Nonostante i suoi 50 anni di storia, tutti gli impianti CCS a livello globale catturano solo circa 40 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno, meno dello 0,1% delle emissioni globali di gas serra
Intrappolare l’anidride carbonica e immagazzinarla, in modo che non possa riscaldare il pianeta, è una soluzione da sempre allettante. Oggi, come mai prima d’ora, i governi e le aziende stanno valutando questa tecnologia come un modo per risolvere il problema climatico.
L’industria dell’oil & gas sostiene da tempo che è possibile ottenere delle riduzioni reali delle emissioni rimuovendo la CO2 dalle ciminiere e seppellendola nel sottosuolo, un approccio noto come “cattura e stoccaggio del carbonio” (in inglese carbon capture and storage, CCS). Dopo decenni in cui non sono riusciti a raggiungere la scala necessaria per fare davvero la differenza, però, i responsabili dell’approvazione di generose sovvenzioni e di miliardi di investimenti vogliono la prova che questa volta funzionerà davvero.
LA STRATEGIA DI BIDEN SULLA CCS
Come parte delle regole proposte la scorsa settimana per ridurre l’inquinamento da carbonio delle centrali elettriche statunitensi, il presidente Joe Biden richiederà ad alcuni impianti di costruire degli impianti CCS o di chiudere le centrali. Il regolamento arriva dopo che gli incentivi, sotto forma di crediti d’imposta, fino a 85 dollari per tonnellata di CO2 catturata sono stati assegnati nella legge sul clima di Biden, insieme alla legge sulle infrastrutture, con 8,5 miliardi di dollari per potenziare la tecnologia CCS. Secondo BloombergNEF, queste azioni, entro il 2030, vedranno gli Stati Uniti ospitare quasi la metà della capacità CCS del mondo.
Ad inizio maggio il presidente della COP28, Sultan Al Jaber, ha affermato che la CCS svolgerà un ruolo importante anche nel vertice ONU sul clima che sarà ospitato dagli Emirati Arabi Uniti, la COP28.
I PIANI DELLE MULTINAZIONALI
Anche le aziende private stanno entrando nel settore: JP Morgan., Alphabet, Meta, McKinsey ed altre hanno contribuito ad un fondo da 1 miliardo di dollari che acquisterà crediti per la rimozione del carbonio, per supportare tecnologie che assorbono CO2 già presente nell’atmosfera. Microsoft questa settimana ha annunciato un accordo per l’acquisto di crediti simili dal colosso energetico danese Orsted.
Queste tecnologie per rimuovere dall’aria l’attuale inquinamento da carbonio saranno necessarie su larga scala nella seconda metà del secolo, per mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5°C, ma sono molto più costose dell’intrappolamento delle emissioni dalle ciminiere.
“È un anno entusiasmante per il settore”, ha affermato Jessie Stolark, direttore esecutivo di Carbon Capture Coalition, un gruppo di pressione statunitense. “Non stiamo dicendo che è una pallottola d’argento. È importante implementare tecnologie di gestione del carbonio insieme ad un portafoglio completo di strategie di riduzione delle emissioni”.
La CCS non è una cosa sola. È un termine generico per un insieme di tecnologie che separano la CO2 – il principale gas serra – da una miscela di gas, e quindi trovano un modo per garantire che non entri nell’atmosfera. A seconda della miscela di gas coinvolta (se l’impianto brucia carbone o produce cemento, ad esempio) e a seconda di dove è immagazzinato il gas (se è interrato o trasformato in prodotti commerciali), il costo di costruzione degli impianti CCS può variare molto.
GLI OSTACOLI PER LO SVILUPPO DEGLI IMPIANTI CCS
Il primo impianto di cattura del carbonio su larga scala è stato costruito negli Anni 70. Il suo compito era separare la CO2 dal gas naturale, quindi iniettare il gas serra nel sottosuolo per estrarre più petrolio da un giacimento in via di esaurimento. Questo, secondo il Global CCS Institute, è ciò per cui viene attualmente utilizzata la stragrande maggioranza della CO2 catturata nel mondo. L’uso specifico della CCS per aiutare a mitigare il riscaldamento globale è iniziato solo negli Anni 90 e rimane ancora su scala ridotta.
Nonostante i suoi 50 anni di storia, tutti gli impianti CCS distribuiti a livello globale catturano solo circa 40 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno, meno dello 0,1% delle emissioni globali di gas serra. Se ogni impianto in cantiere raccolto dal Global CCS Institute venisse costruito, la percentuale aumenterebbe di circa lo 0,5%. La domanda però è: ci sarà un boom della CCS? L’ultimo decennio è disseminato di impianti per la cattura del carbonio che sono stati annunciati con grande clamore ma non sono mai stati costruiti, insieme ad alcuni progetti multimiliardari che sono falliti dopo l’inizio della loro costruzione.
La maggior parte degli impianti CCS nel mondo sono gestiti da compagnie petrolifere e del gas. Questo perché l’industria ha sviluppato le competenze necessarie per gestire in sicurezza grandi volumi di gas. Tuttavia, a meno che la CCS non fosse legata direttamente alle entrate sotto forma di tasse sul petrolio o sul carbonio, pochi impianti hanno trovato dei modelli di business praticabili e che giustifichino investimenti significativi.
LA CCS IN ITALIA E LE ATTIVITÀ DI ENI NEL REGNO UNITO
Nel dicembre scorso Eni e Snam hanno firmato un accordo attraverso il quale le due aziende, attraverso una joint-venture paritetica, collaboreranno allo sviluppo e alla gestione della Fase 1 del Progetto Ravenna di cattura e stoccaggio della CO2. L’accordo prevede anche di portare avanti gli studi e le attività propedeutiche a successive fasi di sviluppo. Nello specifico, la Fase 1 del Progetto Ravenna CCS prevede la cattura di 25.000 tonnellate di CO2 dalla centrale Eni di trattamento di gas naturale di Casalborsetti (Ravenna). Una volta catturata, la CO2 sarà convogliata verso la piattaforma di Porto Corsini Mare Ovest e infine iniettata nell’omonimo giacimento a gas esaurito, nell’offshore ravennate.
Eni e Snam hanno spiegato che il progetto rappresenta un tassello fondamentale per rispondere alle necessità di decarbonizzazione delle acciaierie, dei cementifici, delle industrie della ceramica e della chimica e più in generale dei settori “hard to abate” attraverso un processo tecnologico immediatamente disponibile, altamente efficiente ed efficace, che permette di valorizzare le infrastrutture e le competenze già presenti sul territorio. Le attività previste consentiranno di creare nuove opportunità di lavoro, con una stima complessiva di oltre 500 nuovi posti di lavoro in corrispondenza della sola prima fase del progetto.
Eni è attiva nel settore anche nel Regno Unito. In qualità di operatore del trasporto e stoccaggio di anidride carbonica di HyNet North West, a fine marzo Eni ha annunciato di aver raggiunto “un grande risultato”, che posiziona l’azienda come “operatore di primo piano per progetti Carbon Capture and Storage nel Paese. Il Dipartimento per la Sicurezza Energetica e Net Zero (DESNZ) britannico ha comunicato l’elenco dei progetti di cattura delle emissioni di CO2 che accederanno ai fondi – pari a 20 miliardi di sterline – stanziati per le iniziative in Track 1 e previsti dal governo per accelerare la decarbonizzazione del Paese: degli 8 progetti selezionati, ben 5 appartengono al Consorzio HyNet North West, in cui Eni è operatore per le attività di Trasporto e Stoccaggio della CO2. Gli altri 3 progetti selezionati sono afferenti all’altro Hub CCS East Coast Cluster, in corrispondenza della costa orientale dell’Inghilterra.
I CREDITI PER LA RIMOZIONE DEL CARBONIO
D’altra parte, c’è una crescente domanda di crediti per la rimozione del carbonio, che aiutano le società globali a raggiungere in modo credibile gli obiettivi net zero. Questo, a sua volta, ha portato un gran numero di startup a sviluppare queste tecnologie, e dimostra che, con modelli di business alternativi, la CCS può prosperare al di fuori dei confini delle grandi società di combustibili fossili.
Il fallimento della CCS nel mantenere le sue grandi promesse è il motivo per cui questa volta il supporto arriva anche con una maggiore quota di scetticismo. “Non possiamo sederci qui e fingere di avere automaticamente qualcosa che oggi non abbiamo, perché potrebbe non funzionare”, ha spiegato l’inviato statunitense per il clima, John Kerry.
Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia, in un mondo che vuole raggiungere le zero emissioni nette entro la metà del secolo, la capacità globale di CCS entro il 2030 dovrà raggiungere gli 1,3 miliardi di tonnellate di carbonio catturato ogni anno, una cifra corrispondente a circa 30 volte la capacità odierna.
La scorsa settimana, in un post LinkedIn, il direttore dell’AIE Fatih Birol ha scritto che l’obiettivo è ambizioso e che l’industria deve mostrare progressi: “quest’anno è un’opportunità unica per l’industria petrolifera e del gas per dimostrare che sono serie nell’affrontare il cambiamento climatico”.