Secondo l’ultimo rapporto di Assoambiente, il riciclo richiede un adeguato sostegno da parte dei decisori politici, affinché vengano rimossi tutti gli ostacoli normativi, giuridici ed economici che ne frenano il pieno sviluppo
L’Italia, grande Paese manifatturiero, ha nel DNA del proprio tessuto produttivo il recupero di materia, sviluppatosi nel corso dei secoli quale antidoto naturale alla mancanza di materie prime. Di fronte ad una condizione strutturale sfavorevole, la capacità delle aziende di riciclo e la qualità del sistema industriale hanno trasformato questo deficit in un’opportunità. La centralità degli operatori del riciclo è andata rafforzandosi negli ultimi anni, in primo luogo per la crescente consapevolezza rispetto alle conseguenze del cambiamento climatico e al ruolo attivo svolto nell’ambito del processo di transizione verso un’economia circolare, ma anche alla luce del mutato contesto internazionale. Sono alcuni dei punti emersi da
“L’Italia che Ricicla”, il rapporto annuale sul riciclo ed il recupero dei rifiuti, realizzato da Assoambiente con la collaborazione del Laboratorio Ref.
L’IMPORTANZA DEL RICICLO NELL’ATTUALE SCENARIO GEOPOLITICO
La pandemia Covid, la crisi energetica e di materie prime, la guerra in Ucraina e le tensioni geopolitiche di varia natura, così come il riemergere di dinamiche inflattive sconosciute da decenni, ci ricordano il contributo che i processi di riciclo assicurano all’indipendenza e alla sicurezza dell’Italia, all’interno del sempre più complesso reticolato di relazioni commerciali nella globalizzazione mondiale. Considerati gli ultimi avvenimenti connessi al riesplodere del conflitto israelo-palestinese e alla prosecuzione di quello russo-ucraino, questo apporto in futuro non potrà che aumentare.
C’È BISOGNO DI SOSTEGNO POLITICO
Anche per queste ragioni, il riciclo richiede un adeguato sostegno da parte dei decisori politici, affinché vengano rimossi tutti gli ostacoli normativi, giuridici ed economici che ne frenano il pieno sviluppo trasversale alle diverse filiere. A partire, ad esempio, dalle lungaggini dei processi autorizzativi, alle difficoltà di collocamento delle MPS sui mercati. Senza dimenticare, poi, la necessità di sfruttare integralmente la portata riformatrice del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), oltre che di mettere a terra i finanziamenti per gli investimenti impiantistici dedicati anche al riciclo.
L’AGENDA DI LAVORO PER IL BIENNIO 2024-2025
Muovendo i propri passi dall’evoluzione delle attuali politiche dell’Unione europea in materia e legandosi intrinsecamente con il quadro normativo italiano di riferimento, “L’Italia che Ricicla 2023” intende affidare alle istituzioni pubbliche – italiane ed europee – una “Agenda di Lavoro” per il prossimo biennio (2024-2025), che possa rafforzare il ruolo strategico del riciclo italiano nell’attuazione dell’economia circolare, valorizzando le peculiarità e i punti di forza delle singole filiere nel nostro Paese.
L’analisi delle principali policy comunitarie e delle novità normative più rilevanti a livello italiano afferenti al riciclo, a partire dall’attuazione della SNEC, congiuntamente con il punto di vista delle filiere che costituiscono l’industria del riciclo italiana, ha consentito di delineare una vera e propria “Agenda di Lavoro” per gli anni 2024 e 2025. È, questa, la principale eredità che “L’Italia che Ricicla 2023” intende trasmettere ai decisori pubblici, affinché il ruolo strategico del settore possa essere meglio compreso e valorizzato nelle sedi istituzionali.
I PILASTRI DEL RICICLO DEI RIFIUTI
Nello specifico, la ”Agenda di Lavoro” è costruita sui seguenti pilastri:
– la rimozione degli ostacoli normativi, valorizzando le esperienze nazionali, che ancora frenano il pieno sviluppo del mercato unico europeo dei prodotti riciclati;
– l’adeguamento del quadro normativo europeo alle innovazioni tecnologiche, e non, della transizione ecologica ed energetica;
– l’assicurazione di uno sbocco di mercato certo, costante ed economicamente sostenibile per i prodotti riciclati, traguardando un “Whatever It Takes” che porti a strumenti economici, agevolazioni ed obblighi volti a promuovere il riciclo.
Per quanto concerne il completamento del mercato unico delle MPS, occorre innanzitutto superare le difformità normative ancora presenti nell’UE, cercando di recepire nell’attività regolamentare europea le best practices nazionali già esistenti. In tal senso, è fondamentale che gli stakeholders istituzionali e industriali italiani partecipino in maniera responsabile ai lavori comunitari, per difendere le istanze legittime del nostro Paese nei tavoli preposti.
IL RUOLO DELLE ISTITUZIONI EUROPEE
Allo stesso modo, le istituzioni europee dovrebbero ascoltare le imprese di riciclo, evitando di adottare iniziative controproducenti e contrarie ai principi dell’economia circolare (ad esempio il divieto di utilizzare i granuli in gomma nei campi da calcio in erba sintetica). La piena realizzazione del mercato unico europeo passa, inevitabilmente, dall’omogeneizzazione delle discipline EoW nazionali, ovvero l’istituto giuridico in cui si sostanzia il processo di recupero di materia. La ratio dev’essere quella di raggiungere un giusto punto di equilibrio tra la promozione della concorrenza e la tutela dell’ambiente, facendosi guidare dalle applicazioni concrete dei prodotti riciclati che possono differire tra loro, come nel caso dei rifiuti inerti.
È poi essenziale uniformare le discipline sul trasporto transfrontaliero dei rifiuti, mirando al raccordo tra i Codici EER e i Codici Doganali. Un vulnus, quest’ultimo, che penalizza in particolare la filiera del tessile. Il riciclo deve fungere, insomma, da abilitatore della transizione green, in quanto perfettamente in grado di intercettare tanto gli aspetti di circolarità quanto quelli energetici. Ogni percorso di cambiamento appare foriero sia di potenzialità sia di minacce. Tuttavia, quest’ultime possono e devono tramutarsi in opportunità, adeguando le forme di trattamento al cambiamento degli input ed evitando che le lacune normative annullino il progresso scientifico-tecnologico.
Emblematico, in tal senso, è l’impatto atteso nel segmento dei VFU (veicoli fuori uso), a seguito del passaggio ormai avviato verso forme di mobilità a trazione elettrica, soprattutto per quanto concerne la gestione delle batterie. In generale, appare essenziale che – all’interno di un inevitabile raccordo tra pratiche nazionali e obiettivi comunitari – il percorso di attuazione delle riforme di derivazione europea venga completato in maniera organica dalle Istituzioni e dal Sistema-Paese, valorizzando le migliori pratiche già presenti e garantendo alla SNEC una rapida implementazione della sua portata riformatrice. È, questa, la fase decisiva, negli anni di completamento del PNRR, in cui vanno poste le condizioni affinché i target europei vengano interiorizzati nel framework italiano, anticipando il percorso di transizione tracciato dalla UE al 2050, secondo una logica di partecipazione sistemica tra attori istituzionali ed industriali.
TRANSIZIONE ECOLOGICA E PNRR
Relativamente agli investimenti del PNRR, è parsa mancare una programmazione sovraordinata, ovvero una strategia con cui valutare compiutamente i progetti, in ossequio ai fabbisogni reali delle diverse frazioni di riciclo nel Paese. Idealmente, si sarebbe dovuto analizzare la domanda e l’offerta di trattamento nei territori, misurare i fabbisogni impiantistici, valutare gli impianti necessari per coprire tali fabbisogni e ponderare la necessità di pianificare i flussi e di regolare i corrispettivi di trattamento, in caso di fallimento del mercato.
Affinché la transizione ecologica si concretizzi adeguatamente, rappresentando un’occasione anche per la gestione dei rifiuti, occorre rispettare appieno la gerarchia dei rifiuti. Da questo punto di vista, giova sottolineare – ancora una volta – come, al pari dell’eco-design e del riutilizzo, il recupero energetico svolge un ruolo fondamentale a complemento delle attività di riciclo, per la valorizzazione degli scarti dei processi di recupero di materia o per il trattamento di quelle frazioni non riciclabili. Va da sé, poi, che non può esistere alcun tipo di transizione senza lo sblocco definitivo degli iter autorizzativi.
Anche per l’impiantistica del riciclo, al pari di tutte le infrastrutture dedicate alla gestione dei rifiuti, i procedimenti autorizzativi devono avere tempistiche più snelle e di durata certa, tanto per i nuovi impianti, quanto per quelli pilota o per il rinnovo delle autorizzazioni già in essere. Un’accelerazione delle procedure è essenziale dal momento che il mercato dei prodotti riciclati, le innovazioni tecnologiche e i target ambientali della transizione green seguono una tabella di marcia assai più celere di quella abituale italiana. Inoltre, sarebbe opportuno che le autorizzazioni a produrre includano già in partenza anche la gestione degli scarti produttivi classificati come sottoprodotti.
ITALIA IN PRIMA LINEA NEL RICICLO
Nonostante le difficoltà congiunturali, l’Italia resta un’avanguardia nel riciclo, inteso come l’insieme dei processi di recupero di materia. L’efficacia di tali azioni, però, non può prescindere dalla garanzia di collocamento dei prodotti riciclati sul mercato. Quest’ultimo tassello costituisce la debolezza strutturale del sistema italiano. Significativo, ad esempio, è il fatto che oltre il 30% degli aggregati riciclati dei rifiuti da C&D (costruzioni e demolizioni) rimane inutilizzato, quand’invece si ricorre ancora ai materiali vergini da cava. Analoghe difficoltà di collocazione si osservano per le materie plastiche e per gli scarti tessili. Motivo, per cui, diventa impellente un “Whatever It Takes” che vada a sostenere il riciclo e la generazione di MPS, agendo soprattutto sulle fasi successive al trattamento di recupero di materia.