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Bonifiche

Ambiente: bonifiche industriali ancora ferme

Ad oggi solo su un quarto delle 41 aree Sin sono stati avviati o completati gli interventi di bonifica. Su gli altri due terzi di questi siti, è stato fatto soltanto lo studio preliminare (caratterizzazione). Eppure puntare sulle bonifiche sarebbe un investimento pubblico assai produttivo: stimando in 5 anni i tempi per la conclusione degli interventi a fronte di 10 miliardi di spesa il livello della produzione aumenta di oltre 20 miliardi, innescando 200.000 posti di lavoro in più e ripagandosi in gran parte da solo. L’approfondimento di Annarita Digiorgio

Lo sviluppo industriale del 900 che ha reso forte, ricca e importante l’Italia ha però, in un’epoca in cui non si conoscevano i rischi ambientali e sanitari ad essa legata, inquinato fortemente se non immutabilmente diverse aree della penisola.

LE AREE SIN IDENTIFICATE DALL’ISPRA

L’Ispra ha contato 12.482 siti potenzialmente contaminati, distribuiti su tutto il Paese, con un record di 3.733 casi in Lombardia. Le aree più estese e inquinate, sono identificate e denominate cosiddette aree SIN (sito di interesse nazionale): grandi zone di terre e acque in cui per decenni si sono riversati veleni frutto di una stagione in cui le ragioni del lavoro hanno prevalso su quelle di salute e ambiente. Parliamo di aree industriali dismesse, in attività, o che sono state oggetto in passato di incidenti con rilascio di inquinanti chimici, e discariche in cui sono stati ammassati o interrati rifiuti pericolosi, che vengono censiste dallo Stato con obbligo di bonifica.

Secondo uno studio realizzato dal Consorzio Italbiotec, che riunisce istituzioni, enti di ricerca e imprese delle biotecnologie industriali, il 66% delle aree dei SIN è connesso ad attività industriali, per il 10% portuale; il 12% all’estrazione di amianto, il 5% a discariche e il 7% a complessa attività industriale ed estrattiva. Predomina l’inquinamento da combinazioni di metalli pesanti, composti clorurati, idrocarburi, pesticidi e erbicidi che rappresentano globalmente il 61% del totale dei contaminanti presenti.

Era il 1998 quando il ministero dell’Ambiente caratterizzò i primi 15 Siti d’interesse nazionale. Da allora le aree Sin sono più che raddoppiate arrivando a censirne 41.
Ma la bonifica è ancora inesistente.

IL TOTALE DELLE AREE SIN SUL TERRITORIO NAZIONALE

Il totale delle aree Sin italiane ricopre lo 0,57% del territorio nazionale, con 171.268 ettari di superficie e 77.733 a mare da bonificare.
Oltre la metà (21 Sin) si concentrano in Lombardia (5), Piemonte (4), Toscana (4), Puglia (4), e Sicilia (4). Per quanto riguarda l’estensione, le regioni con le superfici marine e terrestri più ampie di aree Sin sono il Piemonte (90.000 ha), la Sardegna (56.800 ha), la Sicilia (24.400 ha), la Puglia (24.000 ha) e la Liguria (22.500 ha).

LA SITUAZIONE CENSITA DALLA COMMISSIONE ECOMAFIE

A fare il censimento della situazione a oggi è stata la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati – la cosiddetta commissione Ecomafie, presieduta da Stefano Vignaroli (M5S) –, che ha audito la settimana scorsa i rappresentati dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra): il presidente Stefano Laporta, il direttore generale Alessandro Bratti e il responsabile dell’area per la Caratterizzazione e la protezione dei suoli e per i siti contaminati, Fabio Pascarella.

Ad oggi solo su un quarto delle 41 aree Sin sono stati avviati o completati gli interventi di bonifica. Su gli altri due terzi di questi siti, è stato fatto soltanto lo studio preliminare (caratterizzazione).
In nessun SIN le attività di ripristino sono state completate; quello più avanti è quello della val Basento, completato per l’88 % nel 2018.
Nel complesso le opere di bonifica si sono concluse per il 15% dei suoli coinvolti e per il 12% delle acque sotterranee, mentre sono già approvati interventi per il 12% dei suoli e il 17% delle acque. Per il 66% dei suoli e il 63% delle acque è stata eseguita solo la caratterizzazione, cioè la definizione dei fenomeni inquinanti.

Questi dati però riguardano meno della metà della superficie dei 35 SIN considerati dall’Ispra: sul resto l’agenzia non non ha alcuna informazioni circa lo stato di avanzamento degli interventi, poiché competenza delle Agenzie regionali per l’ambiente.

La legge inoltre non prevede alcun obiettivo temporale per completare i lavori.

I PROBLEMI PER L’AVVIO DELLE BONIFICHE

Le criticità nelle procedure relative all’avvio delle bonifiche sono principalmente legate alla natura dell’inquinamento con molti contaminanti, alla questione delle proprietà dei siti (multiproprietà, passaggi di proprietà nel tempo, siti orfani), alla frammentazione degli interventi effettuati e alla perimetrazione delle aree. Altre criticità sono legate alla lunga durata degli interventi di bonifica, la proliferazione normativa, la difficoltà di digitalizzare e raccogliere le informazioni in database completi di coordinate geografiche.
Alle procedure di bonifica inizialmente doveva pensare lo Stato, dal 2012, 17 dei siti sono passati in carico alle Regioni.

FRAMMENTAZIONE E CAMBIAMENTI DI PROPRIETÀ RALLENTANO LE BONIFICHE

Durante l’audizione il responsabile Laporta ha ammesso anche che oltre a una mancanza di volontà politica, le difficoltà per le bonifiche nascono dalla frammentazione e dai cambiamenti delle proprietà, che rendono difficile risalire ai responsabili degli inquinamenti, e da una normativa farraginosa e contraddittoria, con sovrapposizioni di competenze.

Eppure superare queste difficoltà permetterebbe all’Italia non solo di appropriarsi di ampie fette di territorio inquinato, ma anche, decontaminandolo, di avviare un percorso di sviluppo sostenibile.

GLI INVESTIMENTI NECESSARI

Risale a tre anni fa l’ultimo studio di Confindustria che fissava in 10 miliardi di euro gli investimenti necessari le bonifiche.
L’analisi di Confindustria individua «un uso prevalente degli interventi di bonifica mediante scavo e smaltimento in discarica», che riguarda «circa il 40% degli interventi effettuati nei Sin. Più del 50% è inoltre ubicato ex-situ, con i relativi conseguenti impatti legati alla movimentazione e al trasporto del materiale; impatti sia per l’ambiente che per gli operatori addetti agli interventi e per la popolazione circostante, nonché alla creazione di nuovi luoghi di deposito rifiuti con conseguente consumo di territorio. Così anche dove le bonifiche sono state avviate, non sempre i rispettivi territori possono (o gradiscono) farsi carico dei lavoro, spedendo altrove gli ingenti materiali rimossi.

IL RITORNO ECONOMICO DELLE BONIFICHE

Eppure puntare sulle bonifiche sarebbe un investimento pubblico assai produttivo: stimando in 5 anni i tempi per la conclusione degli interventi a fronte di 10 miliardi di spesa il livello della produzione aumenta di oltre 20 miliardi, innescando 200.000 posti di lavoro in più e ripagandosi in gran parte da solo. Gli effetti finanziari in termini di entrate complessive stimate arrivano a 4,7 miliardi di euro tra imposte dirette, indirette e maggiori contributi sociali.

Ma come dichiarato in audizione uno “dei principali parametri che condiziona l’attività di bonifica è l’aspetto economico, determinato sia da fattori tecnologici che dai costi della gestione dei rifiuti ma anche dai tempi lunghi di approvazione e realizzazione degli interventi e, in diversi casi, dalla complessa interlocuzione con gli enti di controllo”.

I PASSI NECESSARI SECONDO CONFINDUSTRIA

Per riuscire nella realizzazione delle bonifiche Confindustria ha individuano 4 punti chiave: intervenire sull’offerta di risorse finanziarie, ragionando su meccanismi incentivanti che lo Stato può mettere a disposizione del privato; intervenire sulla domanda di risorse finanziarie, formulando proposte volte a favorire il risanamento ai fini del riuso delle aree; avanzare proposte per un ulteriore snellimento e razionalizzazione delle procedure; avanzare proposte per favorire l’utilizzo di tecnologie in situ, tecnologie innovative diverse da scavo e smaltimento (non ultima il riciclo per quanto possibile dei materiali).

UN FONDO UNICO AMBIENTALE PER SOSTENERE LE BONIFICHE

«Pensiamo a un fondo unico ambientale per sostenere le bonifiche», ha dichiarato qualche mese fa il Ministro dell’Ambiente, Sergio Costa. Il suo predecessore, Gian Luca Galletti, aveva già riferito in un intervento al Senato, il 19 gennaio 2017, di circa 2 miliardi di euro stanziati. Finora la somma totale dei finanziamenti è arrivata a 3.148.685.458 euro.

Il Corriere ne ha raccolto l’avanzamento. In Veneto, 781 milioni di euro sono stati usati per bonificare solo il 15% dei terreni e l’11% della falda di Porto Marghera. In Campania, l’area perimetrata nel Sin di Napoli Orientale, su cui insiste la quasi totalità degli impianti di deposito e stoccaggio di gas e prodotti petroliferi presenti sul territorio cittadino, la bonifica ha interessato finora solo il 6% dei terreni e il 3% della falda. Va molto peggio nell’area occidentale, quella dell’ex Ilva, ex Eternit, ex discarica Italsider: 242 ettari di superficie potenzialmente inquinati da metalli, ipa, fenoli, amianto; oltre 10 milioni stanziati dal Ministero dell’Ambiente, bonifiche: zero. L’area di Tito, in Basilicata, ha completato solo il 4% della procedura di bonifica, idem in Sardegna, nonostante i 77 milioni stanziati dal Ministero dell’Ambiente, e i 20 già spesi per le aree industriali inquinate di Sulcis-Iglesiente-Guspinese.

LA SITUAZIONE DA NORD A SUD

In Sicilia nei siti contaminati che vanno da Priolo (Siracusa), a Biancavilla (Catania), fino a Gela (Caltanissetta), sono stati spesi 3 milioni di euro per zero bonifiche. Nulla di fatto anche al Nord, per le aree industriali di Trento e per i metalli pesanti che hanno inquinato falde e terreni dell’area della Caffaro di Torviscosa, in Friuli, dove i milioni finanziati dal Ministero sono stati rispettivamente 19 e 35. In Toscana, a fronte di finanziamenti per oltre 20 milioni, nessuna bonifica è stata completata nei Sin di Orbetello e Livorno. In Piemonte i circa 51 milioni stanziati non hanno ancora rimesso in salute le aree di Balangero, Pieve Vergonte e Serravalle Scrivia: qui, la bonifica delle falde e dei terreni è ferma allo 0%, così come nell’area contaminata di Cengio e Saliceto che il Piemonte condivide con la Liguria. La situazione più critica è però in Lombardia: 5 aree contaminate da metalli pesanti, idrocarburi, PCB, inserite fra le priorità di bonifica. Le attendono da circa 18 anni. Eppure, c’erano e ci sono finanziamenti da parte del Ministero per oltre 200 milioni di euro: non sembra, perciò un problema di liquidità.

IL CASO A PARTE DI TARANTO

Un caso a parte è quello di Taranto dove dal 2012 il governo ha commissariato l’area Sin nominando un Commissario straordinario per le bonifiche, con una Copertura finanziaria totale attuale di euro 214.896.437 e ad oggi nessuna bonifica attuata se non ricerche e consulenze.

Inoltre dal dpcm 2017 a Taranto sono state rese obbligatorie le bonifiche di altri di 276 ettari di aree non destinate ad uso produttivo interne ad Ilva. Devono farle per obbligo di legge i Commissari di Ilva in Amministrazione Straordinaria (di nomina Mise) da settembre 2018 con 1,3 miliardi sequestrati ai Riva dal tribunale di Milano.

Nulla è ancora cominciato.

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