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La realtà dei cambiamenti climatici nelle città e in agricoltura. Cosa dice il Focus Istat

In aumento la temperatura media dei capoluoghi di regione, il 2022 anno più caldo e fra i meno piovosi degli ultimi cinquanta secondi dati Istat

L’Istat ha pubblicato un Focus con le misure statistiche intitolato “L’adattamento ai cambiamenti climatici: realtà in ambito urbano e nuove geografie per l’agricoltura”.

“Le conseguenze dei Cambiamenti Climatici sono sempre più tangibili – spiega l’Istituto di statistica -: tutti i Paesi vi sono esposti e la gravità degli impatti varia nei territori a seconda delle condizioni meteoclimatiche, geografiche, socioeconomiche e dei relativi parametri di rischio (pericoli, esposizione, vulnerabilità). Alle strategie di mitigazione finalizzate alla riduzione delle cause delle emissioni di gas climalteranti, vanno integrate misure di adattamento di diversa matrice, volte a ridurre gli impatti diretti e associati, attraverso la protezione e il rafforzamento dei sistemi naturali, economici e sociali, nel rispetto del principio della Giusta Transizione, vale a dire processi tesi allo sviluppo di un sistema rispettoso del principio di sostenibilità ambientale ed economica, ma anche giusto e inclusivo”.

Inoltre, “le misure di adattamento sono necessarie a tutti i livelli, in coerenza con le strategie di riduzione del rischio da disastro – indotto direttamente o indirettamente dai Cambiamenti Climatici o di altra natura – e nel quadro più ampio dello Sviluppo Sostenibile (Agenda 2030 United Nations UN), con piani di azione generali che delineano la cornice di riferimento e piani di azione specifici per considerare le diversità locali e territoriali. Tra questi, le soluzioni verdi (Nature-Based Solutions, NbS) sono fondate sul rafforzamento dei sistemi naturali, delle quali co-beneficiano la riduzione della perdita di biodiversità e dell’inquinamento”, evidenzia Istat secondo cui la disponibilità di informazione statistica è alla base della conoscenza per la definizione delle azioni e delle priorità per ridurre la vulnerabilità dei sistemi umani e naturali, per minimizzare i danni e le perdite, privilegiando la prevenzione.

OBIETTIVO DELLE NAZIONI UNITE: LIMITARE A +1,5°C LA CRESCITA DELLA TEMPERATURA MEDIA GLOBALE

I Cambiamenti Climatici (CC) osservati su scale temporali estremamente ampie possono essere collegati a fenomeni fisici naturali (circolazione di correnti oceaniche, attività vulcaniche, radiazione solare, orbita terreste). Vi è consenso scientifico nel ritenere che le attività antropiche siano la causa primaria del riscaldamento globale e dei rapidi mutamenti del clima rilevati dalla seconda metà del XX secolo. Nell’ultima Conferenza Annuale delle Nazioni Unite sui CC di Dubai (Dicembre 2023) è stata confermata la soglia obiettivo per limitare l’aumento della temperatura media globale a +1,5°C rispetto all’era pre-industriale (definita nell’Accordo di Parigi 2015).

Studi geofisici evidenziano che gli effetti dei CC sono amplificati e più evidenti negli hotspot climatici: calotte polari, aree montane, Mediterraneo, aree urbane. Molto esposte per densità di popolazione, infrastrutture, attività economiche e patrimonio artistico, le città sono al centro delle sfide dei CC e svolgono un ruolo chiave nella governance per la transizione verso la neutralità climatica. Nel territorio italiano, fragile ed esposto agli effetti avversi dei CC, gli aumenti della temperatura dell’aria e di fenomeni meteoclimatici estremi (onde di calore, notti tropicali, siccità, bombe d’acqua, alluvioni) stanno colpendo molte città del Paese, con impatti e danni talora irreversibili su ambiente, sistemi socio-economici e urbani e con perdita di vite umane. Per alcune di esse, la soglia obiettivo di +1,5°C della temperatura media appare superato in diversi anni dell’ultimo decennio.
La disponibilità di dati a scala locale in serie storiche ampie e ad elevata granularità è cruciale per analizzare i fenomeni meteoclimatici nei sistemi urbani, valutare impatti ed elementi a rischio per definire efficaci strategie di adattamento, in base al grado di esposizione delle singole aree osservate. Tali misure statistiche meteoclimatiche sono di supporto nel monitoraggio di: Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (SNAC 2015), Piano nazionale integrato energia e clima (PNIEC 2020), Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR 2021), Strategia nazionale di sviluppo sostenibile (SNSvS 2022) e Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNACC 2023).

ANNI 1971-2022, IN AUMENTO LA TEMPERATURA MEDIA DEI CAPOLUOGHI DI REGIONE

Considerando l’insieme dei Capoluoghi di Regione, nel periodo 1971-2022 la temperatura media annua mostra un trend di crescita, con i valori più alti registrati nell’ultimo decennio (dati rilevati da stazioni termo-pluviometriche collocate al suolo). Confrontati i valori annuali con il valore medio del trentennio 1981-2010 (Normale Climatologica CLINO), le anomalie climatiche forniscono informazioni sui CC nel lungo periodo. Dopo un punto di svolta a fine anni ’80, dal 1997 le anomalie sono sempre positive (tranne il 2005 ed il 2010), le più alte a partire dal 2014, quando la temperatura media raggiunge per la prima volta i 16°C, superando di circa +1,1°C il valore climatico 1981-2010.

Il 2022 segna la temperatura media più alta dal 1971 (circa 16,6°C) confermando il trend di crescita e con un picco di anomalia termica mai registrato, pari a 1,7°C rispetto al CLINO considerato. Un’analisi dei valori medi decennali evidenzia come la temperatura media dei Capoluoghi di Regione passa dai 14,9°C del 1991-2000 ai 15,2°C del 2001-2010, fino ai 15,8°C del 2011-2020 (con un’anomalia media di circa +1°C sul CLINO 1981-2010).

Sovrapposta alla crescita della temperatura media nel periodo 1971-2022, la precipitazione totale annua dei Capoluoghi di Regione segna una variabilità inter-annuale, confermata dall’andamento delle anomalie annuali rispetto al valore climatico 1981-2010 (valore medio pari a circa 743 mm). Da metà anni ’90 l’ampiezza delle oscillazioni delle anomalie rispetto al CLINO appare in aumento. Gli ultimi tre anni rilevati mostrano anomalie negative, la più alta nel 2022 (circa -167 mm), anno in cui si registra la precipitazione annua più bassa dal 1971 (dopo l’anno 2007).

IL 2022 ANNO PIÙ CALDO E FRA I MENO PIOVOSI DEGLI ULTIMI CINQUANTA

Con una temperatura media di circa 16,6°C, il 2022 è l’anno più caldo dal 1971 per i Capoluoghi di Regione, registrando un’anomalia termica di +1,7°C rispetto al trentennio 1981-2010. A tale fenomeno risulta esposta una popolazione residente di poco superiore a 9,5 milioni (pari a circa 16,1% della popolazione nazionale). Nel 2022 le anomalie di temperatura media sono positive rispetto al trentennio 1981-2010 per tutti i Capoluoghi di Regione, superiori a +1,5°C per 14 di essi.
In testa Roma (+2,7°C) e Milano (+2,5), seguite da Perugia (+2,3) e Torino (+2,1). Le anomalie più contenute si registrano per Ancona (+0,7°C), Palermo (+0,9) e Bari (+1). L’aumento della temperatura media è ascrivibile a rialzi di temperatura sia massima sia minima, rilevati per tutte le città esaminate (tranne L’Aquila). Nel 2022, fra i Capoluoghi di Regione, la temperatura media in valore assoluto è più alta per Palermo (circa 19,8°C), Cagliari (19,5) e Roma (18,7). Riguardo alla temperatura massima i Capoluoghi in testa sono Roma (24,8°C), Cagliari (24) e Palermo (23,1).

Per i Capoluoghi di Regione il 2022 è il secondo anno meno piovoso dal 1971 (dopo il 2007), con una precipitazione totale media di 576 mm (-167 mm rispetto al CLINO 1981-2010). Il calo interessa 17 di queste città, in particolare Milano (-585,5 mm), Genova (-567,3) e Torino (-496,4). Estendendo l’analisi ai 24 Capoluoghi di Regione e Città metropolitana, la precipitazione 2022 è in media di 561 mm. Rispetto ai volumi medi del decennio 2006-2015, sono caduti circa 232 mm di pioggia in meno. Tutte le città esaminate (eccetto Potenza) sono colpite da diminuzioni, in particolare Torino (-676,6 mm), Milano (-569,2 mm) e Genova (-531,2).

Analizzando i dati dell’insieme dei 109 Capoluoghi di Provincia, dove risiede quasi il 30% della popolazione italiana (pari a 17,5 milioni di persone), nel 2022 la temperatura media raggiunge circa 16,6°C, superando di circa 1°C il valore medio del decennio 2006-2015 (periodo completo di dati giornalieri per tutte le città esaminate). Rispetto al valore medio del periodo di riferimento sono 99 le città che segnano aumenti (superiori a +1°C per circa il 60% di esse). Gli aumenti più elevati si registrano per Modena (+3,4°C), Sondrio (+2,6), Cremona (+2,4) e Massa Carrara (+2,1). In base alla localizzazione geografica le città delle Isole e del Sud mostrano le temperature più alte (in media, rispettivamente, 18,7 e 16,9°C), mentre quelle del Nord-ovest e del Nord-est gli aumenti più marcati rispetto al 2006-2015 (+1,4°C e +1,2).

I Capoluoghi di Provincia delle Isole, con 1,9 milioni di persone (circa l’11% della popolazione residente nei 109 Capoluoghi) sono esposti alla temperatura media più alta, fra quelle registrate nelle città esaminate per macro-area. Seguono i Capoluoghi del Sud, con quasi 3,2 milioni di residenti. I dati raccolti dalle stazioni meteorologiche, indicano che anche per il 2023 la temperatura media rilevata nelle città si colloca su livelli molto elevati, confermando il trend positivo registrato dal 1971.

La precipitazione totale dei 109 Capoluoghi di Provincia si riduce in media di circa 279 mm rispetto al valore 2006-2015. Si registrano cali per ben 95 Capoluoghi, i più consistenti per Verbania (-922,6 mm), seguita da Varese (-869,1), Monza (-824,8), Udine (-681,2) e Torino (-676,6).

In base alla localizzazione geografica dei 109 Capoluoghi di Provincia, nel 2022 la precipitazione annua è più bassa in valore assoluto per l’insieme dei Capoluoghi di Isole e Nord-ovest (rispettivamente circa 420 mm e 540, valori inferiori a quello medio 2006-2015), aree dove risiede il 35,5% della popolazione dell’insieme delle città esaminate. Tutte le macro-aree sono colpite da diminuzioni della precipitazione rispetto al valore medio 2006-2015, più alte per le città del Nord-ovest e del Nord-est (rispettivamente pari a circa -492 e -271 mm), dove risiede circa il 43% della popolazione dei Capoluoghi di Provincia italiani.

INDICI DI ESTREMI METEOCLIMATICI IN AUMENTO PER LE CITTÀ ITALIANE

Nel periodo 2006-2022, per l’insieme dei Capoluoghi di Regione, gli Indici di estremi di temperatura registrano aumenti rispetto ai corrispondenti valori medi del trentennio climatologico 1981-2010. In particolare, giorni estivi (temperatura massima >25°C) e notti tropicali (temperatura media che non scende al di sotto dei 20°C) marcano anomalie positive per tutti gli anni esaminati (tranne il 2010 per i giorni estivi ed il 2014 per le notti tropicali). Per queste 21 maggiori città, nel periodo esaminato, si rilevano in media 113 giorni estivi e 49 notti tropicali all’anno (l’anomalia climatica media del periodo è rispettivamente pari a +12 giorni e +11 notti sul CLINO 1981-2010).

L’indice sulle onde di calore segna anomalie positive per quasi tutti gli anni (la più alta nel 2022), con un valore medio 2006-2022 di circa +10 giorni sul valore climatico. Gli scostamenti di tali indici sono più marcati negli ultimi anni osservati, in particolare nel 2022. L’indice giorni senza pioggia (in media 283 all’anno nel periodo 2006-2022), riflettendo la variabilità inter-annuale della precipitazione, mostra oscillazioni delle anomalie che vanno da un minimo di -23 giorni nel 2010 ad un massimo di +15 nel 2022 rispetto al CLINO 1981-2010.

Nel 2022, sempre riguardo ai Capoluoghi di Regione, giorni estivi e notti tropicali segnano anomalie significative di segno positivo rispetto al valore climatico 1981-2010 che interessano tutte le città (in media +28 giorni e +32 notti).

I giorni estivi aumentano più significativamente per Roma (+54 giorni), Genova e Aosta (+41), mentre le notti tropicali per Milano (circa +57 notti), Torino e Genova (+49) e Bologna (+47). I giorni senza pioggia dei Capoluoghi di Regione nel 2022 superano in media di 15 giorni il valore climatico 1981-2010. L’aumento dei giorni privi di precipitazione interessa tutte le città esaminate (tranne Bari) e vede in testa Trento (+38 giorni), seguita da Firenze e Milano (+28) e L’Aquila (+22).

Nel 2022 gli indici rappresentativi degli estremi di temperatura registrano aumenti per gran parte dei 109 Capoluoghi di Provincia. In particolare, i giorni estivi e le notti tropicali salgono rispettivamente di 19 e 20 rispetto ai valori medi 2006-2015 (in media si registrano 136 giorni estivi e 58 notti tropicali nell’anno osservato). In crescita anche i giorni senza pioggia (+18 rispetto al decennio di riferimento) che salgono a 299 nell’anno, valore medio dell’insieme delle città esaminate.

DIFFERENZIALE DI TEMPERATURA TRA AREE URBANE E VEGETATE IN TRE GRANDI CITTÀ: ROMA, MILANO E NAPOLI

A integrazione delle analisi sopra descritte, per tre grandi città selezionate per la loro rappresentatività geografica, estensione territoriale, densità della popolazione e confrontabilità dei dati a livello spaziale, quali Milano (182 Km2), Roma (1.281 Km2) e Napoli (119 Km2), si è calcolato il differenziale di temperatura tra ogni punto della città e la media rilevata all’interno delle aree vegetate circostanti. Le informazioni sono state elaborate con il tool messo a disposizione dall’ESA European Space Agency, SNAP Toolbox Sentinel Application Platform, appositamente sviluppato per l’elaborazione di immagini ambientali provenienti da numerose missioni di telerilevamento. Per estrarre la temperatura delle aree urbane e quella ricadente nelle aree vegetate è stato utilizzato l’applicativo del software SNAP denominato “Pin Manager”, ottenendo per ogni punto la differenza di temperatura rilevata tra le aree urbane, dove le temperature sono generalmente più elevate, e la media delle aree vegetate circostanti.

Il differenziale di temperatura tra le aree urbane e la media delle aree vegetate circostanti è stato calcolato ad una scala geografica di Municipio. La città che risulta maggiormente colpita dal fenomeno è Roma, dove la differenza di temperatura tra aree urbane e vegetate circostanti è di +6,5°C, collocata principalmente nelle aree centrali della città (Municipio I e II) e nel quadrante ad est (Municipio V). Roma risulta anche la città con il differenziale di temperatura più basso; questo avviene nei Municipi IX, X e XIV. In questi Municipi la maggiore presenza di aree vegetate riesce a raffrescare l’aria fino ad abbassare la temperatura di quasi tre gradi (-2,9°C). A Milano questo differenziale è leggermente più basso e varia tra -1,7 e +4,5°C, molto vicino a quello rilevato a Napoli, dove varia tra -1,6 e +4,1°C.

A Milano le temperature medie rilevate nelle aree urbane e in quelle vegetate mostrano escursioni di temperatura comprese tra -0,5°C (zone altamente vegetate) e +3,7°C (zone maggiormente urbanizzate). Per le aree meno colpite, con temperature mediamente simili tra quelle urbane e quelle vegetate, escursioni tra -0,5 e +1,1°C in media sono state rilevate nei Municipi V e IV, aree a Sud di Milano. Il fenomeno è più marcato nei quartieri centrali (Municipio I) e nell’adiacente zona a nord (Municipio IX), tra +2,8 e +3,7°C.

Nel caso di Napoli le escursioni di temperature più basse si riscontrano nei Municipi IX e VIII, variazioni medie tra (+0,7°C e +0,8°C). Al contrario, quelle mediamente più elevate riguardano i Municipi IV e II, tra +2,8°C e +3,7°C. Anche a Roma si rilevano significative variazioni medie, le temperature nei quindici Municipi oscillano da un intervallo minimo tra +0,1°C e +0,6°C, rilevato nei Municipi X e IX posti a sud di Roma, e nel Municipio XIV (+0,3°C), ad un massimo tra +4,3°C e 5,5°C, rispettivamente nel quadrante Est (Municipio V) e del centro storico (Municipio I).

LA FORESTAZIONE URBANA PER L’ADATTAMENTO ALLE ISOLE URBANE DI CALORE

L’espansione delle aree verdi nelle città può rappresentare una delle soluzioni naturali di contrasto alle temperature elevate, con la messa a dimora di nuovi alberi su aree estese e dedicate alla crescita di nuovi boschi a sviluppo naturale (aree di forestazione urbana); boschi e aree verdi che, oltre a svolgere la funzione di assorbimento della CO2, sono estremamente efficaci per mitigare il fenomeno delle Isole Urbane di Calore delle città, dove, come detto, le temperature sono mediamente più elevate rispetto alle aree vegetate circostanti.

Nel complesso dei Capoluoghi di Provincia/Città metropolitana, l’estensione delle aree verdi complessive (urbane e protette), al netto delle loro sovrapposizioni, è di 3.826 Km2, corrispondente al 19,7% dell’incidenza complessiva territoriale. Una parte di queste consiste in aree verdi prettamente urbane (573 Km2, il 2,9% della superficie) che corrispondono a una disponibilità media di 32,8 m2 per abitante. Gli interventi di forestazione urbana e periurbana riguardano più della metà dei Capoluoghi (56). Sono complessivamente estesi per 13,2 km2, che rappresentano in media 34,1 m2 per ettaro. Un quarto dei Capoluoghi ha adottato interventi al di sopra della media, in particolare i Capoluoghi del Nord (77 m2 per ettaro in quelli del Nord-est; 40 m2 nel Nord-ovest), mentre scendono a 20 m2 nel Centro, a 10 m2 al Sud e a 5 m2 nelle Isole.

Nel 2011 erano solo 30 i Capoluoghi con interventi di forestazione urbana e periurbana: negli ultimi 11 anni la superficie dedicata alla forestazione urbana è, infatti, progressivamente aumentata (+26,1%). Gli incrementi maggiori si sono registrati in prossimità degli anni in cui il legislatore è intervenuto a sostegno dello sviluppo delle aree verdi: con l’introduzione della Legge 10/2013, “Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani”, tra il 2011 e il 2014 gli incrementi annui sono stati dell’1,9%; in particolare, tra il 2019 e il 2022 si è registrato un incremento medio annuo del +3,1% su base nazionale, mentre nei Comuni capoluogo di Città metropolitana la crescita è stata significativamente maggiore (+4,7%). A tale proposito si ricorda come la Misura 2 – Componente 4 – Investimento 3.1 “Tutela e valorizzazione del verde urbano ed extraurbano” del PNRR intenda rafforzare proprio queste positive tendenze.

INTERAZIONE FRA CLIMA E PRESSIONI AMBIENTALI IN AMBITO URBANO

L’urbanizzazione è causa di pressioni sull’ambiente naturale. Gli effetti del cambiamento del clima possono intensificare tali pressioni e aumentare la vulnerabilità delle città, rappresentando, quindi, una sfida per le città che, per accrescere la resilienza, devono considerare azioni di adattamento e di mitigazione, in un’ottica di sostenibilità.

Un indicatore della pressione sull’ambiente generata dal traffico veicolare è il tasso di motorizzazione, che in Italia presenta il valore più alto dell’Unione europea (682 autovetture per mille abitanti contro una media Ue di 564 nel 2022), in aumento dell’1,2% sull’anno precedente e in crescita ininterrotta dal 2013 (+12,3%). Il contributo di mitigazione dei veicoli a basse emissioni, inoltre, è ancora limitato, dato che la quota di autovetture con alimentazioni tradizionali, a benzina o gasolio, è diminuita solo marginalmente negli ultimi anni (dal 91,1% del 2017 all’86,1% del 2022).
Nelle città i valori del tasso di motorizzazione sono mediamente più bassi ma ugualmente in crescita: 637 autovetture per mille abitanti nell’insieme dei Comuni capoluogo e 600 nei Capoluoghi di città metropolitana (entrambi in aumento dell’1,4% sull’anno precedente), con differenze di rilievo tra le ripartizioni (602 nei Capoluoghi del Nord, 652 in quelli del Centro e 673 in quelli nel Mezzogiorno).
Tali differenze possono essere messe in relazione con l’offerta di trasporto pubblico locale: dove questa è più abbondante, infatti, i tassi di motorizzazione tendono a essere più bassi. In generale, ciò avviene nelle città rispetto al resto del territorio; in particolare, nelle grandi città rispetto alle medio-piccole (6.812 posti-km per abitante nei Capoluoghi metropolitani contro 2.343 negli altri Capoluoghi), e nei Capoluoghi nel Nord (6.085 posti-km/ab.) rispetto a quelli del Centro (5.407) e del Mezzogiorno (1.972).
Nel 2022 l’inquinamento da ozono, sostanza prodotta in atmosfera tramite reazioni fotochimiche di altri inquinanti, risulta in aumento dopo quattro anni di costante diminuzione, con un numero di superamenti dell’obiettivo a lungo termine (120 µg/m3 della media mobile giornaliera di 8 ore) di 39 giorni in media. L’alto numero di giorni di superamento caratterizza esclusivamente i Capoluoghi di provincia e di città metropolitana del Nord (62 giorni). Nel Centro e nel Mezzogiorno, invece, l’andamento è stabile, con un numero di giorni di superamento molto inferiore.

PERDITE IDRICHE E CONSUMO DI ENERGIA NEI COMUNI CAPOLUOGO

Azioni di adattamento si fondano anche sull’efficienza nell’uso delle risorse idriche ed energetiche. Nel 2022 le perdite idriche totali nelle reti di distribuzione dell’acqua potabile dei 109 Capoluoghi si attestano al 35,2% dell’acqua immessa in rete, circa sette punti sotto la media nazionale (42,4%) e 10 punti in meno rispetto ai Comuni non capoluogo (45,3%). Questo dato rappresenta il minimo registrato a partire dal 2012, dopo aver raggiunto il picco nel 2016 con il 39,0%. Sebbene nel 2022 ci sia complessivamente un lieve calo rispetto al 2020 (-1 p.p.), in quattro capoluoghi su 10 le perdite in distribuzione sono in aumento. Le criticità sono maggiori nei Capoluoghi del Mezzogiorno (48,5%), con perdite che variano dal 22,4% nel Nord-ovest al 50,3% nelle Isole. Le infrastrutture idriche dei Capoluoghi metropolitani mostrano condizioni migliori, con perdite del 31,0% rispetto al 40,2% degli altri Capoluoghi.

Nel 2022, per l’insieme dei 109 Comuni capoluogo, il consumo totale di energia (elettrica più gas naturale) diminuisce del 6,3% rispetto all’anno precedente e il livello si attesta a 75 tonnellate equivalenti di petrolio (tep) per 100 abitanti, valore inferiore a quello del periodo della crisi pandemica del 2020 (75,2). La flessione dei consumi complessivi è dovuta principalmente alla contrazione della domanda di gas naturale, causata dal rialzo dei prezzi della materia prima per effetto delle tensioni internazionali, dalle misure di contenimento dei consumi varate nell’ultimo trimestre del 2022 nonché a temperature medie particolarmente miti negli ultimi mesi dell’anno.
Nelle ripartizioni geografiche, pur in presenza dello stesso trend discendente, i livelli di consumo sono fortemente diversificati a causa delle differenti condizioni climatiche, produttive e infrastrutturali. Nei Capoluoghi del Nord si impiegano in totale 98,2 tep per 100 abitanti (-8% sul 2021); nel Centro, invece, dove la riduzione è minore (-3,6%), il consumo medio è di 69 tep per 100 abitanti; infine nel Mezzogiorno il consumo scende a 46,5 tep per 100 abitanti (-4,5%).

I CONSUMI DI ENERGIA DELLE FAMIGLIE RESIDENTI IN ITALIA

Nel complesso del Paese i sistemi di riscaldamento delle abitazioni, insieme alla crescente diffusione di impianti di condizionamento, di dispositivi ed elettrodomestici, hanno aumentato la domanda complessiva di energia da parte delle famiglie. Nel 2021 il 98,6% delle famiglie dispone nell’abitazione principale di sistemi di riscaldamento, il 99,6% di sistemi per produrre acqua calda e il 48,8% di un sistema di condizionamento. Frigoriferi e lavatrici sono presenti in quasi tutte le famiglie (99,5 e 97,3%, rispettivamente), mentre la metà di loro (50,2%) possiede una lavastoviglie, il 15,2% un’asciugatrice separata dalla lavatrice e il 27,3% un congelatore esterno al frigorifero. Il gas naturale (metano) e l’energia elettrica sono le fonti che incidono di più sulla spesa energetica domestica (83,8%). Inoltre, il 17,0% delle famiglie utilizza legna da ardere e il 7,3% il pellet con riferimento al 2020. Il 75,4% delle famiglie dichiara di aver effettuato investimenti in risparmio energetico nei cinque anni precedenti il 2021.

PREOCCUPAZIONI E COMPORTAMENTI ECOCOMPATIBILI DELLA POPOLAZIONE

La preoccupazione per i cambiamenti climatici e l’effetto serra è tra le prime cinque preoccupazioni ambientali delle persone (14 anni e più): lo è per circa il 71% delle persone (2022 e 2023). Nel tempo la quota di persone preoccupate di questo aspetto è gradualmente aumentata (dopo la flessione dovuta alla pandemia), seppure in misura minore tra gli uomini e nelle fasce d’età più anziane.

Molte persone adottano comportamenti ecocompatibili; tra i più diffusi sono l’attenzione a non sprecare energia e acqua (adottato abitualmente dal 69,8% e dal 67,6% delle persone rispettivamente); a seguire, l’acquisto di prodotti a chilometro zero (adottato dal 22,5%), l’evitare prodotti usa e getta (19,7%); scegliere mezzi di trasporto alternativi all’auto e/o altri veicoli a motore privati (17,4%), l’acquisto prodotti biologici (13,7%).

I comportamenti ecocompatibili risultano meno frequenti nelle fasce di età più giovani e tra gli uomini. Circa la metà dei 14-24enni fa abitualmente attenzione a non sprecare l’acqua (49,5%) e l’energia (48,6%), contro i tre quarti circa delle persone di 55 anni e più (73,9% per l’acqua; 76,6% per l’energia).

LE SOTTOSEZIONI DELLE ECOREGIONI ITALIANE

La classificazione dei Comuni Italiani in Ecoregioni rappresenta un approccio scientifico alla classificazione ecologica del territorio che ne prevede una divisione in unità a crescente grado di omogeneità. Utilizzando questa classificazione vengono considerate le peculiarità che questa tipologia geografica riesce a fornire, essendo il risultato di specifiche combinazioni tra fattori climatici, biogeografici, fisiografici e idrografici. Questi elementi, permettono una lettura più integrata ed omogenea delle conseguenze dei cambiamenti climatici nei territori coinvolti. Attraverso questa classificazione si presentano alcuni dati sul rischio idrogeologico (frane e alluvioni) – cui l’Italia è naturalmente predisposta per le sue caratteristiche geologiche, morfologiche e idrografiche, cui si aggiungono gli incrementi delle temperature e degli estremi di precipitazione derivati dai cambiamenti climatici – e alcuni indicatori del 7° Censimento generale dell’agricoltura.

Nelle cinque sottosezioni più popolose vive più della metà della popolazione (51,5%): il 25,8% nella sottosezione Pianura Centrale (1B1b, 15.312.558 abitanti), il 7,1% nella sottosezione Romana (2B1c, 4.232.149 abitanti) il 6,6% nella Campana Tirrenica Occidentale (2B2a, 3.865.869 abitanti), il 6,0% nella sottosezione delle Murge e Salento (2C2b) e il 5,9% nella Prealpina (1A2a). Le sottosezioni della Sardegna risultano avere quote di popolazione molto basse: il 2,7% nel complesso, con 1.569.832 persone. La quota più bassa è relativa alla Sarda Nord-orientale (2B4d, 0,2%, con 140.845 abitanti).

RISCHIO IDROGEOLOGICO NELLE SOTTOSEZIONI DELLE ECOREGIONI ITALIANE

Il rischio idrogeologico, derivato da dissesti del territorio in frana e da eventi climatici di tipo alluvionale in zone in cui si hanno esondazioni dei corsi d’acqua, è strettamente connesso alla morfologia territoriale e alla geologia e litologia dei terreni. La chiave di lettura fornita dalla classificazione dei Comuni Italiani secondo le Ecoregioni contribuisce ad arricchire la conoscenza per la stima e la valutazione dei rischi. Nelle 33 sottosezioni ecoregionali la quota di superficie esposta a rischio frane e a rischio alluvioni evidenzia un quadro dove alcune sottosezioni risultano interessate più da un fenomeno che dall’altro, mentre alcune sono interessate da entrambi.
Le sottosezioni Lagunare (1B1a) e Pianura Centrale (1B1b), che ricoprono gran parte del territorio della Pianura Padana interessano porzioni delle regioni Emilia-Romagna, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia e Piemonte e, data la morfologia pianeggiante del territorio, hanno una naturale predisposizione ad eventi di esondazione, mentre il rischio frane risulta avere valori più contenuti e inferiori al 5%. La particolare esposizione al rischio alluvioni rispetto al rischio frane è legata alla morfologia territoriale in prevalenza pianeggiante e piuttosto articolata dal punto di vista del reticolo fluviale che, in presenza di eventi alluvionali importanti, può comportare un dissesto per l’intero territorio coinvolto.

Anche per la sottosezione Maremmana (2B1b), che coinvolge una parte del territorio della regione Toscana e una piccola parte del territorio del Lazio nord occidentale, una parte piuttosto ampia del territorio è soggetta ad esondazioni. In questo caso la morfologia territoriale in parte pianeggiante e in parte collinare comporta anche un aumento legato al rischio frane, per cui il territorio esposto a rischio frane elevato e molto elevato raggiunge il 10,9%.

Per quanto riguarda l’Emilia-Romagna, la Liguria e la Toscana, parte del loro territorio è compreso nella sottosezione Appennino Tosco-Emiliana (1C1a). Trattandosi di un territorio prevalentemente montuoso, l’esposizione al rischio alluvione diminuisce, in quanto risulta percorso dal reticolo idrografico dei fiumi che si dirigono verso il fondovalle, mentre il rischio frana elevato e molto elevato raggiunge il 25,1%, data la presenza della catena montuosa dell’Appennino Tosco-Emiliano. Per le sottosezioni della Sicilia e della Sardegna si ha un’esposizione a frane e alluvioni più omogenea, in quanto i rischi presenti coinvolgono percentuali più basse di superficie esposta, nel caso delle frane comprese tra il 5,1 e il 10%.

Le sottosezioni Dolomitico Carnica (1A2a) e quella delle Alpi Nord Occidentali (1A2b), che coinvolgono parte dell’arco Alpino, hanno una minore superficie esposta a rischio di alluvione. Per la sottosezione Dolomitico-Carnica la superficie esposta al rischio frane è inferiore al 10%, mentre quella delle Alpi Nord Occidentali, in cui è interamente compresa la Valle d’Aosta, è superiore al 20%.

Queste informazioni si integrano con le analisi regionali, per cui la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste presenta un’elevata superficie esposta al rischio di frane (80%). Poco meno del 15% di superficie dell’Emilia-Romagna risulta esposta a rischio “elevato e molto elevato” di frane. Per alcune regioni come la Campania, il Molise, l’Abruzzo, la Toscana, la Liguria e il Trentino-Alto Adige/Südtirol la superficie esposta a rischio “elevato e molto elevato” di frane è molto più marcato rispetto a quella esposta al rischio di alluvioni.
La presenza di elementi economici, sociali, ambientali sul territorio è determinante per la valutazione del rischio, sulla base dei paramenti connessi ai pericoli, alla esposizione e alla vulnerabilità.

L’AGRICOLTURA ITALIANA NEL CONTESTO DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO

Nel contesto dei cambiamenti climatici l’agricoltura italiana si trova a dover affrontare effetti sulle colture, sulle disponibilità idriche, anche per gli impatti avversi provocati dagli eventi estremi di temperatura e di precipitazione, e ciò richiede una forte capacità di resilienza anche nell’individuare soluzioni diversificate che consentano di preservare le attività economiche.
Di seguito si presentano alcuni indicatori del 7° Censimento generale dell’agricoltura rappresentati secondo la classificazione per Ecoregioni, ovvero sulla base della omogeneità rispetto a fattori climatici, biogeografici, fisiografici e idrografici, estremamente rilevanti per le analisi territoriali e per le strategie di gestione del territorio a diverse scale.

LA PRESENZA DI AZIENDE AGRICOLE NELLE ECOREGIONI ITALIANE

Di particolare interesse sono gli elementi relativi al settore agricolo. Le aziende agricole si configurano come particolari nuclei produttivi strettamente connessi al territorio in cui sono ubicati, strutturati come imprese individuali o società di persone, che praticano come attività prevalente la produzione di beni primari. Sono proprio queste caratteristiche che comportano elevati rischi d’impresa per le aziende agricole italiane, in conseguenza dei cambiamenti climatici, di fattori geopolitici che influiscono sugli approvvigionamenti – inclusa l’energia – e di rilevanti eventi esogeni come la pandemia da Covid-19.

Sebbene in forte concentrazione rispetto al 2010, nel 2020 le aziende agricole italiane erano ancora molto numerose. Il Censimento 2020 ne ha contate 1.133.006, per una superficie agricola utilizzata (SAU) di 12.431.808 ettari.

35 aziende agricole su 100 sono localizzate in tre sole sottosezioni delle Ecoregioni, la Pianura Centrale (1B1b, 11,2%), la Calabrese (2B2c, 8,2%) e quella delle Murge e Salento (2C2b, 15,7%). A queste corrisponde anche circa il 30% della SAU nazionale.

AZIENDE AGRICOLE CHE PRATICANO ATTIVITÀ CONNESSE A QUELLA PRIMARIA IN EVOLUZIONE

La pratica di attività aggiuntive rispetto a quella primaria si associa alla capacità dell’azienda agricola di diversificare le fonti di ricavo e il rischio di impresa, di valorizzare i prodotti e le tradizioni del territorio e di entrare in comunicazione con varie tipologie di utenti, offrendo servizi specifici, come quelli turistici, gastronomici od educativi. Questi aspetti possono essere considerati elementi di forza e resilienza dell’azienda, rispetto alle modifiche ed ai rischi di mercato indotti dai cambiamenti climatici e da altri fattori esogeni.

La fotografia scattata dal 7° Censimento generale dell’agricoltura, riferito all’annata agraria 2019-20, ossia nel periodo compreso tra il 1° novembre 2019 e il 31 ottobre 2020, presenta uno scenario in evoluzione rispetto al 2010: in dieci anni la percentuale di aziende agricole con almeno un’attività connessa è passata dal 4,7% al 5,7%. Questo dato assume particolare rilevanza se si considera che, durante il periodo di riferimento, si è diffusa l’epidemia da Covid-19 che, nel settore primario, ha avuto importanti ripercussioni negative proprio su alcune delle principali attività non strettamente agricole, in particolare su quelle che prevedono l’apertura al pubblico. Tra le attività connesse, nel 2020 le più diffuse erano: l’agriturismo (praticato dal 37,8% delle aziende con attività connesse), le attività agricole e non agricole per conto terzi (che interessavano il 18,0%) e la produzione di energia rinnovabile (16,8%).

Persistono evidenti divari territoriali. Se, da un lato, la quota di aziende con almeno un’attività connessa supera il 10% (in 10 sottosezioni delle Ecoregioni, con il picco del 27,2% nella sottosezione Dolomitico-Carnica, 1A2b), dall’altro lato tale quota è inferiore alla media nazionale in 18 di loro. Inoltre, è evidente il persistente divario tra Centro-nord e Mezzogiorno, ad eccezione della Sardegna, con una forte concentrazione delle aziende che adottano strategie di diversificazione localizzate soprattutto nelle aree alpine e prealpine.

Tra le numerose attività connesse praticate dalle aziende agricole, rivestono un ruolo centrale quelle finalizzate ad offrire specifici servizi a particolari categorie di clienti. Si tratta di servizi alla persona offerti, oltre che dai già citati agriturismi, dalle fattorie didattiche e dalle fattorie sociali. Mentre le fattorie didattiche nascono per favorire il collegamento tra città e campagna, far conoscere l’ambiente rurale, l’origine dei prodotti alimentari e la vita degli animali, l’agricoltura sociale mira all’uso terapeutico delle attività presenti in un’azienda agricola, proponendo attività spesso di tipo manuale, come l’allevamento e la cura degli animali e l’orticoltura, che possono essere di beneficio sia in ambito educativo sia a persone in particolari situazioni di svantaggio e difficoltà. Nel complesso, nel 2020 in Italia il 2,5% delle aziende agricole offriva uno o più tra i suddetti servizi alla persona. Anche in questo caso persiste una forte divaricazione territoriale, con percentuali – con poche eccezioni – mediamente molto più elevate nelle Ecoregioni del Centro-nord: i picchi caratterizzano le Ecoregioni Dolomitico-Carnica (17,7%), Porzione della Provincia illirica (14,9%), Alpi Nord-orientali (11,3%), Maremmana (9,4%) e Bacino Toscano (8,2%).

ANCORA POCHE MA IN CRESCITA LE AZIENDE AGRICOLE CHE PRODUCONO ENERGIA SOSTENIBILE

Per quanto riguarda la produzione di energia da fonti rinnovabili, sono ancora poche le aziende agricole in grado di produrre energia sostenibile a finalità commerciali, essendo attività sviluppatesi recentemente: lo 0,9% del totale. Si tratta tuttavia di un fenomeno in forte crescita, anche grazie agli incentivi finanziari della Politica Agricola Comune e del PNRR, che va inquadrato nel più ampio percorso di crescita della sostenibilità del mondo agricolo. Sono solo sei le Ecoregioni con quote relative superiori al 2%, a fronte di 27 Ecoregioni con quote relative inferiori alla media nazionale. Anche in questo caso è evidente il divario che penalizza il Mezzogiorno rispetto al
Centro-nord. La sottosezione Dolomitico-Carnica è quella con l’incidenza relativa di aziende con energia da fonti rinnovabili più elevata (12b, 5,54%), seguita dalle Alpi Nord-orientali (1A2c, 3,75%)

ETEROGENEITÀ DELLE ECOREGIONI NELLA DISTRIBUZIONE DELLA SUPERFICIE AGRICOLA IRRIGATA

Uno degli elementi senz’altro di rilievo con riferimento ai cambiamenti climatici è quello relativo alla disponibilità di acqua, misurabile tramite il Censimento dell’agricoltura, che considera le superfici agricole irrigabili ed irrigate. La superficie irrigabile rappresenta la superficie servita dagli impianti di irrigazioni aziendali o consortili che, nel corso dell’annata agraria, può o meno essere oggetto di effettiva distribuzione dell’acqua irrigua. Quest’ultima tipologia di superficie rappresenta la superficie effettivamente irrigata. Si evidenzia una estrema eterogeneità territoriale dei rapporti percentuali tra superfici agricole irrigate ed irrigabili.
A fronte della media nazionale, pari al 61,9% (in decrescita rispetto al 64,5% del 2010), il rapporto si colloca al di sotto o appena al di sopra del 40% in ben 11 Ecoregioni, collocate prevalentemente lungo la dorsale appenninica e in Sardegna, mentre supera nettamente la media nazionale nelle Ecoregioni alpine, lungo la costiera campana e nelle province di Ragusa e Siracusa. La tendenza alla decrescita delle aree agricole effettivamente irrigate rispetto a quelle potenzialmente irrigabili è un indicatore di allarme circa la capacità del sistema agricolo nazionale di poter disporre di fonti irrigue sufficienti per poter garantire tanto le rese di produzione attese quanto i relativi standard qualitativi.

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