L’accordo Usa-Ucraina su minerali, metalli ed energia, la partita energetica cinese tra dipendenza dal fossile e leadership nelle tecnologie pulite e la trimestrale Tesla sulle consegne in arrivo. I fatti della settimana di Marco Orioles
Questa settimana tra i fatti più rilevanti si registrano l’accordo Usa-Ucraina su minerali, metalli ed energia, la partita energetica cinese tra dipendenza dal fossile e leadership nelle tecnologie pulite e la trimestrale Tesla sulle consegne in arrivo.
L’ACCORDO USA-UCRAINA SU MINERALI, METALLI ED ENERGIA
L’articolo “Minerali, metalli, energia in Ucraina: l’impatto della presidenza Trump” di Alberto Prina Cerai e pubblicato dall’ISPI analizza l’accordo firmato a marzo da Usa e Ucraina che istituisce il United States-Ukraine Reconstruction Investment Fund il quale, gestito dalla U.S. International Development Finance Corporation, vedrà l’Ucraina contribuire con il 50% dei ricavi da nuovi progetti minerari, petroliferi e gasiferi, senza obbligo di rimborsare all’America il debito per l’aiuto militare. Tale accordo, sottolinea Prina Cerai, riflette per gli Usa un approccio strategico orientato a diversificare le forniture di minerali critici, in un contesto di competizione globale, specialmente con la Cina. L’autore ricorda come l’Ucraina detenga circa il 5% delle risorse minerarie mondiali, con anzitutto significativi depositi di ferro: prima della guerra l’Ucraina era il sesto produttore globale di minerale di ferro, con il 3% della produzione mondiale realizzata principalmente dall’azienda Kryvyi Rih, che da sola copriva il 90% della produzione nazionale; all’epoca le esportazioni di ferro valevano circa 19 miliardi di dollari, rappresentando il 32% delle esportazioni totali del Paese. Ma l’Ucraina detiene anche significativi giacimenti di manganese e si classifica anche tra i primi dieci produttori globali di titanio, uranio, caolino, grafite e zirconio. L’accordo è fondamentale anche per minerali come titanio e grafite, essenziali per l’aerospazio e la difesa. Secondo i dati citati nell’articolo, nel 2021 la produzione di titanio collocava l’Ucraina al quinto posto globale, con il 92% delle esportazioni gestite dalla United Mining & Chemical Company. Le riserve di manganese ammontavano nel 2021 a 626 milioni di tonnellate, mentre la produzione di grafite era di 17.000 tonnellate, pari al 3,8% delle riserve globali. Tra i minerali critici, l’Ucraina ha 25 dei 34 materiali classificati come critici o strategici da Usa ed Ue, inclusi litio (760.000 tonnellate di carbonato di litio equivalente solo a Polokhivske), alluminio, rame, nichel, germanio, niobio, tantalo e terre rare. L’autore ricorda poi come in Ucraina si trovino il cosiddetto Ukrainian Shield, un’area di 250.000 km² con depositi di ferro, titanio e uranio, il bacino Dnipro-Donetsk, ricco di shale gas e secondo più grande d’Europa, e la regione Dniester-Mar Nero, con depositi di carbone, bauxite e manganese. Quanto al punto di vista energetico, Prina Cerai sottolinea che l’Ucraina possiede quasi 35 mila miliardi di tonnellate di carbone, che la posizionano al sesto posto a livello globale. Prima della guerra Kyiv deteneva anche 1,104 trilioni di metri cubi di gas naturale, classificandosi seconda in Europa. L’implementazione dell’accordo Usa-Ucraina interviene dunque in un quadro molto ricco che presenta però numerose sfide, con il 69% delle imprese ucraine che cita la sicurezza militare come barriera principale, mentre il 15,4% segnala problemi burocratici legati ai permessi. Le infrastrutture energetiche hanno subito danni pesanti, con la capacità produttiva ridottasi a un terzo dei livelli pre-bellici. I tempi di sviluppo dei progetti minerari sono poi molto lunghi, richiedendo almeno 18 anni e investimenti tra 500 milioni e 1 miliardo di dollari per miniera.
LA PARTITA ENERGETICA CINESE TRA DIPENDENZA DAL FOSSILE E LEADERSHIP NELLE TECNOLOGIE PULITE
L’articolo “La partita energetica della Cina tra sicurezza energetica, dazi e overcapacity” scritto da Michele Danese e Alessandro Gili e pubblicato dell’ISPI offre una panoramica approfondita della transizione energetica cinese, evidenziando sfide, opportunità e implicazioni geopolitiche. Gli autori cominciano con l’evidenziare che la Cina rappresenta il 25% del consumo energetico globale, il che ne fa il maggiore consumatore e produttore di energia al mondo. Per il settore il regime ha fissato obiettivi molto ambiziosi, che includono il raggiungimento del picco delle emissioni entro il 2030 e della neutralità carbonica entro il 2060. Ciononostante, sottolineano gli autori, nel 2024 il carbone copriva ancora il 58% del mix energetico, addirittura con un aumento del 5,6% rispetto all’anno precedente, mentre le rinnovabili hanno contribuito solo per il 15%. Ma Pechino nutre anche ambizioni di leadership nelle tecnologie pulite, e si stima che il 10% del suo Pil derivi da questo settore. Nel 2024, infatti, la Cina ha esportato prodotti high-tech per 1,2 trilioni di dollari, di cui 300 miliardi in tecnologie verdi come pannelli solari e batterie per EV. Ma la sovrapproduzione in questi settori ha generato tensioni commerciali con Usa ed Ue, che hanno imposto dazi per proteggere le loro industrie, creando un clima di incertezza per le catene di approvvigionamento globali. Parallelamente, la Cina sta investendo somme molto ingenti nell’energia nucleare, con 27 reattori in costruzione e piani per altri 40 entro il 2030, mentre forti investimenti sono stati realizzati anche nel campo del gas naturale. Come sottolineano Danesi e Gili, l’espansione della rete di gasdotti e terminali GNL mira a ridurre la dipendenza dal petrolio, rafforzando così la sicurezza energetica nazionale e riflettendo una strategia a lungo termine per diversificare le fonti energetiche. L’articolo rimarca come la transizione energetica cinese abbia significative implicazioni sul piano geopolitico. La Cina sta infatti rafforzando i legami con l’Asia Centrale e il Medio Oriente, dove iniziative come la Belt and Road Initiative hanno l’obiettivo di esportare tecnologia e influenzare i mercati energetici globali. Pechino punta apertamente a ridefinire gli equilibri energetici mondiali, ma con un approccio che genera significative tensioni con le potenze occidentali. Ad esempio, ricordano gli autori, gli Usa hanno attivato politiche protezionistiche sia sotto la presidenza Biden che sotto quella attuale di Trump, con l’introduzione di dazi molto significativi sulle tecnologie pulite cinesi. Su questo fronte sono forti anche le tensioni con l’UE, i cui dazi paralleli evidenziano il rischio di una frammentazione delle catene di valore globali.
TRIMESTRALE TESLA SULLE CONSEGNE IN ARRIVO
Tesla si prepara a pubblicare i dati sulle consegne del secondo trimestre, sottolinea un recente articolo di Quartz. Le consegne, previste inizialmente a 440.000 unità, sono state riviste al ribasso tra 355.000 e 377.000, con un calo del 15-20% rispetto all’anno precedente. Deutsche Bank prevede 355.000 unità, citando un’erosione delle vendite in Europa e un calo in Cina, dove BYD e Xiaomi stanno guadagnando terreno. JPMorgan, più pessimista, stima 360.000 unità e prevede un calo annuale a 1,575 milioni di veicoli, contro il consensus di 1,7 milioni. Il primo trimestre è stato deludente, con un crollo del 30% delle registrazioni in Europa a maggio, vendite deboli in Cina nonostante gli sconti e un mercato statunitense in difficoltà, parzialmente mascherato dal refresh del Model Y (Juniper). Gli analisti sottolineano poi un danno al brand Tesla in Europa, dove la competizione si intensifica, e un “reset delle aspettative” che potrebbe durare anni. La rimozione dei sussidi per le EV aggiunge ulteriori rischi per le consegne annuali. Eppure, sottolinea Quartz, i dati negativi sembrano non scalfire l’ottimismo degli investitori. Nonostante un calo del titolo del 6,64% nell’ultimo mese e del 15,84% da inizio anno, la narrazione di Tesla si regge sull’hype per i robotaxi. Come rimarcava la rassegna di Energia Oltre della scorsa settimana, il primo test a Austin del Model Y autonomo ha generato un balzo del 9,2% del titolo in un solo giorno, aggiungendo 95,7 miliardi di dollari alla capitalizzazione di mercato. Il rapporto P/E di Tesla, a 176,34, è però molto più alto rispetto a quello di Nvidia (50,85), evidenziando una valutazione speculativa. Insomma, mentre le vendite rallentano e la concorrenza cresce, Tesla punta sulla promessa della guida autonoma per mantenere viva la sua narrativa di un’azienda da trilioni di dollari, anche se i numeri suggeriscono una traiettoria in declino.