I produttori dell’Ue spingono per rimuovere il ban alle auto ibride nel 2035. Arera boccia lo spostamento del rigassificatore Snam di Piombino: troppo costoso. I data center fanno crescere la domanda di elettricità di 40 volte. Trump e Putin oggi parleranno anche di impianti energetici oltre che di pace. La rassegna Energia
L’automotive europeo chiede a Bruxelles di rivedere in fretta il piano per la transizione elettrica. Una delle chiavi per i produttori è permettere di vendere auto ibride anche oltre il 2035. L’alternativa è perdere competitività e rischiare di fallire l’obiettivo di sostituire il parco circolante europeo con vetture sempre meno inquinanti. Spostare il rigassificatore di Snam da Piombino costa troppo, secondo Arera. “La rilocazione della Fsru in alto Tirreno, sulla base di quanto rappresentato nel Piano, comporta rilevanti costi sia di allacciamento che di adeguamento della rete di trasporto e, di conseguenza, presenta profili di inefficienza in quanto diseconomica rispetto all’utilità marginale dell’investimento”, scrive l’Autorità nella delibera approvata la settimana scorsa sulla valutazione dei piani decennali di sviluppo delle reti di trasporto del gas naturale. La domanda di energia elettrica schizza a 40 Gigawatt, 40 volte la quantità registrata nel 2021, secondo dati Terna. La causa principale è la crescita esponenziale dei data center, impianti che sorgeranno principalmente in Lombardia, Piemonte e Puglia, stando alle richieste presentate fino ad oggi. Trump e Putin oggi parleranno anche di impianti energetici, oltre che di territori. A rivelarlo è lo stesso tycoon, che ha aggiunto che “ci sono molte cose che sono state già discusse dall’Ucraina e dalla Russia, abbiamo già parlato con loro di dividere certi asset”. La rassegna Energia
I PRODUTTORI CHIEDONO ALL’UE DI APRIRE ALLE AUTO IBRIDE OLTRE IL 2035
“Potrebbe essere costruito in Germania il terzo stabilimento della cinese Byd per servire l’Europa, dopo quelli già previsti in Turchia e in Ungheria. L’indiscrezione, contenuta in un rapporto Reuters, è piombata ieri nella discussione sul futuro dell’auto in Europa e in Italia. (…) un rilievo cruciale avranno le scelte di Stellantis. Forte, di conseguenza, l’attesa per l’audizione domani in parlamento del presidente John Elkann. La prospettiva di investimenti da parte di case asiatiche in Italia appare in salita. «Anche noi ci abbiamo creduto — ha spiegato il direttore generale dei componentisti di Anfia, Gianmarco Giorda —. Ora però i costruttori cinesi sono in una fase di attesa rispetto alle decisioni degli investimenti futuri. Perché la transizione non sta andando alla velocità prevista. E poi c’è il tema della competitività: se non siamo abbastanza competitivi all’interno dell’Europa è chiaro che eventuali investimenti stranieri andranno verso Spagna e Paesi dell’Est». (…) la crisi del settore non dipende soltanto dalla transizione, era già in atto quando ancora non si parlava di elettrico. «Oggi l’80% delle auto che la Cina esporta in Europa sono termiche o ibride plug in», ha fatto notare ancora Giorda. Samuele Lodi della segreteria Fiom: «In Italia la produzione di Stellantis cala da vent’anni, la transizione non c’entra nulla»”, si legge su Il Corriere della Sera.
“Gran parte degli attori presenti ieri al forum hanno puntato il dito per l’ennesima volta verso il green deal europeo. E la sua revisione al rallentatore. Una via d’uscita evocata da molti sta nella possibilità di continuare a produrre auto ibride plug in (quindi con la presa per ricaricare la batteria) oltre il 2035. Il problema sono i tempi: la riapertura della discussione sul green deal avverrà sì in anticipo ma non prima di fine anno. Ma sul fatto che la «neutralità tecnologica» possa da sola togliere le castagne dal fuoco qualcuno comincia ad avere qualche dubbio. «Anche misurando le emissioni dalla culla alla tomba del veicolo il risultato rischia di essere lo stesso: le auto elettriche alimentate con un mix energetico non particolarmente verde sono comunque meno inquinanti di un’auto alimentata con un biocarburante», osserva Andrea Cardinali, direttore generale di Unrae. (…) sulla riconversione nell’ambito della difesa i dubbi non mancano. Dal canto loro i sindacati hanno un’istanza in comune con Federauto (i concessionari)”, continua il giornale.
ARERA: “SPOSTARE IL RIGASSIFICATORE SNAM DA PIOMBINO COSTA TROPPO”
“Spostare il rigassificatore Snam da Piombino, come previsto dagli accordi che prevedono una permanenza nel porto toscana per massimo tre anni, costa troppo. A dirlo è l’Arera, che — nella delibera approvata la settimana scorsa sulla valutazione dei piani decennali di sviluppo delle reti di trasporto del gas naturale — passa in rassegna gli investimenti previsti, con i relativi costi che poi finiscono in bolletta visto che si tratta di attività regolate. L’Autorità scrive che «con riferimento all’intervento “Allacciamento Piombino / alto Tirreno”, la rilocazione della Fsru in alto Tirreno, sulla base di quanto rappresentato nel Piano, comporta rilevanti costi sia di allacciamento che di adeguamento della rete di trasporto e, di conseguenza, presenta profili di inefficienza in quanto diseconomica rispetto all’utilità marginale dell’investimento». (…) spetterà al governo risolvere il problema della destinazione. Sul rigassificatore di Ravenna, che sarà operativo da aprile, Arera ritiene che l’allacciamento «risulta avere costi di sviluppo superiori a quelli medi di infrastrutture analoghe, ma motivati dalle condizioni di urgenza»”, si legge su Il Corriere della Sera.
DOMANDA DI ELETTRICITA’ X40 SU 2021 A CAUSA DI DATA CENTER
“La crescita impetuosa dei data center fa impennare la domanda di energia elettrica. È in corso un boom di richieste di connessione dovuto alla diffusione del cloud computing e alle applicazioni basate sull’intelligenza artificiale. Secondo i dati di Terna, la domanda oggi segna 40 gigawatt, più di 40 volte quella registrata nel 2021. L’85% delle richieste è concentrato nel Nord Italia, in particolare in Lombardia”, si legge su Il Sole 24 Ore.
“Alle spalle della Lombardia, troviamo il Piemonte con 8,66 GW e la Puglia (4,41 GW). Secondo i dati elaborati dal gruppo guidato da Giuseppina Di Foggia, circa l’84% di domande è arrivato dal real estate, mentre oltre il 10% delle istanze da operatori delle telecomunicazioni che già gestiscono data center. Si tratta di un dato molto significativo che, come ha avuto modo di ribadire la ceo Di Foggia qualche giorno fa, presentando il nuovo piano di sviluppo di Terna, documenta l’elevato gradimento degli investitori di queste infrastrutture per la qualità e la stabilità del servizio offerto dal gestore italiano pur in un contesto di prezzi dell’energia più alti rispetto al resto d’Europa. (…) una fetta di queste richieste (700 megawatt) è già stata autorizzata ed è in via di realizzazione e un’altra tranche (pari a 7.500 MW) è attualmente in fase autorizzativa e presenta già un piano tecnico delle opere. Senza contare che sono in aumento le istanze per lo sviluppo di data center di grandi dimensioni (quelli collegati all’AI), che si aggirano attorno ai 500-600 MW per impianto e che assorbono più o meno quanto una grande città italiana. Un primo aspetto da risolvere è quello autorizzativo perché al momento non c’è omogeneità su chi deve autorizzare questo tipo di infrastrutture. Manca ancora, infatti, una disciplina unitaria sul tema sebbene alla Camera siano attualmente in discussione diverse proposte di legge che delegano l’esecutivo a normare il settore. Per i data center, infatti, sono previsti attualmente procedimenti prevalentemente di tipo comunale o provinciale con tempistiche diverse, mentre le nuove opere che si integrano nella rete di trasmissione nazionale seguono un iter autorizzativo ministeriale. (…) L’altro nodo, poi, è rappresentato dalle infrastrutture di rete poiché, man mano che aumentano le dimensioni dei data center, crescono le richieste di collegamento in altissima tensione (380 kilovolt) e questo richiede una pianificazione attenta – che indichi anche eventuali rinforzi della rete se necessari -, ma anche una stretta collaborazione tra le parti per evitare, come accaduto con le rinnovabili, una congestione virtuale della rete”, continua il giornale.
TRUMP: “CON PUTIN PARLEREMO DI TERRITORI E IMPIANTI ENERGETICI”
“«Parlerò con il presidente Putin martedì (oggi, ndr ). Vogliamo vedere se possiamo porre fine alla guerra. Forse possiamo, forse no, ma penso che ci sia un’ottima possibilità», ha detto Donald Trump tornando domenica sera alla Casa Bianca dopo il weekend in Florida. «E parleremo di territori — ha aggiunto —, parleremo di impianti energetici. Ma ci sono molte cose che sono state già discusse dall’Ucraina e dalla Russia, abbiamo già parlato con loro di dividere certi asset». (…) Le fonti di Semafor specificano comunque che il presidente non avrebbe preso ancora una decisione. (…) «Penso che saremo in grado di farcela», ha detto lunedì a proposito della pace in Ucraina il presidente americano, affermando anche che il leader cinese Xi Jinping potrebbe presto recarsi a Washington. Spera di poter fare qualche annuncio oggi stesso, dopo la telefonata con Putin. La Russia non ha ancora formalmente accettato il cessate il fuoco di 30 giorni che è stato invece approvato dagli ucraini la scorsa settimana a Gedda. Il leader russo aveva chiesto venerdì che le truppe ucraine nella regione russa di Kursk si arrendessero; nel weekend, gli ucraini si erano ormai ritirati da quasi tutta quella regione, restando in controllo solo di una piccola striscia di terra. Trump ha ripetuto ieri che avrebbe cercato anche di «salvare alcuni soldati che sono in grossi guai. Sono circondati da soldati russi». Steve Witkoff, inviato americano che ha incontrato Putin a Mosca lo scorso giovedì, ha detto alla Cnn che il faccia a faccia di tre-quattro ore è stato «positivo» e che i russi e gli ucraini sono oggi «più vicini» nei negoziati”, si legge su Il Corriere della Sera.
“(…) Secondo Witkoff, Putin accetta «la filosofia di Trump» sulla necessità di porre fine alla guerra. Ha aggiunto che gli americani intendono continuare a tenere colloqui separati con le delegazioni ucraina e russa questa settimana, poiché potrebbero ancora volerci settimane per raggiungere un accordo. Il ministro degli Esteri ucraino Andriy Sybiha ha descritto ieri quelli che sono per Kiev gli aspetti «non negoziabili»: «L’Ucraina non riconoscerà mai i territori occupati; nessun Paese ha il diritto di mettere il veto sulla scelta degli ucraini di unirsi ad alcuna alleanza, che si tratti dell’Unione europea o della Nato»”, continua il giornale.