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I Balcani Occidentali tra Russia, Unione europea e transizione energetica

Da un’analisi del think tank Bruegel emerge che i Paesi dei Balcani occidentali dovrebbero porsi obiettivi di integrazione più rapida con l’Unione energetica dell’Unione europea, eliminando gradualmente il carbone e beneficiando delle abbondanti risorse solari ed eoliche

Per potenziare i propri settori energetici, i Paesi dei Balcani occidentali dovrebbero abbandonare la dipendenza dall’energia russa, convergere con l’Unione europea attraverso il market coupling e abbandonare gradualmente il carbone. Ciascuna di queste transizioni è caratterizzata da notevoli tensioni.

Come si legge in un’analisi del think tank Bruegel, anche le differenze regionali specifiche in ciascuna area sono marcate: Serbia e Bosnia-Erzegovina dipendono ancora dal petrolio e dal gas russi, mentre l’Albania è leader nella transizione verde e il Montenegro è relativamente avanzato in ciascuna delle tre aree. Tuttavia, tutti i Paesi dei Balcani occidentali sono in ritardo nell’allineamento normativo con l’UE, ritardando il market coupling inizialmente previsto per il 2027.

Vi sono valide ragioni per accelerare questo processo, data la significativa integrazione energetica tra UE e Balcani occidentali: ad esempio, fino al 70% dei flussi di elettricità nei Balcani occidentali passa tra Paesi dell’Unione europea. Dato il ruolo strategico dei Balcani occidentali come importante corridoio di transito elettrico per l’Ue, un’integrazione più rapida migliorerebbe anche l’efficienza del sistema, garantirebbe la sicurezza contro le interferenze russe e porterebbe i vantaggi di mercati elettrici complementari sia all’UE che ai Balcani occidentali.

Nel frattempo, il potenziale energetico verde della regione rimane inutilizzato e sono necessari ulteriori investimenti. I Paesi dei Balcani occidentali dovrebbero porsi obiettivi di integrazione più rapida con l’Unione energetica dell’Unione europea, eliminando gradualmente il carbone e beneficiando delle abbondanti risorse solari ed eoliche, in modo da favorire la competitività del loro settore energetico e in linea con la transizione verde.

LA DIPENDENZA ENERGETICA DEI BALCANI OCCIDENTALI DALLA RUSSIA

La Russia resta influente per i settori energetici di Serbia e Bosnia-Erzegovina, principalmente attraverso la proprietà di raffinerie di petrolio e la passata dipendenza dal gas russo. Al contrario, i settori energetici di Albania, Montenegro e Kosovo non sono esposti alla Russia, mentre la Macedonia del Nord ha compiuto sforzi significativi per ridurre tale dipendenza.

Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, è diventato chiaro che dipendere dalla Russia nel settore energetico è rischioso. Sebbene il processo di integrazione nell’Unione europea non richieda esplicitamente l’eliminazione graduale del gas e del petrolio russi, è chiaro che relazioni solide con l’Ue diventano più difficili se un paese sceglie di dipendere dalla Russia.

Sebbene l’Ue abbia in gran parte eliminato gradualmente il petrolio e il gas russi dal 2022, i progressi nei Balcani occidentali sono stati relativamente lenti e incoerenti.

LE RAFFINERIE RUSSE NEI BALCANI OCCIDENTALI E LE SANZIONI STATUNITENSI

Nei Balcani occidentali sono presenti tre raffinerie di petrolio: una in Serbia e due in Bosnia-Erzegovina. Gli interessi russi detengono la maggioranza di tutte e tre le raffinerie, ma solo quella serba è redditizia.

La raffineria serba, Naftna industrija Srbije (NIS), la più grande dei Balcani occidentali, è diventata di proprietà della Russia nel 2009, dopo che la società statale russa Gazprom ne ha acquistato il 51% delle azioni. Da allora, gli azionisti sono cambiati, ma i dati di settembre 2025 mostrano che la proprietà russa di NIS ammonta al 56,15%, ripartita tra Gazprom e un’altra società russa, JSC Intelligence.

Le due raffinerie in Bosnia-Erzegovina e la società di distribuzione statale sono state privatizzate nel 2007 e acquisite da un mix di aziende statali e private russe. Si è trattato della più grande acquisizione estera una tantum mai effettuata in Bosnia-Erzegovina. Tuttavia, nessuna di queste raffinerie bosniache è redditizia a causa di una scarsa leadership aziendale. Nonostante l’ingente debito accumulato, le due raffinerie di petrolio non sono state liquidate e ricevono un sostegno finanziario costante dalle rispettive sedi centrali.

Dato l’obiettivo dell’UE di porre fine alla dipendenza energetica russa entro la fine del 2027, queste strutture proprietarie in Serbia e Bosnia-Erzegovina – entrambi Paesi candidati all’adesione all’Unione europea – rappresentano una minaccia per la loro sicurezza e per la sicurezza dell’Ue, una volta allargata.

La struttura proprietaria della raffineria di petrolio serba è percepita come rischiosa perché Gazprom è il gigante energetico statale russo, il che suggerisce che Mosca eserciti un’influenza diretta sul settore energetico serbo. Gazprom ha anche fornito finanziamenti e sostegno diretti alla guerra russa in Ucraina.

A fine 2024 gli Stati Uniti hanno accettato di sanzionare i produttori di petrolio russi, tra cui Gazprom, a causa della guerra. Il pacchetto di sanzioni è entrato in vigore solo il 9 ottobre 2025. L’effetto immediato è stata la perdita del principale cliente petrolifero di NIS, il gestore di oleodotti statale croato JANAF, mentre la sospensione della licenza operativa di NIS e le minacce statunitensi di sanzioni secondarie hanno portato all’arresto completo della produzione. Se la situazione non verrà risolta, potrebbero esserci significativi effetti economici negativi a lungo termine per la Serbia, poiché la raffineria è redditizia e rappresenta un’infrastruttura strategicamente importante.

LA QUESTIONE DELLA RAFFINERIA SERBA NIS

La raffineria NIS in Serbia in precedenza era molto redditizia: nel 2024 ha contribuito per il 2,5% al ​​PIL serbo e per circa 2 miliardi di euro al bilancio. La struttura fornisce fino all’80% dei carburanti consumati in Serbia e impiega 14.000 persone.

Dalla fine del 2024 la Serbia ha dovuto affrontare la minaccia di un blocco della produzione di petrolio a causa delle sanzioni statunitensi alle compagnie petrolifere russe. NIS è inserita nella lista statunitense dei cittadini appositamente designati (SDN). Queste sanzioni sono state rinviate otto volte. Infine, il 9 ottobre scorso, gli USA hanno imposto sanzioni a tutte le raffinerie di proprietà russa, incluso il divieto di transazioni finanziarie e commerciali con qualsiasi attività SDN.

Anche la Bosnia-Erzegovina è indirettamente interessata dalle sanzioni statunitensi su NIS, poiché la società possiede stazioni di servizio in tutta la Bosnia-Erzegovina. Poiché Gazprom, comproprietario di NIS, è stato escluso dal sistema finanziario, questi distributori ora sono limitati alle sole transazioni in contanti.

Sono state annunciate poi delle sezioni secondarie: il blocco dell’intero sistema di pagamento serbo, gestito dalla Banca centrale serba, poiché consente pagamenti a Gazprom all’interno del Paese. La chiusura di NIS ha coinvolto due fasi. In primo luogo, la croata JANAF ha smesso di acquistare petrolio da NIS; in secondo luogo, la sospensione della licenza e la minaccia di sanzioni secondarie hanno portato al blocco completo della produzione dell’impianto.

Ad oggi Gazprom non ha accettato di vendere volontariamente le sue azioni. La Serbia può quindi ricorrere a mezzi legali per forzare l’acquisto, molto probabilmente facendo affidamento sulla sua Legge sull’Espropriazione. Queste azioni potrebbero quindi essere vendute tramite acquisizione (straniera). La Serbia dovrebbe sfruttare questo momento per sottrarre la sua infrastruttura petrolifera al controllo russo. Questo è importante non solo per la continuità operativa del settore energetico del Paese e dell’industria serba, di cui il settore dei trasporti è particolarmente a rischio.

IL MERCATO ELETTRICO DEI BALCANI OCCIDENTALI È INTEGRATO CON L’UNIONE EUROPEA

La dipendenza dei Balcani occidentali dalla Russia nel settore energetico potrebbe essere ridotta in modo più efficace, se le economie della regione si integrassero con i mercati elettrici dell’UE. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, la Commissione europea ha fissato un’ambiziosa scadenza al 2027 per l’integrazione dei Balcani occidentali nel proprio mercato elettrico, subordinatamente all’allineamento dei quadri normativi dei Balcani occidentali con quelli dell’Ue.

Ciò porterà diversi benefici sia all’Ue che ai Balcani occidentali: oltre a ridurre l’esposizione alle importazioni e alle interferenze energetiche russe, promuoverà una maggiore fiducia tra l’Ue e i Balcani occidentali e porterà significativi benefici economici ad entrambe le parti.

Un mercato elettrico allargato dovrebbe portare prezzi più bassi e maggiore competitività, e sarà anche molto favorevole alla transizione verde. L’integrazione è già significativa, ma è minacciata dal meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere dell’UE (CBAM). Inoltre, Bruegel ha analizzato i prezzi all’ingrosso dell’elettricità nei Balcani occidentali rispetto a quelli dei Paesi Ue, e i prezzi per i consumatori domestici e per le aziende, questi ultimi due fortemente sovvenzionati nei Balcani occidentali.

I BALCANI OCCIDENTALI SONO IMPORTANTI PER IL TRANSITO DI ELETTRICITÀ E GLI SCAMBI CON L’UE

Il mercato elettrico dei Balcani occidentali ha una capacità produttiva relativamente ridotta (84 TWh), pari al 3% dell’elettricità prodotta nell’UE (2.750 TWh). In termini di elettricità, i Balcani occidentali hanno all’incirca le stesse dimensioni del mercato elettrico belga o finlandese, che attualmente sono il nono e il decimo produttore individuale di elettricità dell’UE. La Serbia genera la metà dell’elettricità prodotta nei Balcani occidentali. La quota del Montenegro è la più piccola (5% del totale dei Balcani occidentali). Il Kosovo e la Macedonia del Nord generano l’8% ciascuno.

L’importanza del mercato elettrico nei Balcani occidentali supera di gran lunga le sue dimensioni. Le economie dei Balcani occidentali hanno uno scambio di elettricità relativamente equilibrato con i loro vicini dell’UE, con significative variazioni interannuali, a seconda, tra l’altro, delle condizioni idrologiche della regione.

Negli anni con precipitazioni superiori alla media, come il 2023, la regione è stata un importante esportatore netto di elettricità, mentre in alcuni anni più secchi è stata un piccolo importatore netto. Come per altre fonti di approvvigionamento energetico, le differenze tra i Paesi sono significative: Bosnia-Erzegovina, Serbia e Macedonia del Nord sono state importatrici nette di elettricità dall’UE nel 2024, mentre Albania e Montenegro sono stati esportatori netti rispettivamente verso Grecia e Italia.

Considerando le importazioni ed esportazioni simultanee nella stessa ora, un indicatore dei flussi di transito, diventa chiaro che tra il 60% e il 75% di tutti i flussi transfrontalieri sono in realtà transiti di elettricità dai Paesi Ue verso altri Paesi Ue attraverso i Balcani occidentali. Data la posizione della regione tra l’Europa centro-orientale (Ungheria, Croazia), l’Europa sud-orientale (Bulgaria, Romania, Grecia) e l’Europa meridionale (Italia), i Balcani occidentali fungono da hub di transito per l’elettricità, con piani per aumentare le capacità di interconnessione a tale scopo.

La Jugoslavia si è sincronizzata con l’Area Sincrona dell’Europa Continentale (UCTE) nel 1968. Nel 1991, durante le guerre jugoslave, l’UCTE si è divisa in due, con l’Europa sudorientale, inclusi i Balcani occidentali (ad eccezione di una parte della Bosnia-Erzegovina), Grecia, Romania e Bulgaria nella seconda zona.

Nel 2004, le due zone si sono risincronizzate e riunificate. Da allora, i Balcani occidentali sono stati ben integrati con il sistema elettrico dell’UE, più di Ucraina e Moldavia. Tuttavia, questa integrazione sarà distorta dal CBAM, che disincentiverà le esportazioni di elettricità dai Balcani occidentali verso l’UE. Inoltre, rimane aperta la questione su come, in pratica, i transiti di elettricità possano essere identificati ed esentati dal CBAM. Ciò crea incertezza sui flussi di transito dai paesi dell’UE attraverso i Balcani occidentali verso altri Paesi Ue.

LA TRANSIZIONE VERDE NON È ANCORA IN CORSO NEI BALCANI OCCIDENTALI

I Balcani occidentali sono molto ricchi di energia rinnovabile, con Albania e Montenegro che superano la media UE. Tuttavia, la regione dipende fortemente anche dal carbone.

Gli investimenti nelle energie rinnovabili, in particolare eolico e solare, sono in aumento, ma esiste anche un significativo potenziale inutilizzato che potrebbe apportare benefici sia ai Balcani che all’UE, soprattutto in un contesto di market coupling.

IL MIX DI PRODUZIONE ELETTRICA DEI BALCANI OCCIDENTALI

Nel 2024, l’UE ha prodotto circa il 10% della sua elettricità dal carbone, 15 punti percentuali in meno rispetto al 2014. Nel frattempo, tutti i paesi dei Balcani occidentali, ad eccezione dell’Albania, rimangono fortemente dipendenti dalla lignite, una fonte di elettricità economica con elevati costi ambientali e sanitari.

Un numero significativo di centrali a lignite nella regione violerebbe la Direttiva UE sulle emissioni industriali (IED, Direttiva 2010/75/UE) a causa della mancanza di apparecchiature di controllo dell’inquinamento e/o del superamento delle ore di funzionamento consentite dalla regola dell’opt-out.

Tuttavia, la produzione di energia elettrica nei Balcani occidentali dipende anche fortemente dall’energia idroelettrica, con l’Albania che produce quasi tutta la sua elettricità da energia idroelettrica. Pertanto, si prevede che tutti i paesi dei Balcani occidentali elimineranno gradualmente la produzione di energia elettrica a carbone, in linea con la Dichiarazione di Sofia del 2020 sull’Agenda Verde per i Balcani occidentali e con l’obiettivo di neutralità climatica dell’UE entro il 2050.

Per alcuni paesi, come l’Albania, che non utilizza più carbone, la transizione verde non è legata al mercato elettrico. Per altri, la transizione verde è molto complessa e costosa, soprattutto in Kosovo, che dipende quasi completamente dal carbone.

LE STRATEGIE SUL CARBONE

Si sono osservati alcuni progressi nell’abbandono del carbone, seppur modesti. Solo la Macedonia del Nord ha ridotto sostanzialmente la quota di carbone nel mix elettrico, di 26,8 punti percentuali dal 2014 al 2024, ma ciò ha comportato in gran parte una maggiore dipendenza dal gas, che ora rappresenta quasi un quarto del mix energetico. Anche in Macedonia del Nord si nota un leggero aumento dell’elettricità da fonte solare ed eolica; la situazione potrebbe cambiare nei prossimi anni con investimenti significativi in ​​impianti eolici.

Per altri paesi, il calo del carbone nella produzione di elettricità è stato di pochi punti percentuali dal 2014 al 2024, ad eccezione del Montenegro, dove la quota del carbone è diminuita di cinque punti percentuali a causa dell’espansione dell’energia eolica. Nel complesso, la Macedonia del Nord e l’Albania hanno ampliato maggiormente la loro quota di energia solare (mentre l’Albania non ha ancora registrato alcuna espansione nell’eolico), mentre altri Paesi hanno sfruttato il loro potenziale eolico in modo più efficace.

Pertanto, sebbene il mix di produzione di energia elettrica nella regione si sia leggermente diversificato, l’eliminazione graduale del carbone non è avvenuta. Non si è registrata alcuna tendenza al ribasso dell’elettricità pro capite a base di carbone, ad eccezione della Macedonia del Nord, dove l’impiego del gas potrebbe effettivamente aver contribuito ai progressi nell’eliminazione graduale del carbone. Nei Balcani occidentali non si è registrata alcuna tendenza al ribasso paragonabile a quella registrata nell’UE nell’ultimo decennio.

LA DICHIARAZIONE DI SOFIA SULL’AGENDA VERDE PER I BALCANI OCCIDENTALI

Mentre la Dichiarazione di Sofia sull’Agenda Verde per i Balcani Occidentali ha impegnato la regione ad allinearsi alla Legge Europea sul Clima (Regolamento (UE) 2021/1119) e all’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050 – che non può essere raggiunto senza l’eliminazione graduale della lignite per la produzione di energia – la maggior parte dei paesi dei Balcani Occidentali non ha una data per l’eliminazione graduale del carbone, o non ha un chiaro piano nazionale per l’eliminazione graduale del carbone.

Un’eliminazione graduale comporterebbe costi politici, poiché la produzione di energia elettrica a basso costo – e spesso ulteriormente sovvenzionata – basata sulla lignite da parte delle imprese statali contribuisce a bassi prezzi dell’elettricità per le famiglie nella regione.

I PNEC DEI PAESI DEI BALCANI OCCIDENTALI

I Piani Nazionali Energia e Clima (PNEC) dei Paesi della regione confermano che l’eliminazione graduale del carbone non è prevista a breve. Bosnia-Erzegovina, Serbia e Kosovo continuano a dipendere fortemente dal carbone e non hanno tempistiche vincolanti. Solo la Macedonia del Nord ha un impegno operativo per l’eliminazione graduale del carbone, con l’obiettivo di convertire una centrale a carbone (TE Plant Oslomej) in un impianto solare e di dismettere l’altra.

L’Albania è già libera dal carbone per la produzione di energia elettrica e sta valutando l’idrogeno verde come alternativa al carbone industriale residuo. Il Montenegro prevede la chiusura della sua centrale a carbone entro il 2040-2041, sebbene in precedenza si fosse impegnata a farlo entro il 2035.

Il ritardo è dovuto alla decisione di investire 87,5 milioni di euro nell’ammodernamento della sua unica centrale a carbone (TE Pljevlja), che, insieme alla combustione di legna per il riscaldamento domestico e per i veicoli a motore, ha causato gravi problemi di salute. Sebbene la ristrutturazione possa ridurre l’impronta di carbonio dell’impianto e, in particolare, le emissioni di inquinanti atmosferici locali, è in conflitto con l’obiettivo finale dell’eliminazione graduale del carbone.

L’IMPATTO DEL MECCANISMO CBAM

Con l’entrata in vigore del CBAM, è evidente che le esportazioni di energia elettrica di queste economie, ad eccezione dell’Albania, subiranno un impatto significativo. La Commissione europea ha osservato che il CBAM sarà attuato in modo da ridurre al minimo i costi economici per la regione, sebbene non sia ancora chiaro cosa ciò implichi.

Una soluzione temporanea potrebbe essere la diversificazione delle esportazioni di energia elettrica dei Balcani occidentali dall’UE verso paesi terzi, come Ucraina, Moldavia, Turchia o Svizzera. Tuttavia, anche le esportazioni verso paesi terzi che transitano attraverso paesi dell’UE potrebbero di fatto essere soggette al CBAM, a seconda del rigore dei criteri per l’identificazione dei transiti.

L’IPOTESI DELL’ACCOPPIAMENTO CON IL MERCATO ELETTRICO UE

Un’altra soluzione sarebbe l’accoppiamento con il mercato elettrico dell’UE, in linea con il Piano di crescita per i Balcani occidentali. Tuttavia, il market coupling è soggetto all’allineamento normativo. Tale allineamento presuppone principalmente il recepimento e l’attuazione del Pacchetto di integrazione dell’energia elettrica della Comunità dell’energia (EIP), l’adozione dei Piani nazionali per l’energia e il mercato (PNEC) e l’istituzione di un mercato elettrico del giorno prima funzionante. Infine, ogni Paese deve istituire un gestore del sistema di trasmissione (TSO) certificato e indipendente per l’elettricità (e il gas, ove applicabile) e almeno un gestore del mercato elettrico designato.

Questi passaggi normativi rappresentano un oneroso compito amministrativo per questi Paesi. Quattro Paesi su sei hanno adottato i Piani nazionali per l’energia e il gas (PNEC). Secondo l’ultimo rapporto di attuazione del Segretariato della Comunità dell’energia, il Paese con le migliori prestazioni in termini di preparazione al market coupling, la Macedonia del Nord, ha un punteggio di preparazione normativa del 61%, seguito da Montenegro e Serbia con un punteggio del 58%, dal Kosovo al 46%, dall’Albania al 41% e dalla Bosnia-Erzegovina con un punteggio di appena il 25%.

IL PACCHETTO DI INTEGRAZIONE DELL’ENERGIA ELETTRICA DELLA COMUNITÀ DELL’ENERGIA

Per quanto riguarda l’EIP, il pacchetto di leggi e regolamenti necessari per il market coupling dell’elettricità, la Serbia è in testa, avendo “adottato una serie completa di atti primari e secondari volti a raggiungere il pieno recepimento”. Anche la Macedonia del Nord e il Montenegro mostrano progressi significativi nel recepimento parziale dell’EIP, mentre la Bosnia-Erzegovina ha alcuni dei progetti di legge pertinenti in fase di esame parlamentare, mentre Albania e Kosovo stanno entrambi elaborando leggi in materia.

Va tuttavia notato che la scadenza per il recepimento dell’EIP nella Comunità dell’energia era il 31 dicembre 2023, scadenza non rispettata da tutti i paesi dei Balcani occidentali (e da tutte le altre parti contraenti della Comunità dell’energia). Dopo la notifica del recepimento, il Segretariato della Comunità dell’energia e la Commissione europea verificano il recepimento, dopodiché potrà iniziare un processo di preparazione tecnica e operativa di 18 mesi per l’integrazione del market coupling, in coordinamento con il Market Coupling Steering Committee (MCSC), un organismo composto dai gestori dei sistemi di trasmissione europei e dai gestori del mercato elettrico designati.

Considerando l’attuale stato di recepimento e la tempistica successiva al recepimento, si può concludere con certezza che il collegamento elettrico tra l’Unione europea e i Balcani occidentali entro il 2027, come previsto nei piani di crescita dei paesi, non è realistico. I benefici economici che la regione dovrebbe trarre dal collegamento saranno quindi probabilmente ritardati.

Inoltre, l’accoppiamento del mercato elettrico richiederebbe un’esenzione dal CBAM per il settore elettrico, tramite un prezzo effettivo del carbonio equivalente nei Balcani occidentali, oppure tramite la clausola di esenzione (articolo 2(7) del regolamento CBAM), che richiede anche l’introduzione di un sistema ETS per il settore elettrico con un prezzo del carbonio equivalente al sistema ETS dell’Unione europea entro il 2030.

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