L’Unione europea finora ha inserito nella sua lista nera 444 petroliere russe, impedendo loro di attraccare nei porti Ue o di utilizzare i servizi occidentali. La speranza è anche che le misure spingano i governi extra-Ue in cui le navi sono registrate a vietarne l’esercizio
Le navi collegate alla Russia continuano a perdere petrolio al largo delle coste europee, nonostante le sanzioni occidentali, evidenziando l’incapacità del continente di tenere a freno la cosiddetta “flotta ombra” di Mosca.
Secondo un’indagine congiunta del gruppo giornalistico no-profit SourceMaterial e Politico, nell’ultimo anno almeno 5 petroliere dell’armata russa che elude le sanzioni hanno continuato a navigare senza ostacoli nelle acque europee dopo aver lasciato chiazze di petrolio vicino al continente.
L’INDAGINE DI POLITICO SULLA “FLOTTA OMBRA” DELLA RUSSIA
Due di queste navi erano state sanzionate individualmente dal Regno Unito, prima di lasciare le chiazze. Queste nuove rivelazioni, che si basano su riprese satellitari della ONG SkyTruth, abbinate ai dati di spedizione della piattaforma di materie prime Kpler, fanno seguito a un’indagine del 2024 di Politico che documentava le fuoriuscite di petrolio da parte della flotta ombra russa, ed evidenziano la difficoltà che i governi occidentali incontrano nel limitare le esportazioni di petrolio russo e ridurre al minimo il rischio di un disastro ecologico nelle loro acque.
Gli incidenti “rappresentano un problema enorme. Siamo piuttosto fortunati in questo momento che non si stia verificando alcuna catastrofe ambientale”, ha dichiarato il ministro dell’Energia lettone, Kaspars Melnis.
IL PRICE CAP DEL G7 SUL PETROLIO RUSSO
Nel 2022 il G7 ha imposto un limite di prezzo (price cap) alle vendite globali di petrolio della Russia, che rappresentano circa un quarto del bilancio russo. Da allora, Mosca ha sempre più spesso spedito il suo petrolio su una flottiglia crescente di petroliere sottoassicurate e con strutture proprietarie poco chiare. Secondo la società di analisi marittima Lloyd’s List Intelligence, questa flotta ombra oggi conta 1.300 unità ed è stata collegata ad ingenti fuoriuscite di petrolio e danni a infrastrutture sottomarine critiche.
LE SANZIONI DEI PAESI EUROPEI ALLE PETROLIERE DELLA RUSSIA
I governi europei hanno sanzionato delle singole petroliere, e Bruxelles finora ne ha inserite nella sua lista nera 444, impedendo loro di attraccare nei porti Ue o di utilizzare i servizi occidentali. La speranza è anche che le misure spingano i governi extra-Ue in cui le petroliere sono registrate – noti come “Stati di bandiera” – a vietarne l’esercizio. Il Regno Unito finora ha sanzionato 450 navi.
Gli esperti avvertono che lo stato fatiscente delle petroliere le rende più soggette a incidenti e collisioni, mentre la loro dubbia proprietà le rende irrintracciabili e non responsabili nei confronti delle autorità occidentali. A causa delle sanzioni, spesso navigano con un’assicurazione insufficiente. “È difficile dire quanto siano valide o meno le sanzioni già esistenti”, ha affermato Melnis.
LE FUORIUSCITE DI PETROLIO DALLE NAVI RUSSE
Secondo le stime del think tank Centre for Research on Energy and Clean Air (CREA), una grande fuoriuscita di petrolio causata da una petroliera di questo tipo potrebbe costare fino a 1,4 miliardi di euro per la bonifica. Il conto verrebbe probabilmente pagato dai contribuenti europei, se la nave incriminata non potesse essere rintracciata. “La flotta ombra – ha dichiarato un portavoce del Ministero degli Esteri britannico – è il disperato e pericoloso tentativo di Putin di aggrapparsi ai suoi profitti petroliferi e, nel frattempo, inquinare il mare. Sta utilizzando delle navi che ignorano gli standard di sicurezza di base, aumentando il rischio di catastrofiche fuoriuscite di petrolio”.
Dopo che Politico, lo scorso anno, ha rivelato che delle petroliere collegate alla Russia stavano riversando petrolio negli oceani di tutto il mondo, Bruxelles ha inserito nella lista nera una delle navi incriminate, precedentemente chiamata “Innova”. Le nuove scoperte illustrano i limiti di questo approccio: in un caso del 15 novembre 2024, una chiazza di petrolio di 12 chilometri è apparsa nelle acque spagnole al largo del Golfo di Biscaglia al seguito della “Dinasty”, una petroliera lunga 280 metri in navigazione dall’India al porto russo di Primorsk. La nave era soggetta a sanzioni da parte del Regno Unito, e l’Unione europea, dopo l’incidente, ha seguito l’esempio.
L’UNIONE EUROPEA POTREBBE COLPIRE LE RAFFINERIE CHE SCARICANO PETROLIO DALLE NAVI RUSSE
Gli incidenti stanno suscitando richieste di rinnovata azione e di un cambio di approccio: nell’ambito del 19° pacchetto di sanzioni dell’Unione europea dall’invasione russa dell’Ucraina, presentato a settembre, la Commissione europea ha proposto di aggiungere 118 nuove navi collegate alla Russia alla sua lista nera, in continua espansione.
Gli esperti e i falchi russi dell’Unione europea hanno già chiesto di più: oltre ad imporre delle sanzioni su un numero ancora maggiore di navi, “l’Ue deve colpire l’intera catena del valore coinvolta nel trasporto di petrolio sanzionato”, ha dichiarato il ministro dell’Energia finlandese, Sari Multala.
In pratica, “ciò significa inserire nella lista nera un maggior numero di raffinerie che scaricano petrolio da petroliere russe collegate a chiazze di petrolio e sanzionare i fornitori di servizi e i registri di bandiera delle navi”, ha spiegato Isaac Levi, responsabile per la Russia del think tank CREA di Helsinki.
Secondo Levi, le guardie costiere nazionali dovrebbero inoltre trattenere le navi che attraversano le acque europee, se lasciano (o hanno lasciato) delle fuoriuscite, operano senza una valida assicurazione o battono una bandiera falsa.
LE SANZIONI PER LO SCARICO ILLEGALE DI SOSTANZE INQUINANTI
Un portavoce della Commissione Ue ha dichiarato che i Paesi Ue “sono tenuti ad imporre sanzioni per le situazioni di scarico illegale di sostanze inquinanti dalle navi”. Secondo il portavoce, Bruxelles sta anche prendendo di mira i “facilitatori” delle navi della flotta ombra, come raffinerie e registri commerciali, ed esercitando “pressioni diplomatiche” sugli Stati di bandiera interessati. “Questa linea d’azione sarà perseguita attivamente”, ha aggiunto.
Per Levi, però, l’evidenza delle continue irregolarità dimostra quanto questa strategia sia inefficace: “mi sembra scioccante che queste petroliere, dopo aver mostrato prove di una fuoriuscita di petrolio e di danni ambientali, non siano state fermate. È come entrare in un’officina e poi ripartire senza essere inseguiti da una volante della polizia”, ha concluso.
I RAPPORTI ENERGETICI TRA L’UNIONE EUROPEA E LA RUSSIA
Nonostante l’obiettivo di eliminare gradualmente l’energia russa entro il 2028, nel 2024 il gas di Mosca rappresentava ancora il 14% delle importazioni di combustibili fossili dell’Unione europea. Secondo il think tank energetico Ember il dato, seppure in calo rispetto ai livelli pre-invasione, segna un aumento del 18% rispetto al 2023, dovuto principalmente alle maggiori spedizioni di GNL russo. Inoltre, alcuni Paesi – Ungheria e Slovacchia su tutti – continuano ad opporsi al piano Ue, acquistando gas via gasdotto a prezzi più bassi.
Per quanto riguarda l’Italia, la dipendenza dell’Italia dal gas russo è giunta al termine. Secondo le elaborazioni dell’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) effettuate il mese scorso su dati del MASE e di Snam, nel 2025 le importazioni di gas naturale da Mosca si azzereranno quasi completamente.
Oggi, come il resto dell’Europa, il nostro Paese ha dovuto ricalibrare completamente la sua strategia, puntando sulla diversificazione delle fonti: per farlo, ha incrementato le importazioni di GNL e ha rafforzato i rapporti con altri fornitori, soprattutto dal Nordafrica e dal Mediterraneo.