Skip to content
Costi CO2 Germania

Germania, la trappola dei costi CO2: quote e dazi climatici frenano la ripresa industriale

Il cancelliere Merz affronta i rincari dal 2026: carburanti più cari e taglio ai permessi gratuiti Ue. Al via l’adeguamento alle frontiere per acciaio e cemento, ma le imprese temono la perdita di export. Impossibile frenare le misure: il gettito delle aste è ormai essenziale per finanziare il fondo per il clima.

L’aumento del costo della CO2 e il nuovo sistema europeo di adeguamento alle frontiere stanno per imprimere una svolta pesante ai bilanci produttivi tedeschi. Dal prossimo anno, fra aste di quote sempre più limitate, carburanti più cari e nuove regole sulle importazioni, la manifattura nazionale entrerà in una fase caratterizzata da costi operativi crescenti che rischiano di erodere ulteriormente la capacità della Germania di competere sui mercati internazionali.

PRESSIONI IN CRESCITA SUL SISTEMA PRODUTTIVO

Il dibattito politico tedesco torna a concentrarsi sulla questione dei prezzi di produzione, nodo che il cancelliere Friedrich Merz considera a buon diritto centrale per la ripresa economica. Ordini in calo, margini ridotti e concorrenza estera sempre più aggressiva compongono un quadro complesso, destinato a diventare più oneroso con l’inasprimento delle misure climatiche fissate da Berlino e Bruxelles.

Dal 2026 entrerà in vigore una nuova forchetta tariffaria per la CO2 nazionale, compresa tra 55 e 65 euro per tonnellata. Le quote per edifici e trasporti saranno messe all’asta e il loro costo si tradurrà in rincari per mobilità privata, riscaldamento domestico e gestione energetica di uffici e stabilimenti. Un aumento di pochi centesimi al litro per i carburanti e di alcune decine di euro l’anno per gli impianti a gas domestici basta a indicare l’andamento di fondo: la spesa energetica crescerà in modo continuo e sistemico.

REGOLE PIÙ SEVERE NEL MERCATO DELLE QUOTE

Come sottolinea la Neue Zürcher Zeitung, parallelamente l’Unione Europea riformerà il sistema di scambio delle emissioni applicato ai comparti industriali più energivori. Il numero complessivo di certificati verrà ridotto progressivamente, mentre la distribuzione gratuita – finora utilizzata per non penalizzare siderurgia, chimica, cemento, fertilizzanti, aviazione e navigazione interna al continente – verrà quasi azzerata.

Dal 2026 “i settori ad alta intensità energetica dovranno acquistare una quota iniziale del 2,5% delle emissioni generate, con un incremento programmato fino al 48,5% nel 2030, fino a raggiungere l’obbligo di copertura totale nel 2034”. Il prezzo corrente intorno agli 80 euro per tonnellata lascia prevedere impatti significativi sui conti industriali, aggiunge il quotidiano svizzero, e “la riduzione dei certificati disponibili, programmata a un ritmo superiore al 4% annuo, tenderà inoltre a far salire ulteriormente il valore delle quote, rendendo più onerosi gli investimenti produttivi”.

IMPORTAZIONI PIÙ CARE E RISCHI DI SBILANCIAMENTO

Un altro tassello cruciale sarà l’applicazione del meccanismo di adeguamento alle frontiere (CBAM), pensato per evitare che prodotti ad alta intensità carbonica provenienti da paesi privi di sistemi di scambio delle emissioni arrivino sul mercato europeo a costi inferiori. “Dal prossimo anno gli importatori di acciaio, ferro, cemento, alluminio, fertilizzanti, elettricità e idrogeno dovranno acquistare certificati equivalenti al 2,5% delle emissioni incorporate nei beni esteri”, scrive ancora la NZZ, “con un aumento graduale fino alla copertura totale entro il 2034”.

Secondo calcoli elaborati da un primario istituto bancario tedesco, “questo sistema comporterà un incremento immediato dell’1% sul costo dei prodotti interessati rispetto al 2024, con una progressione che potrebbe raggiungere il 20% entro il 2030”. Effetti che si trasferiranno anche sui prodotti nazionali attraverso l’aumento dei prezzi dei materiali di base. La costruzione di nuovi edifici, già sotto pressione, diventerà più dispendiosa, mentre rialzi dei fertilizzanti alimenteranno ulteriori rincari nel settore agroalimentare.

Il nuovo meccanismo, tuttavia, non prevede compensazioni per le imprese europee al momento dell’esportazione, con il rischio di ridurre la competitività dei beni tedeschi sui mercati globali. La Camera di commercio e dell’industria (Deutscher Industrie und Handelskammertag, DIHK) teme un indebolimento dei comparti energivori e paventa potenziali tensioni commerciali, soprattutto con gli Stati Uniti del presidente Donald Trump.

IMPROBABILE UN ARRETRAMENTO DELLE MISURE

A complicare ulteriormente il quadro, “gli obblighi di rendicontazione delle emissioni incorporate nelle importazioni implicano procedure complesse, sanzioni severe in caso di dati incompleti e possibili distorsioni competitive legate all’utilizzo di valori standard quando i dati forniti dai produttori esteri risultano indisponibili”.

Nonostante le criticità, il gettito generato dal mercato delle quote resta una delle principali fonti di finanziamento per il fondo tedesco per la transizione climatica – conclude il quotidiano di Zurigo – elemento che rende improbabile un arretramento delle misure già approvate.

ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWSLETTER

Rispettiamo la tua privacy, non ti invieremo SPAM e non passiamo la tua email a Terzi

ads
Torna su