Mille impianti a rischio incidenti come Calenzano. Servono 6 miliardi al mese per rispettare i piani del Pnrr. Impastato (Stellantis): “Italia al centro del patto fabbriche”. Internet gigante delle emissioni. La rassegna Energia
L’incendio del deposito di carburanti Eni di Calenzano rischia di non essere un caso isolato. Infatti, incidenti rilevanti di questo genere potrebbe ripetersi in altre 1.000 infrastrutture, stando all’ultimo Rapporto Controlli. La ragione è che in Italia ci sono migliaia di siti industriali vulnerabili, ha spiegato Gianluigi de Gennaro, professore di Chimica all’università di Bari, in un’intervista su La Stampa. In particolare, i depositi di sono tra le strutture più a rischio. Servono 6 miliardi al mese da qui a giugno 2026 per seguire i piani di riforme previsto dal Pnrr. Il 52 per cento dei progetti ancora deve avviare la procedura, secondo quanto si legge su Il Foglio. La buona notizia è che il 43% di target e milestones sono stati centrati, in particolare il 63 per cento delle 72 misure di riforma programmata. «L’Italia è il centro della strategia di Stellantis» ha detto Jean-Philippe Imparato, il capo Europa del gruppo, il quale rappresenterà il gruppo nel tavolo con il ministro del Mimit Adolfo Urso, previsto per il 17 dicembre. Imparato ha sottolineato che arriverà un piano industriale per fabbrica, con macchine e motori per ogni impianto. Internet emette montagne di CO2. «Il Web è la più grande macchina alimentata a carbone del mondo», spiega la Green Web Foundation. Ogni pagina visualizzata su un medio sito Web genera 1,8 grammi di CO2. Ogni anno globalmente internet emette quasi 4 miliardi di tonnellate di CO2, il 10% delle emissioni totali nel Pianeta. La rassegna Energia.
ENERGIA, MILLE IMPIANTI A RISCHIO
“Il deposito di Calenzano è solo uno degli stabilimenti potenzialmente pericolosi. Sparsi nella nostra penisola, nella stragrande maggioranza dei casi a ridosso di aree densamente popolate, ci sono migliaia di siti industriali vulnerabili. Solo in Toscana, gli impianti a rischio incidente rilevante risultano 56 e quelli che rientrano nell’autorizzazione integrata ambientale sono più di 300. Si tratta di industrie chimiche o di prodotti minerari, solventi, trasformazione di metalli e attività energetiche. Fra le quali, la raffineria di Livorno e il sito di stoccaggio collegato di Calenzano. «(…) Purtroppo, può verificarsi in molti altri siti del genere», sottolinea a La Stampa Gianluigi de Gennaro, già membro della Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale del ministero dell’Ambiente dal 2020 al 2024 e professore di Chimica all’università di Bari”, si legge su La Stampa.
“In Italia, sono attive undici raffinerie: la maggioranza al Sud, tre al Nord e due al Centro. (…) Basti pensare che la raffineria di Busalla (Genova), la più antica, risale al 1942. Quella di Sarpon di Trecate (Novara) opera dal 1952, la raffineria di Sannazzaro de’ Burgondi (Pavia) è la più grande del Nord Italia e aprì nel 1963 (nel dicembre del 2016 è stata interessata da un grave incendio). Poi c’è quella di Falconara nelle Marche, di proprietà dell’Api (…) In Sicilia, c’è il polo petrolchimico siracusano, il maggiore dell’industria petrolifera italiana con la raffineria di Melilli-Priolo Gargallo a Siracusa: è l’impianto più grande d’Italia, ora di proprietà della società russa Lukoil. Ma molti, nel frattempo, sono stati dismessi”, continua il giornale.
«Negli ultimi venti anni, hanno chiuso diverse raffinerie ma sono state trasformate in depositi per lo stoccaggio dei prodotti petroliferi», spiega Stefano Ciafani, presidente di Legambiente. «In tal modo, le società hanno evitato la spesa della bonifica dei siti e dei territori circostanti. Ma questo scenario diventerà ancora più rilevante in futuro: con la riduzione dei carburanti tradizionali, che fine faranno questi impianti?». Stando all’ultimo Rapporto controlli, monitoraggi e ispezioni ambientali Snpa dedicato a tale monitoraggio, in Italia sono classificati “a rischio di incidente rilevante” (o Rir) circa mille stabilimenti mentre 7 mila sono soggetti ad autorizzazione integrata ambientale (Aia). La stragrande maggioranza di questi si trova al Nord, nelle regioni più industrializzate ma anche più abitate. Da sola, la Lombardia ospita più di un quarto degli impianti Rir italiani (262), seguita da Veneto (89), Emilia Romagna (86) e Piemonte (81). I dati più aggiornati sui controlli parlano di 147 ispezioni negli impianti di soglia superiore e 109 in quelli di soglia inferiore”, continua il giornale.
ENERGIA, SERVONO 6 MILIARDI AL MESE PER SEGUIRE PIANI PNRR
“Il paese Italia ha realizzato, grazie al Pnrr europeo, un programma vasto e profondo di riforme fra cui la Relazione cita quelle sugli appalti e lo smaltimento dell’arretrato della giustizia. Ovviamente anche per il capitolo riforme, se associamo gli obiettivi a una qualche previsione di spesa, ecco che la quota raggiunta dell’investimento crolla al 4 per cento. Abbiamo portato al capolinea il 63 per cento delle 72 misure di riforma programmata. Ipotizzando il raggiungimento degli ulteriori 17 obiettivi associati a riforme, questa quota salirebbe al 66 per cento. Dati che – insieme alla clamorosa sottovalutazione degli effetti di frenata prodotti sulla crescita dall’azzeramento del Superbonus – hanno contribuito alla drastica e inusuale revisione del pil adottata dall’Istat (da 1 per cento a 0,5 per cento). Eredità del Pnrr che si può anche tradurre così: da ottobre 2024 a giugno 2026 per essere in linea con la chiusura alla scadenza prevista, il Piano italiano dovrebbe tenere una spesa media monstre di oltre 6 miliardi al mese”, si legge su Il Foglio.
“(…) Ebbene, allo scorso luglio i rendiconti di progetti per i quali era stato ultimato l’inserimento a sistema erano 4.700: la Corte dei conti rivela che si riferiscono a 101 misure e rappresentano una quota di appena il 3 per cento del totale dei progetti attivi su quelle misure. In termini di spesa si riferiscono a investimenti per 2,7 miliardi, il 4 per cento delle risorse finanziarie associate ai progetti relativi alle 101 misure. Se appare da queste cifre tutta la preoccupazione per la lentezza della procedura di rendicontazione, che richiede una media di tre mesi per ogni misura inserita, con un 52 per cento dei progetti che ancora deve avviare la procedura – perché non è ancora arrivata alla verifica del ministero competente – la speranza è che lo stato effettivo di attuazione sia più avanti di quanto dica Regis. (…) 43 per cento di target e milestones centrati, buono giusto per un po’ di propaganda politica neanche troppo raffinata, quanto il fatto che fra questi obiettivi ci sono quelli delle riforme. E questo è un dato davvero buono perché abbiamo portato al capolinea il 63 per cento delle 72 misure di riforma programmata”, continua il giornale.
“Interessante il capitolo ferroviario che prevede tredici programmi di investimento. La relazione della Corte dei conti evidenzia che al termine del primo semestre 2024 il livello della spesa si attestava al 28 per cento, ma altri due target da centrare a fine anno dovrebbero portare questo risultato al 39 per cento, consolidando quanto già raggiunto a settembre. (…) Bisognerà poi tener conto delle notevoli difficoltà che sono insorte su alcune grandi opere come il Terzo valico (giacimento di gas), la Salerno-Reggio Calabria (ritardi della procedura), la Palermo-Catania (siccità) e la Napoli- Bari (frane). (…) i programmi sulla Qualità dell’abitare (Pinqua) evidenziano scadenze pesantemente non rispettate per oltre un terzo dei progetti sul programma complessivo di 2,8 miliardi, con la sottolineatura che per l’80 per cento questi ritardi si evidenziano addirittura prima di arrivare alla fase del cantiere”, continua il giornale.
AUTO, IMPARATO (STELLANTIS): “ITALIA AL CENTRO PATTO FABBRICHE E INDOTTO”
«L’Italia è il centro della strategia di Stellantis» ha detto Jean-Philippe Imparato, il capo Europa del gruppo, il quale rappresenterà il gruppo nel tavolo con il ministro del Mimit Adolfo Urso, previsto per il 17 dicembre. Imparato ha sottolineato che arriverà un piano industriale per fabbrica, con macchine e motori per ogni impianto.
“Un piano che indichi quali saranno le auto prodotte fabbrica per fabbrica da Stellantis in Italia e una proposta: un patto con le aziende della componentistica per affrontare insieme la transizione green .«L’Italia è il centro della strategia di Stellantis», è la promessa di Jean-Philippe Imparato, il capo Europa del gruppo nato dalla fusione tra Fca e Psa. Sarà lui a rappresentare l’azienda il 17 dicembre al tavolo con il ministro Urso, i sindacati e l’Anfia, la sigla che raggruppa le aziende della filiera. Imparato ha anticipato la filosofia del piano intervenendo a XXI Secolo , la trasmissione di Rai 1 di Francesco Giorgino. L’azienda oggi parteciperà con il capo delle Risorse Umane, Giuseppe Manca, al tavolo al ministero sul caso Trasnova”, si legge su La Repubblica.
“Per Imparato «Stellantis considera l’Italia come un punto chiave disviluppo. Daremo un piano industriale per fabbrica, concreto. Lo sto valutando in questi giorni». E poi puntualizza: «Voglio essere semplice e chiaro con il ministro Urso, non ci saranno promesse non mantenute, ma macchine e motori che arrivano per ogni impianto». Tra le promesse l’incremento della produzione: «L’Italia sarà al secondo posto in Europa nel 2029». (…) E la 500 sarà sempre fatta a Mirafiori». Non solo la ibrida che arriverà a novembre del 2025 e promette di far salire la produzione di 100 mila vetture, ma quella elettrica di prossima generazione. «Stiamo già preparando la nuova 500 che verrà. Metteremo a Mirafiori il futuro della 500, la nuova vettura elettrica, che guarda al 2032 e 2033. Quindi non c’è dubbio, Mirafiori avrà lavoro », continua il giornale.
“«Ne facciamo 60 mila al mese per tutta l’Europa», dice. E sulle multe che rischiano di piovere sulle case automobilistiche, dai 15 ai 17 miliardi di euro, per il superamento delle emissioni di CO2, Imparato si mostra preoccupato. Prova a dare una spiegazione: «Entro quattro settimane, per esempio, io devo vendere 20% delle macchine elettriche. Allora, fatto 100 oggi siamo a 12 macchine vendute su 100. C’è un salto mortale da fare a livello elettrico». (…) Il capo Europa lancia l’idea di un patto tra Stellantis e la componentistica per affrontare insieme la transizione green . «Se la giochiamo bene tra la forza nostra e la componentistica, possiamo inventarci un qualcosa: un’alleanza tra i fornitori più sviluppati e Stellantis per affrontare questa transizione elettrica non come un incubo ma come un’opportunità”, continua il giornale.
ENERGIA, INTERNET GIGANTE EMISSIONI
“Un’email, un whatsapp, un video di TikTok, quanto di più immateriale si possa immaginare, assolutamente ininfluenti sul cambiamento climatico. A livello mondiale più del 60% delle persone crede che sia davvero così. La realtà però è diversa: tutto ciò che passa sul Web genera montagne di CO2. Per descrivere la situazione la «Green Web Foundation», un’organizzazione non profit che punta a un Internet senza combustibili fossili entro il 2030, ricorre a un’iperbole: «Il Web è la più grande macchina alimentata a carbone del mondo». L’apparente paradosso è subito spiegabile: per alimentare (e raffreddare) i mega server, i data center e la rete di trasmissione dati che tutti noi usiamo, ci vuole una grande quantità di energia elettrica e questa, in tutto il mondo, proviene prevalentemente da combustibili fossili, carbone compreso. (…) Secondo il Global carbon project, partner di ricerca del World climate research programme, chiunque effettui una singola ricerca su Google genera più di 2 grammi di CO2. Pochissimo? No, se si tiene conto che, in un anno, una sola persona che utilizzi quel motore di ricerca produce in media un’emissione di CO2 pari a 135 chilogrammi. Generalizzando: ogni pagina visualizzata su un medio sito Web produce «solo» 1,8 grammi di CO2 ma, sempre nella media, per 100mila pagine visualizzate in un mese si arriva a quasi 2,2 tonnellate di CO2. Poiché nel mondo i siti sono circa 2 miliardi si capisce che montagna di gas serra arrivi dal Web. L’impatto globale di Internet sull’ambiente corrisponde a un’emissione di quasi 4 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno: circa il 10% dell’emissione totale prodotta nel Pianeta”, si legge su Il Corriere della Sera.
“(…) Si prevede che nel 2040 l’impronta ecologica del digitale potrebbe crescere fino arrivare a una quota del 14% delle emissioni globali. Ciò dipende soprattutto dal fatto che il traffico Internet sta aumentando vertiginosamente. Se infatti nel 2015 valeva 0,6 ZB (zettabyte, 10²¹ byte, cioè mille miliardi di miliardi di byte), nel 2027 è previsto toccare 4,2 ZB, il 600% in più in poco più di un decennio”, continua il giornale.
“Una stima catastrofica che non è condivisa da Nicola Armaroli, ricercatore di Cnr-Isof studioso della transizione energetica. «Non c’è nessun indicatore attendibile – sostiene – che suggerisca un aumento clamoroso con conseguente boom dei consumi elettrici. Non ultimo perché l’intelligenza artificiale migliorerà la gestione della rete elettrica con conseguente contenimento delle immissioni di CO2». Ci sono però altri argomenti che enfatizzano il danno ambientale del digitale. «Per esempio non si tiene conto – sostiene il responsabile scientifico di Legambiente Andrea Minutolo – che ci sono anche impatti fisici sul territorio. C’è infatti una crescita di consumo di suolo dovuta ai capannoni che contengono server sempre più grandi. Inoltre si dimentica l’impatto sulle materie prime critiche – quarzo, silicio, terre rare – che si utilizzano per far funzionare i server e che si trasformano in emissioni di CO2». Come contenere allora la crescita dell’inquinamento da Web? Secondo Armaroli anche i singoli utenti possono dare un contributo. «Solo per fare qualche esempio – spiega – non ascoltando le canzoni preferite in streaming, ma caricandole su un dispositivo per evitare di interrogare in continuazione data center in capo al mondo. (…) Se poi si è in casa, invece della rete dati del telefono meglio utilizzare il wi-fi, che opera via cavo sino al muro di casa ed è molto più efficiente nel consumo energetico. Bisognerebbe poi limitarsi nel giocare online con contatti in giro per il mondo, un’abitudine che può arrivare a consumare come un secondo frigorifero di casa»”, continua il giornale.