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Petrolio

L’Asia spera nel ritorno del petrolio da Iran e Venezuela

La speranza in Asia è che Joe Biden possa permettere la ripresa delle esportazioni di petrolio di Iran e Venezuela

Alla domanda se l’India sia favorevole ad un allentamento delle sanzioni americane verso l’Iran e il Venezuela, il ministro del Petrolio Dharmendra Pradhan ha risposto che “come acquirente, mi piacerebbe avere più posti in cui fare acquisti”. L’India è infatti il terzo maggiore importatore di petrolio al mondo e ha anche intenzione di accrescere le proprie riserve strategiche.

COSA FA L’INDIA

Il suo terzo maggiore fornitore, l’Iran, è stato però colpito dalle sanzioni americane, parte della strategia di “massima pressione” voluta dal presidente Donald Trump, che tra le altre cose ne limitano le capacità di esportazione del greggio.

Dalla metà del 2019 – ovvero dalla scadenza del periodo di esenzione dalle sanzioni concesso da Washington – l’India ha smesso di comprare barili da Teheran. E ha anche ridotto sensibilmente le importazioni petrolifere dal Venezuela, un altro paese verso cui gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni: da gennaio ad ottobre Nuova Delhi ha importato 7,6 milioni di tonnellate di greggio venezuelano, contro le quasi 16 milioni di tonnellate del 2019.

COSA FA LA CINA

Come l’India, anche la Cina – il più grande importatore di petrolio al mondo – ha diminuito di volumi degli acquisti dall’Iran: nei primi dieci mesi del 2020 ha importato circa 3 milioni di tonnellate di petrolio iraniano (72mila barili al giorno), il 77 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno prima. L’ultima volta che ha importato greggio dal Venezuela è stato nel settembre del 2019.

Dall’inizio dell’anno scorso, però, si è notato un forte aumento delle importazioni di greggio dalla Malaysia, molto più alte del normale. Gran parte di queste importazioni potrebbero arrivare da trasferimenti da nave a nave nello stretto di Malacca, che Bloomberg ha definito “una tattica per mascherare l’origine dei carichi”.

LA SITUAZIONE (E LE SPERANZE) IN ASIA

La minore circolazione di barili iraniani e venezuelani sta obbligando le raffinerie in Asia – che solitamente lavorano greggi medi o pesanti, come quelli prodotti dai due paesi sanzionati – a ricercare delle alternative. La situazione sta favorendo il Canada, che produce un petrolio di qualità simile.

La speranza dei paesi asiatici è che la prossima amministrazione americana, guidata da Joe Biden, adotti un approccio diverso e meno duro nei confronti dell’Iran e del Venezuela rispetto a quello di Trump, consentendo la ripresa delle esportazioni petrolifere dei due paesi.

Se così dovesse essere, si assisterebbe ad un riorientamento dei flussi del commercio petrolifero nella regione, ad una perdita di momentum per quei produttori come il Canada e ad un nuovo problema per l’OPEC+, che vuole estendere i tagli collettivi all’output di petrolio e che si ritroverebbe a gestire nuova offerta sui mercati.

Benché Biden non sembri essere troppo favorevole ad utilizzare le sanzioni commerciali come uno strumento di politica estera, è improbabile che possa decidere di rimuovere immediatamente le sanzioni all’Iran. I rapporti tra Washington e Teheran sono molto peggiorati negli ultimi anni e il paese è tornato ad arricchire l’uranio: due fatti che complicano le possibilità di nuove trattative e di un nuovo accordo sul nucleare.

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