA: ECCO COME NASCE ILVA

Il gruppo nasce nel dopoguerra con lo stabilimento di Genova Cornigliano ma è con la realizzazione del centro siderurgico di Taranto, numero 1 in Europa, che rafforza la sua posizione diventando un grande produttore di acciaio. La prima pietra del sito di Taranto viene posta il 9 luglio del 1960. Segue, negli anni ’70, il raddoppio che configura la fabbrica-colosso: cinque altiforni, due acciaierie, parchi minerali, pontili portuali, treni nastri e tubifici. Acquistata nel 1995 dalla famiglia Riva, l’azienda colosso della siderurgia finisce sotto inchiesta nel 2012 per disastro ambientale. Poi il commissariamento e l’assegnazione ad ArcelorMittal.

A TARANTO UNA STORIA DI TERRITORIO “MANGIATO”

“Quando, nel 1882, lo Stato italiano decise di impiantarvi l’Arsenale militare e la più grande base navale militare del Paese, Taranto – neppure 25mila abitanti – cedette un pezzo di affaccio a mare sul Mar Piccolo. Pressappoco novanta ettari vennero destinati all’insediamento con cui la Difesa mise radici nella città”. Poi negli anni ’60 fu la volta di Italsider “si è portata via, con la nascita dell’Italsider (diventata in seguito Ilva, poi venduta al Gruppo Riva nel 1995, infine passata a ArcelorMittal nel 2018), poco più di 1500 ettari, cancellando vigneti, uliveti, masserie. Ai quindici chilometri quadrati si sono aggiunti quasi contestualmente i 275 ettari della raffineria e i 31 del cementificio Cementir”.

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