Il Mase taglia il 64% delle risorse mentre le domande superano la nuova capienza. I progetti esclusi restano in lista d’attesa come “idonei” sperando in fondi futuri. Operatori in rivolta.
Si è venuta a creare una situazione paradossale nel settore delle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER). Proprio mentre la risposta del territorio e delle imprese raggiungeva il suo picco, con richieste di contributo che al 23 novembre 2025 hanno toccato quota 864,6 milioni di euro, il Governo ha chiuso i rubinetti. Il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) ha ufficializzato un taglio drastico del 64% alla dotazione finanziaria del PNRR dedicata ai comuni sotto i 50.000 abitanti, riducendo il budget dai 2,2 miliardi iniziali a soli 795,5 milioni. Il risultato aritmetico è immediato: a una settimana dalla chiusura dello sportello (fissata per il 30 novembre), il valore dei progetti presentati ha già ampiamente superato la disponibilità economica residua, lasciando decine di iniziative in un limbo finanziario.
OLTRE IL CAP: IDONEI MA SENZA FONDI IN ATTESA DI SCORRIMENTI
Il meccanismo innescato dalla sesta revisione del PNRR crea una nuova categoria di progetti: quelli validi ma “congelati”. Il Ministero ha chiarito che le iniziative che supereranno l’istruttoria tecnica e amministrativa, ma che rimarranno fuori dal perimetro di finanziamento per l’esaurimento del plafond aggiornato, non verranno bocciate. Saranno invece considerate “idonee ai fini di eventuali scorrimenti”. In sostanza, questi progetti entreranno in una lista d’attesa, legando la loro realizzabilità esclusivamente a “successive ed eventuali integrazioni finanziarie della misura rispetto alla dotazione oggi disponibile”. Una promessa di futuri stanziamenti che però, al momento, non mitiga l’incertezza di chi ha già investito nella progettazione.
LA DIFESA DEL GSE E LA MILESTONE RAGGIUNTA
Nonostante il disallineamento tra domanda e risorse, le istituzioni rivendicano il successo formale della misura. Il Presidente del GSE, Paolo Arrigoni, ha sottolineato tramite i canali social che la milestone europea è stata superata. Con richieste che già alle ore 12 del 21 novembre ammontavano a 778 milioni di euro per una potenza di 1.778 MW, l’obiettivo target di 1.730 MW richiesto dall’Investimento 1.2 della Missione 2 è stato acquisito. Il Mase ha definito l’operazione come una “messa in sicurezza” degli investimenti per CER, biometano e agrivoltaico, garantendo che la somma delle concessioni costituirà il target finale da conseguire entro il 30 giugno 2026.
LA RIVOLTA DEGLI OPERATORI: “REGOLE CAMBIATE A PARTITA FINITA”
La logica ministeriale si scontra duramente con la realtà operativa delle imprese. Giovanni Montagnani, presidente di Cer Vergante Rinnovabile, ha denunciato un sistema bloccato: non solo i fondi vengono tagliati, ma anche i progetti approvati da mesi restano senza liquidità perché “non esiste ancora il portale per erogarli”. Gli operatori si sentono ostaggio di un codice informatico mancante e di comunicazioni istituzionali affidate ai social network a pochi giorni dalla scadenza. “Le regole cambiano a partita finita, bruciando i business plan di migliaia di aziende”, attacca Montagnani, evidenziando anche come i ritardi nella valutazione delle pratiche comprimano i tempi di cantiere, aumentando i rischi per la sicurezza dei lavoratori costretti a correre per rispettare la scadenza di giugno.
IL “PASSO INDIETRO” E LA PROTESTA DELLE REGIONI
Anche Vittorio Marletto di Energia per l’Italia ha definito il taglio un indebolimento di uno dei pilastri della transizione, che mina la fiducia di chi ha creduto in un modello energetico partecipativo. Alle voci del settore si unisce quella istituzionale della Regione Umbria. L’assessore Thomas De Luca ha criticato aspramente la riduzione retroattiva di 23 milioni di euro per il suo territorio e l’introduzione, tramite il decreto Transizione 5.0, di nuovi vincoli paesaggistici (divieto di impianti entro 500 metri da beni tutelati) che vanificano le semplificazioni regionali. “Ogni incentivo è un investimento, non una spesa”, ha ribadito De Luca, annunciando la ricerca di soluzioni compensative per non fermare lo sviluppo energetico locale.
L’ATTACCO DEL PD: GOVERNO DIMEZZA FONDI E CHIUDE SPORTELLO CER, SCELTA INCOMPRENSIBILE CHE OSTACOLA TRANSIZIONE ENERGETICA. PRESENTATA INTERROGAZIONE PARLAMENTARE
“Il governo ha operato un definanziamento silenzioso e inaccettabile delle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) all’interno del PNRR, tagliando le risorse da 2,2 miliardi di euro a soli 795,5 milioni. Questa scelta, combinata con la decisione del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e del GSE (Gestore dei Servizi Energetici) di confermare la chiusura dello sportello per i contributi al 30 novembre, configura di fatto una chiusura anticipata della misura, in totale contrasto con gli impegni europei e la visione di una transizione energetica giusta e partecipata. Stiamo parlando di un atto grave che rischia di vanificare le progettualità già avviate da centinaia di Comuni, enti del Terzo Settore e cooperative che, confidando nella dotazione originaria, si sono impegnati per contrastare la povertà energetica e favorire l’autoconsumo diffuso. Chiediamo se il governo sia a conoscenza degli effetti combinati della riduzione della dotazione finanziaria e della chiusura dello sportello GSE al 30 novembre 2025 e se non ritenga che tale scelta configuri una chiusura anticipata della misura rispetto agli obiettivi e agli impegni originariamente assunti, compromettendo il pieno conseguimento del target e di disperdere progettualità già avviate”. Così il vicepresidente in commissione Attività produttive Vinicio Peluffo e il capogruppo dem Alberto Pandolfo in un’interrogazione parlamentare.
“L’obiettivo originario del PNRR per le CER, che prevedeva l’installazione di 2 GW entro giugno 2026 e 5 GW entro fine 2027 di nuova potenza rinnovabile, è messo seriamente a rischio da questa gestione confusa e al ribasso da parte dell’esecutivo. Nonostante il ministero dell’Ambiente abbia prorogato lo sportello per recuperare i ritardi accumulati, il taglio drastico delle risorse e la chiusura forzata del bando creano incertezza, penalizzando proprio quei soggetti (in particolare i Comuni fino a 50.000 abitanti) che solo di recente hanno potuto finalizzare i progetti. È essenziale che il governo fornisca una risposta chiara e un piano di rifinanziamento strutturale che permetta alle CER di diventare il pilastro della decentralizzazione energetica del Paese, evitando che le scelte attuative si traducano in una clamorosa occasione persa a danno dei territori”.


