Dopo il via libera informale della Commissione Ue, i fondi ESG hanno aumentato del 21% l’esposizione alla difesa, raggiungendo i 50 miliardi di euro. L’inchiesta di IrpiMedia svela come, dietro l’etichetta “sostenibile”, crescano investimenti in armi, mettendo in discussione il significato stesso della finanza green
Gli investitori di fondi ESG stanno finanziando sempre di più la difesa. Infatti, dal via libera della Commissione Ue all’ingresso degli investimenti in armi tra i parametri di sostenibilità promossi dalla Sustainable finance disclosure regulation (Sfdr), l’esposizione dei fondi ESG al settore delle armi è cresciuta del 21%, raggiungendo quota 50 miliardi di euro. È quanto emerge dall’inchiesta di Irpimedia, intitolata “Gli investitori privati finanziano le armi con i fondi sostenibili”, che getta un’ombra sulla spesa “green”. Infatti, la performance e il rendimento rischiano di essere gli unici obiettivi di “sostenibilità” garantiti dai gestori di fondi ESG.
LA COMMISSIONE APRE ALLA DIFESA E GLI ESG NON PERDONO TEMPO
I chiarimenti della Commissione europea sui parametri di sostenibilità promossi dalla Sustainable finance disclosure regulation (Sfdr) hanno già aperto le porte degli investimenti sostenibili alla difesa. I gestori di fondi ESG hanno colto la palla al balzo, aumentando del 21% gli investimenti in aziende che operano nel settore, secondo quanto emerge dall’inchiesta di IrpiMedia. Per comprendere pienamente la portata del fenomeno, basti pensare che gli investimenti globali in armi delle società di gestione con fondi sostenibili sono passati dai 14 miliardi del 2021 ai 50 miliardi del 2025.
Dall’analisi di IrpiMedia dei dati di London Stock Exchange Group, una piattaforma internazionale di dati finanziari, emerge che a fine 2021 le società di gestione italiane investivano circa 500 milioni nel settore della difesa. A giugno 2025, invece, investono circa un miliardo e mezzo.
COME L’UE VUOLE ACCELERARE SULLA DIFESA CON GLI ESG
La Commissione europea ha chiarito che la difesa non è esclusa a priori dalla finanza sostenibile, in quanto ha un ruolo centrale nell’ambito della strategia industriale europea (European Defence Industrial Strategy). Infatti, il pacchetto Defence Readiness Omnibus apporta modifiche ai criteri di ammissibilità del programma InvestEu per favorire gli investimenti pubblici-privati in progetti legati alla difesa. Dal punto di vista finanziario, il settore assicura un rendimento in crescita dal 2022. Ad esempio, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina il valore delle azioni di Leonardo è schizzato da 6,4 euro ad azione a oltre 50 negli ultimi mesi del 2025. Non a caso, secondo l’analisi di IrpiMedia, a fine 2021 nel mondo si investivano in Leonardo Spa circa 40 milioni di fondi Esg. Cifra che nel 2025 la cifra ha superato i 788 milioni.
Il secondo passo del piano della Commissione per accelerare sulla difesa prevede una riforma della SFDR per spalancare ufficialmente le porte della finanza sostenibile al settore. La mossa di aprire alla difesa l’accesso a fondi Esg, green bond, investimenti sostenibili e prodotti allineati con gli obiettivi di Parigi mira a portare più soldi nelle casse degli Stati Ue. Secondo le stime, infatti, con queste misure si riusciranno a recuperare tra i 42,5 e i 51,3 miliardi di euro in undici anni, di cui 26,1 miliardi solo grazie ai “chiarimenti della Commissione su come orientarsi tra gli investimenti legati alla difesa e i quadri normativi dell’Ue in materia di sostenibilità”.
IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA
L’infatuamento dei fondi ESG nei confronti della difesa ha, però, una potenziale conseguenza finanziaria. Fino ad oggi, il settore della difesa ha sovraperformato garantendo rendimenti molto buoni. Il problema è che i titoli della difesa sono tanto remunerativi nel breve periodo quanto volatili. La ragione è che dipendono principalmente da fattori geopolitici. Di conseguenza, gli investitori rischiano di vedere i loro investimenti sfumare.
Il secondo risvolto è lo snaturamento del concetto di finanza sostenibile, uno strumento per avere un impatto positivo su società e ambiente. Al contrario, la performance e il rendimento rischiano di diventare gli unici obiettivi di “sostenibilità” garantiti dai gestori.


