I CEO dell’auto (Stellantis, Mercedes) lanciano l’allarme: “forzare la vendita di sole auto elettriche in Europa è un errore catastrofico”. Minacciano di bloccare gli investimenti se Bruxelles non allenterà il bando del 2035. I fatti della settimana di Marco Orioles.
Il mondo sta vivendo un boom senza precedenti delle energie rinnovabili, guidato dal solare i cui prezzi sono crollati del 90% in un decennio grazie alla produzione cinese. Questa rivoluzione, che vede persino i petrostati e i paesi in via di sviluppo accelerare sulla transizione, ha già portato a rivedere al ribasso le stime sul riscaldamento globale. A fronte di questo slancio, l’industria automobilistica europea si oppone fermamente al bando del 2035 sui motori termici, minacciando di bloccare gli investimenti se Bruxelles non garantirà, come negli USA, “libertà di scelta” tecnologica. Nel frattempo, per garantire stabilità alla rete elettrica e far fronte alla crescente domanda di energia, la Gran Bretagna rilancia con forza sul nucleare, avviando il maxi-progetto di Sizewell C. Nonostante i progressi, la transizione è frenata da emissioni ancora record e dalle politiche protezionistiche che, come negli USA, rischiano di rallentare la rivoluzione verde.
BOOM GLOBALE DELLE RINNOVABILI
Un recente approfondimento del Financial Times ci porta dentro l’odierno boom delle rinnovabili e in particolare dell’energia solare. Il presidente Xi Jinping, al summit Onu di New York, ha definito la transizione verde “la tendenza dei nostri tempi”. Lo si può vedere sul Plateau tibetano, dove i pannelli solari coprono un’area vasta come Chicago. La Cina produce 8 pannelli su 10 a livello globale; il risultato sono i prezzi calati del 90% in un decennio. La produzione cinese di pannelli e batterie ha così fatto crollare i prezzi nel mondo. Nel 2010 erano previsti 410 GW di energia solare al 2035; oggi se ne contano oltre quattro volte tanto, di cui metà nella sola Cina. Pure Africa, Medio Oriente e persino petrostati come l’Arabia Saudita accelerano sul solare. “È un modo economico per sfruttare il sole”, spiega Kingsmill Bond di Ember, che registra come le rinnovabili abbiano superato il carbone nella generazione elettrica nel primo semestre 2025. Il risultato è tangibile: le proiezioni Onu sul riscaldamento globale sono scese da un aumento di 4 °C al 2100 a +2,6 °, sempre che le attuali politiche siano mantenute. Alla COP30 di Belém, in Brasile, che si apre in questi giorni, l’entusiasmo sarà però temperato: le emissioni energetiche hanno raggiunto il record nel 2024 per il quarto anno consecutivo. “Non è finita”, avverte Mike Hemsley dell’Energy Transitions Commission. I costi all’ingrosso delle rinnovabili calano, ma non sempre vale lo stesso per i prezzi al consumatore. L’elettrificazione di trasporti e riscaldamento procede più lentamente di quanto auspicato. In India, terzo emettitore mondiale, ReNew gestisce fattorie solari in Rajasthan; come risultato, si sta generando una capacità pulita a 243 GW, con l’obiettivo di raggiungere i 500 GW al 2030. “Tutti dicono: le rinnovabili sono il futuro”, dichiara Sumant Sinha di ReNew. Ciononostante in India il carbone genera ancora oltre il 70% dell’elettricità, e Coal India riapre miniere a tamburo battente. L’Arabia Saudita ha attualmente 4,34 GW ricavati dal solare e punta a 130 GW. In Sudafrica, dal 2022, i privati sono stati autorizzati a sviluppare impianti che generano 6 GW, e le famiglie montano i propri pannelli sui tetti contro i blackout. Globalmente, gli impianti sotto 1 MW rappresentano il 42% delle installazioni del 2024, con una crescita significativa dal 2015, quando rappresentavano il 22%. In Pakistan fabbriche e moschee adottano pannelli cinesi. In Nigeria e India Husk Power ha sostituito migliaia di generatori diesel con mini-grid. Il motore comune di questi sviluppi sono i costi in picchiata. Tuttavia nell’Africa subsahariana milioni di famiglie dipendono dal diesel, e 600 milioni sono completamente senza elettricità. L’elettrificazione finale dell’energia infine stagna negli Usa e nell’Ue. In America l’amministrazione Trump ha tagliato i crediti IRA, blocca progetti, anche quelli più ambiziosi, e impone tariffe sui materiali provenienti dalla Cina. “Gli USA perdono la rivoluzione pulita”, sottolineano gli esperti consultati dal Ft.
A COSA PUNTANO I CEO DELLE GRANDI CASE AUTOMOBILISTICHE
In un’intervista congiunta del Financial Times ai CEO delle maggiori case automobilistiche globali, Antonio Filosa, CEO di Stellantis, ha promesso di moltiplicare gli investimenti in Europa se Bruxelles allenterà il divieto del 2035 sui motori termici, seguendo l’esempio degli Stati Uniti che, sotto Trump, restituiscono “libertà di scelta” ai consumatori. Dal canto suo Ola Källenius, presidente dell’Acea e CEO di Mercedes-Benz, ha lanciato un monito severo: costringere l’industria a vendere solo auto elettriche sarebbe “un errore catastrofico”, soprattutto con un mercato già in forte contrazione. A differenza di Cina e Usa, in Europa la produzione automobilistica resta infatti ben al di sotto dei livelli pre-pandemia. Stellantis, ad esempio, ha dovuto sospendere temporaneamente linee di assemblaggio in tutto il continente a ottobre, a causa di una domanda troppo debole. “Se arriverà un cambiamento regolatorio grande, profondo e urgente, moltiplicheremo immediatamente gli investimenti in Europa”, ha dichiarato Filosa. Negli Stati Uniti, dove Trump ha eliminato i crediti federali per l’acquisto di EV e propone di allentare drasticamente le norme sulle emissioni dei veicoli, Stellantis ha annunciato un investimento record di 13 miliardi di dollari nei prossimi quattro anni. L’obiettivo è contrastare i dazi imposti dal capo della Casa Bianca, ma anche espandere la vendita di modelli a benzina e ibridi, che garantiscono margini di profitto superiori rispetto alle elettriche. In Europa, al contrario, gli investimenti sono frenati da costi di produzione e del lavoro elevati, oltre che da una domanda anemica: per il 2025 Stellantis ha previsto 2 miliardi di euro di investimenti in Francia e un impegno analogo in Italia. Källenius ha sottolineato come oggi l’industria europea venda 3 milioni di veicoli in meno rispetto all’era pre-Covid, una perdita equivalente alla capacità produttiva di circa dieci stabilimenti. Entrambi i manager hanno denunciato la vulnerabilità delle catene di approvvigionamento europee, esposte a crisi ricorrenti: l’ultima è legata alla carenza di chip prodotti da Nexperia, l’azienda olandese al centro di tensioni con la Cina per i controlli sulle esportazioni di terre rare. “Senza costruire autonomia industriale, assisteremo a nuove crisi”, ha avvertito Filosa, ricordando come la dipendenza da Pechino per batterie e materiali critici renda l’Europa particolarmente fragile in uno scenario di transizione forzata agli EV. Intanto Volkswagen e altri costruttori hanno segnalato il rischio di chiusure imminenti di impianti per i ritardi cinesi nell’autorizzare l’export di chip Nexperia. Al salone automobilistico di Parigi, François Provost, da poco nominato CEO di Renault, ha definito “uno tsunami” la valanga di normative Ue che rendono le auto più complesse e costose. “Abbiamo bisogno di decisioni concrete entro la fine dell’anno, altrimenti assisteremo al declino dell’industria automobilistica europea. Non è ancora troppo tardi, ma serve urgenza assoluta”, ha concluso. Bruxelles ha comunque concesso una moratoria, spalmando su tre anni i target di riduzione CO₂ specifici per azienda previsti per il 2025, e anticiperà a dicembre la revisione del bando del 2035. Tuttavia, i CEO ritengono che questi aggiustamenti arrivino troppo tardi e siano troppo timidi per consentire all’Europa di competere con la Cina, leader nella produzione di EV, e con gli Usa, che puntano su un mix tecnologico più flessibile.
SIZEWELL C: IL NUCLEARE RIPARTE IN GRAN BRETAGNA
Come racconta il New York Times in un suo servizio dalla Gran Bretagna, nelle pianure tra Leiston e la spiaggia del Mare del Nord un viavai di camion e recinzioni provvisorie annuncia l’avvio di Sizewell C: due reattori nucleari da 38 miliardi di sterline (51 miliardi di dollari) che, entro il 2040, illumineranno sei milioni di case. Accanto al caratteristico cupolone bianco di Sizewell B – ultima centrale nucleare britannica completata nel 1995 – il cantiere procede nonostante le proteste di Stop Sizewell C, capeggiato da Alison Downes. Julia Pyke, co-managing director, ha lasciato nel 2017 lo studio Herbert Smith per seguire il finanziamento del progetto. «Abbiamo dimostrato che c’è grande appetito per il nucleare», spiega dal suo ufficio londinese. All’inizio incontrò scetticismo, ma il vento è cambiato: l’esplosione dei data center per l’AI, la diffusione dei veicoli elettrici e la strategia del Labour – eliminare il gas, tagliare le bollette gonfiate dai fossili – hanno convinto tutti. Ed Miliband, ministro dell’Energia, conta sulla creazione di migliaia di posti di lavoro: se ne stimano 8.000 al culmine dei lavori. Diversamente da eolico e solare, il nucleare garantisce una base costante. “Quando manca vento o sole, le luci restano accese”, sottolinea Chris O’Shea, CEO di Centrica, che controlla il 15% della centrale. Il parco nucleare britannico, ridotto a cinque reattori, si spegnerà entro i primi anni ’30: solo Sizewell B resiste. Pyke conosce i rischi sulla propria pelle: da avvocata seguì EDF, che nel 2009 rilevò gli impianti britannici per 12,5 miliardi e avviò Hinkley Point, oggi in ritardo cronico e costosissimo. Ma il modello finanziario di Sizewell C è innovativo, con rendimenti oltre il 12%, la garanzia della protezione dall’inflazione e il governo che assorbe gli extra-costi.


