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Tesla

Addio sogni green: Ford taglia gli EV, il Canada vira sui fossili e l’Iran rincara la benzina. I fatti della settimana

Il mercato globale dell’energia segna una brusca frenata della transizione verde: Ford archivia i grandi modelli elettrici dopo perdite miliardarie, mentre il Canada di Mark Carney punta nuovamente su gas e petrolio. Contemporaneamente, l’Iran riduce i sussidi storici sui carburanti per tentare di salvare un bilancio devastato da inflazione e sanzioni. I fatti della settimana di Marco Orioles.

L’industria automobilistica e le politiche energetiche internazionali stanno vivendo un’inversione di rotta pragmatica che mette in discussione gli obiettivi climatici. Ford ha annunciato l’abbandono dei grandi pick-up elettrici, come l’F-150 Lightning, accettando perdite per 19,5 miliardi di dollari e virando verso motori ibridi e termici, complice l’eliminazione dei crediti d’imposta decisa dall’amministrazione Trump. Parallelamente, in Canada, Mark Carney sta smantellando la sua eredità di paladino del clima: l’abolizione della carbon tax e il raddoppio della produzione di gas e petrolio hanno già provocato dimissioni eccellenti nel governo. In questo scenario di ritorno ai combustibili fossili si inserisce anche l’Iran, che per necessità economica ha introdotto rincari sulla benzina sovvenzionata, sfidando il rischio di nuove rivolte sociali in un Paese con l’inflazione al 40%. Questi eventi delineano una fase in cui la redditività immediata e la sovranità energetica sembrano prevalere sulla pianificazione “Net Zero”, costringendo i player globali a una drastica rinegoziazione delle strategie di sostenibilità.

FORD ABBANDONA I GRANDI EV: PERDITE DA 19,5 MILIARDI E VIRATA SU IBRIDI E TERMICI

Come riporta il Financial Times, Ford ha appena messo un punto definitivo ai suoi grandi sogni elettrici: prevede una batosta da 19,5 miliardi di dollari per accantonare l’F-150 Lightning – quel pick-up full-electric che nel 2021 il CEO Jim Farley aveva battezzato “il camion del futuro” – e altri modelli EV di grandi dimensioni. L’azienda di Dearborn ha deciso di virare verso ciò che paga davvero oggi: più ibridi, motori tradizionali e veicoli commerciali. La marcia indietro arriva in scia alla scelta dell’amministrazione Trump di eliminare il credito d’imposta da 7.500 dollari per chi compra un elettrico nuovo. Senza quell’aiuto, il mercato è crollato: settembre aveva visto una corsa frenetica agli acquisti, ma già a ottobre le vendite sono precipitate del 49%, secondo Cox Automotive. Farley ora stima che la quota degli EV sul mercato americano possa dimezzarsi, scendendo dal 10-12% attuale a circa il 5%. “Invece di continuare a investire miliardi in grandi modelli elettrici che non hanno più una strada verso i profitti, stiamo spostando quelle risorse dove i ritorni sono più alti”, ha chiarito al Ft Andrew Frick, responsabile delle divisioni termiche ed elettriche. I motivi sono semplici: domanda più bassa del previsto, costi alle stelle e un quadro normativo che è cambiato radicalmente. Dei 19,5 miliardi di oneri (prima delle tasse), ben 12,5 verranno registrati già nell’ultimo trimestre dell’anno, tra cui 3 miliardi per chiudere la joint venture sulle batterie con la coreana SK On. Il resto sarà spalmato fino al 2027. Curiosamente, nonostante le perdite, Ford ha rivisto al rialzo le stime finanziarie: ora punta a 7 miliardi di utili prima di interessi e tasse per il 2025, contro i 6-6,5 miliardi previsti solo a ottobre. La divisione elettrica ha chiuso il 2024 con un rosso di 5,1 miliardi e accumulato altri 3,6 nei primi nove mesi del 2025, ma l’obiettivo resta farla andare in utile entro il 2029. Il nuovo piano anticipato dal quotidiano britannico prevede che entro il 2030 circa metà delle vendite globali arrivi da ibridi, elettrici a raggio esteso e full-electric veri e propri – contro il 25% del 2025. Il prossimo F-150 Lightning, per esempio, sarà un extended-range: batteria grande ma con un piccolo motore termico che la ricarica in marcia. Inoltre sta nascendo una piattaforma low-cost universale per modelli più compatti e accessibili, con un pick-up medio atteso per il 2027. Solo una settimana fa, Farley ha stretto un’alleanza con Renault per sviluppare insieme auto e furgoni elettrici piccoli in Europa, un modo per tagliare costi e tempi contro l’avanzata cinese. “Siamo in una lotta per la sopravvivenza, nostra e dell’intero settore”, ha detto Farley. Con Trump che intende allentare gli standard di efficienza del carburante – una mossa che Farley ha apertamente applaudito durante un incontro alla Casa Bianca –, la pressione per elettrificare la gamma si alleggerisce parecchio. Frick riassume così il pensiero dell’azienda: il cliente americano parla chiaro. Vuole i vantaggi dell’elettrico, ma solo se è conveniente, offre autonomia affidabile e si adatta al lavoro e alla vita di tutti i giorni.

LA SVOLTA FOSSILE DI MARK CARNEY

Il primo ministro canadese Mark Carney sta smantellando secondo il Financial Times la sua eredità di paladino del clima, inanellando una serie di scelte che contraddicono le sue idee originarie. Ha abolito la carbon tax sui consumatori, eliminato gli incentivi per le auto elettriche e corteggiato il settore oil&gas. Recentemente ha siglato accordi per aumentare la produzione di più di un milione di barili al giorno di greggio e per raddoppiare il gas liquefatto verso l’Asia. Le dimissioni eccellenti non si sono fatte attendere: l’ex ministro dell’Ambiente Guilbeault ha lasciato il governo in segno di protesta, seguito da membri del comitato Net Zero. “Non potevo più scendere a compromessi, stiamo andando nella direzione sbagliata”, ha dichiarato Guilbeault al quotidiano della City. Esperti e operatori finanziari vedono in queste scelte la prevalenza della sovranità nazionale ed esigenze energetiche immediate, che lasciano sullo sfondo la lotta al riscaldamento globale. Paul Polman (ex Unilever) parla di “pivot equilibrato” per stabilizzare l’economia, ma avverte: puntare sulla cattura del carbonio mentre si accelera la produzione fossile è una scommessa pericolosa per gli obiettivi net zero 2050. È un’inversione netta rispetto al Carney del 2015 quando, da governatore della Bank of England, definì il clima “tragedia all’orizzonte” e spinse la finanza verso la transizione verde. Quel discorso rese l’argomento credibile nei ministeri delle finanze di mezzo mondo. Nel 2021 il premier guidò l’alleanza GFANZ per mobilitare 130 trilioni in investimenti puliti, ma con Trump l’iniziativa è crollata. L’accordo con l’Alberta appena siglato da Carney prevede un nuovo oleodotto ad ovest, nonostante le sabbie bituminose siano tra le fonti più inquinanti. Il premier ha inoltre rinviato al 2035 il taglio del metano, oltre ad aver sospeso le norme sull’elettricità pulita e sul tetto alle emissioni da oil&gas. È aperto anche a riesumare il progetto Keystone XL, oleodotto proposto per trasportare petrolio greggio dalle sabbie bituminose dell’Alberta fino a Steele City, in Nebraska, dove si collegherebbe a pipeline esistenti per raggiungere raffinerie sulla costa del Golfo del Texas.

IRAN: AUMENTI PER LA BENZINA SOVVENZIONATA

L’Iran ha introdotto sabato scorso un nuovo livello di prezzo per la benzina sovvenzionata, il primo ritocco significativo dal 2019, quando un aumento improvviso scatenò proteste nazionali represse nel sangue, con oltre 300 morti secondo Amnesty International. Lo riferisce l’Associated Press, che ricorda come, da generazioni, la benzina a pochi centesimi al gallone è considerata un diritto acquisito dagli iraniani. Già nel 1964 lo scià dovette schierare veicoli militari per sostituire i taxi in sciopero dopo un rincaro. Oggi, però, la teocrazia di Teheran è stretta nella morsa della svalutazione del rial e delle sanzioni sul nucleare, che rendono insostenibile mantenere uno dei carburanti più economici del mondo. Il nuovo sistema mantiene 60 litri al mese a 15.000 rial (1,25 centesimi Usa al litro) e i successivi 100 litri a 30.000 rial (2,5 centesimi). Oltre questa quota, il prezzo sale a 50.000 rial (circa 4 centesimi). Anche così, il prezzo resta tra i più bassi del pianeta. Secondo l’International Energy Agency, nel 2022 l’Iran ha speso 52 miliardi di dollari in sussidi energetici, secondi solo alla Russia. A Teheran nord, sabato mattina, le stazioni di servizio erano tranquille secondo l’AP: qualche auto della polizia in zona, ma niente code o tensioni. L’economista Hossein Raghfar citato dall’agenzia di stampa critica la rimodulazione dei sussidi: non ha ridotto il deficit, ma intrappolato il Paese in un circolo vizioso di inflazione e buchi di bilancio. Ogni 10.000 rial in più sulla benzina, dicono i critici, può gonfiare l’inflazione fino al 5%, in un Paese che già viaggia intorno al 40% annuo. Eppure la benzina low-cost crea lavoro: su 25 milioni di veicoli, oltre 8 milioni di iraniani guidano per piattaforme online – quasi il 10% della popolazione, più degli autisti Uber nel mondo. Il ministro del Petrolio Paknejad lo chiama “un inizio” per correggere i consumi. I prezzi verranno rivisti ogni tre mesi, lasciando intendere possibili aumenti futuri. Ma molti, come il tassista sessantenne Mohammad Reza Assadi, dubitano che nuove proteste cambino qualcosa: “La gente è scesa in strada altre volte – ha dichiarato all’AP – ma alla fine è tornata a casa stanca e senza speranze”. In un momento di fragilità, dopo la guerra-lampo di Israele a giugno e con un pubblico esausto, il governo sembra voler evitare scontri diretti, optando per un ritocco graduale

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