Le case auto rispondono ai dazi con cali di produzione, rincari e fughe in Usa. Guidesi (Ara): “Rilanciare produzione e competitività”. Italia ed Ue a secco di gas, riempire gli stoccaggi sarà difficile. La rassegna Energia
Le case automobilistiche prendono le prime contromisure contro i dazi di Trump. Stellantis sospenderà la produzione in alcune fabbriche americane e canadesi. Volkswagen, invece, sta valutando un rincaro dei listini negli Stati Uniti per assorbire in maniera diretta il balzello extra del 25%, scaricandolo sui consumatori, secondo La Repubblica. Mercedes e Volvo pensano a spostare le fabbriche negli Usa. Serve una reazione forte dell’Ue ai dazi ma Usa, aprendo un negoziato per un patto atlantico sul commercio. “Il nostro vero problema è continuare a produrre in Europa ed essere competitivi rispetto a Stati Uniti e Cina, concentrarsi su quello che possiamo fare noi, con o senza dazi. Senza produzione non ci sarebbero né competitività né crescita”, sottolinea Guido Guidesi, presidente dell’Ara (alleanza tra le 36 regioni europee dell’automotive). Le temperature più rigide e il rilevante calo della produzione di energia eolica hanno contribuito a svuotare gli stoccaggi di gas dell’Unione Europea, scesi ad un livello di riempimento di appena il 34,22%. Poco meglio l’Italia, che si ferma al 42,5%. La notizia ancora peggiore è che raggiungere l’obiettivo fissato da Bruxelles di un riempimento al 90% entro il primo novembre sarà molto difficile perché la base di partenza è bassa in quasi tutti gli Stati del Continente e perché il metano che dovremmo acquistare è ancora caro, secondo La Repubblica. La rassegna Energia.
ENERGIA, L’AUTOMOTIVE RISPONDE AI DAZI CON RINCARI E CONGELANDO LA PRODUZIONE
“I dazi di Trump sul settore auto, entrati in vigore allo scattare della mezzanotte tra mercoledì e giovedì, hanno già provocato le prime sospensioni di produzione in Canada e Messico. E 900 tute blu degli States rimarranno a casa senza lavoro per alcune settimane. Il settore automotive, già alle prese con un mercato stagnante e con un’impennata dei prezzi negli ultimi due anni, deve capire come riorganizzarsi. L’obiettivo è ridurre al massimo l’impatto di una tariffa al 25% applicata su tutte le vetture importate negli States. Stellantis, una delle Big Three di Detroit, sospenderà la produzione in alcune fabbriche. In Canada da lunedì cancelli chiusi nello stabilimento Chrysler di Windsor, in Ontario, al confine con gli Usa, dove lavorano oltre 4mila persone e si producono i minivan Pacifica e le berline elettriche Dodge Charger. (…) Il gruppo automobilistico, che in Nord America occupa circa 75 mila addetti, sottolinea che la sospensione in Canada e Messico di alcune attività «avrà un impatto su diversi dei nostri impianti statunitensi di propulsori e stampaggio che supportano le fabbriche». Almeno 900 addetti di Stellantis sono stati sospesi per alcune settimane in cinque fabbriche Usa. Il primo produttore europeo, il gruppo Volkswagen, sta invece valutando un rincaro dei listini negli Stati Uniti. Un modo per assorbire in maniera diretta il balzello extra del 25% riversandolo sui consumatori”, si legge su La Repubblica.
GUIDESI (ARA): “RILANCIARE LA PRODUZIONE AUTO E MIGLIORARE LA COMPETITIVITA'”
“«Ci vuole una reazione forte a livello europeo ma l’obiettivo deve essere un altro: l’avvio di un negoziato con gli Stati Uniti per stipulare un patto atlantico sul commercio da strutturare con regole precise, anche per rispondere insieme alla spietata concorrenza cinese». Guido Guidesi ha le idee chiare. Dal 2021 assessore allo Sviluppo economico in Lombardia e dal 1° gennaio presidente dell’Ara, l’alleanza tra le 36 regioni europee del automotive, è a Bruxelles per perorare in Commissione ed Europarlamento la causa dell’auto e dell’intera industria europea nella sua ora più buia. (…) Parassiti e profittatori, per questo l’America di Trump punisce l’Europa con dazi del 25% sull’auto e del 20 su tutto il resto dell’interscambio per fare cassa e riequilibrare i rapporti. (…) Ricorderei comunque a tutti che la reindustrializzazione richiede competenze e massicci investimenti, come da piano Biden concepito per spostare entrambi dall’Europa agli Stati Uniti. Ora Trump ci aggiunge la guerra commerciale. La sommatoria per noi è molto negativa. (…) Per esempio, nuove fughe di nostre produzioni negli Stati Uniti per evitare i dazi. Vw, Mercedes e Volvo ci stanno già pensando. Ma il problema è anche un altro. (…) Il nostro vero problema è continuare a produrre in Europa ed essere competitivi rispetto a Stati Uniti e Cina, concentrarsi su quello che possiamo fare noi, con o senza dazi. Senza produzione non ci sarebbero né competitività né crescita. (…) L’Europa non è più ospitale per chi produce. Se continuiamo così, Trump potrà imporci tutti i dazi che vuole ma presto non avrà più niente da tassare. L’industria europea rischia di sparire più che per i dazi perché le è stata resa la vita impossibile. Se riparte, avremo più forza negoziale anche con la Casa Bianca. (…) Produttività al 25% del potenziale, 400.000 posti di lavoro a rischio da qui al 2040, ora possibile blocco del mercato Usa con probabile dirottamento sul nostro dei surplus cinesi che oggi vanno oltre auto e batterie: per tutto questo il settore rischia il collasso. E per questo insistiamo perché la Commissione corregga il tiro”, si legge su Il Sole 24 Ore.
“(…) L’auto si salva fissando obiettivi ma lasciando alle aziende libertà di scelta su tempi, modi e tecnologie per raggiungerli. Non c’è neutralità tecnologica se si finanzia solo l’elettrico o si impongono costi proibitivi ai produttori Ue o si correggono solo marginalmente le norme del green deal. Senza spazio all’innovazione, si desertifica l’Europa e si aiutano i cinesi. (…) Se restano le attuali regole, prima o poi non si produrrà più in Europa. Prendiamo l’acciaio prodotto in Lombardia per il 90% con i forni elettrici, cioè in linea con i dettami del green deal. Peccato che costi di più di quello cinese perché non ci si decide a porre un tetto al prezzo dell’energia nell’Ue. Chi dunque ha investito verde in questo caso è fuori mercato. (…) Sarebbe nella logica delle cose. Come lo sarebbero una serie di alleanze industriali dalla chimica alla farmaceutica, all’auto all’acciaio dove siamo complementari. Vede sinergie anche nell’industria della difesa dopo l’intesa Leonardo-Reinhmetal? Le vedo come spinta alla riattivazione di tutto il settore. È favorevole all’uso dei fondi di coesione inutilizzati, quasi 400 miliardi, tra l’altro anche per la difesa? Sì per una quota, e purchè non vengano snaturati come strumento al servizio delle Regioni e non dello Stato centrale”, continua il giornale.
RISERVE DI GAS PROSCIUGATE E DIFFICILI DA RIEMPIRE
“Alla fine è andato tutto come previsto, come si era temuto. Complici le temperature più rigide e una produzione di energia eolica praticamente nulla, quest’inverno l’Unione europea ha svuotato gli stoccaggi di gas, arrivando al 31 marzo – la fine della stagione – con un livello di riempimento di appena il 34,22%. (…) E anche l’Italia, che in questa partita è uno dei giocatori migliori, è ferma al 42,5%, ben distante dal 58,4% dell’anno scorso. Con queste premesse, raggiungere l’obiettivo fissato da Bruxelles di un riempimento al 90% entro il primo novembre sarà sfidante. In primis, perché la base di partenza è bassa, non in uno ma in quasi tutti gli Stati del Continente (in Ucraina i livelli sono inferiori al 3%). E soprattutto perché il metano che dovremmo acquistare è ancora caro”, si legge su La Repubblica.
“Al Ttf di Amsterdam, il prezzo spot e quello dei future con scadenza tra fine estate e inizio autunno sono praticamente allineati. In altre parole, non c’è incentivo per gli operatori nel comprare oggi del metano che sarà poi consegnato tra qualche mese. I contratti di tutto il 2025 si aggirano intorno ai 40 euro al megawattora, il doppio dei livelli pre-crisi. (…) Snam, che gestisce la rete e gli stoccaggi, pensa a dei meccanismi per incentivare gli operatori a fare la loro parte. Le aste per il prossimo anno termico partiranno lunedì, ma guardando ai fatti sarebbe meglio contenere le aspettative”, continua il giornale.