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Carbone

Il phase out del carbone e rischi economici e sociali

La Sardegna la prima a sperimentare la fase di addio al carbone secondo la strategia tracciata dalla Sen di uscita dal settore entro il 2025

L’allarme sui possibili impatti negativi all’addio del carbone in Sardegna è stato lanciato con chiarezza dal presidente della Regione, Francesco Pigliaru, in una lettera inviata negli ultimi giorni del 2018 al premier Giuseppe Conte e ai ministri dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, e dell’Ambiente, Sergio Costa. Ma pone soprattutto l’interrogativo su come portare avanti il phase out senza incorrere in eccessivi costi economici e sociali.

carboneLA SITUAZIONE SARDA È EMBLEMATICA

La situazione sarda è in tal senso emblematica e la ricostruiscono bene i sindacati: “La mancanza del gas e della sua rete di distribuzione determina per la Sardegna una situazione di diversità infrastrutturale, rispetto alle altre regioni d’Italia, che non consente una transizione graduale dall’uscita dal carbone”, evidenziano Filctem Cgil, Femca Cisl, Cisl Reti e Uiltec Uil della Sardegna, contestando la determina con cui il ministero dell’Ambiente il 22 novembre scorso ha disposto l’accelerazione della dismissione delle centrali elettriche a carbone e annunciato l’avvio di una fase di mobilitazione dei lavoratori interessati. Nell’isola ce ne sono due: l’impianto di Fiumesanto (Sassari) della Ep Produzione e quello Enel di Portoscuso (Sulcis), da chiudere entro il 2025. Ma già entro il 31 gennaio prossimo va presentato un piano di riesame dell’Autorizzazione integrata ambientale, col dettaglio del piano di fermata definitiva, pulizia e messa in sicurezza, oltre al cronoprogramma.

UNO STUDIO IAI EVIDENZIA IN RISCHI DEL PHASE OUT DEL CARBONE

Secondo un recente studio dell’Istituto Affari Internazionali (Iai) su quali azioni e politiche l’Italia deve intraprendere per dismettere l’utilizzo del carbone nel settore elettrico entro il 2025 in modo sicuro, giusto e sostenibile, “emerge con chiarezza la necessità di un maggiore impegno della politica e delle istituzioni nella costruzione di una strategia per il clima e l’energia in grado di garantire un sistema energetico sicuro e conveniente allineato agli obiettivi di decarbonizzazione e di resilienza sottoscritti dal paese a livello internazionale ed europeo. Il phase-out del carbone rappresenta il primo passo necessario di una più profonda trasformazione dell’economia da completarsi auspicabilmente entro la metà del secolo. Questo passaggio ha delle implicazioni economiche, industriali, e sociali – oltre alla riduzione delle emissioni – che devono essere affrontate attraverso una strategia di sistema e di lungo periodo”. Implicazioni che in effetti hanno cominciato a mostrare le loro conseguenze proprio sull’Isola. “Oltre a questioni di processo, emergono aree chiave di policy – dalle infrastrutture alle regole di mercato, dalle misure di protezione sociale a una ampia riforma fiscale in chiave ecologica – ai quali le istituzioni devono dare priorità per dotarsi degli strumenti necessari a raggiungere gli obiettivi di uscita dal carbone entro il 2025 e la decarbonizzazione completa dell’economia entro il 2050”.

POSSIBILE RINUNCIARE AL CARBONE SENZA INVESTIRE NEL GAS?

Nello studio dell’Iai si evidenzia come l’Italia possa rinunciare del tutto al carbone entro il 2025 senza investire in nuove infrastrutture a gas, puntando su energie rinnovabili, sistemi di accumulo e controllo della domanda. Si parla, infatti, di una transizione coal-to-clean, cioè dal carbone alle tecnologie pulite in modo da sfruttare solo la capacità di generazione elettrica a gas esistente per non costruire altri impianti alimentati da questo combustibile. “È auspicabile che la politica e le istituzioni identifichino una chiara tabella di marcia per la chiusura delle centrali a carbone ancora attive all’interno di una strategia nazionale al 2050 in linea con quella europea. L’elaborazione di questa strategia di lungo periodo può partire da una revisione della Sen, da rivedere successivamente ogni cinque anni in linea con il ciclo quinquennale di revisione degli impegni nazionali – i Nationally Determined Contributions – previsto dall’Accordo di Parigi a partire dal 2020. Questa strategia deve adottare un approccio di sistema che analizzi le implicazioni della decarbonizzazione per tutti gli aspetti chiave della società, dalle infrastrutture al lavoro, dalla salute alla politica estera. Occorre qui ricordare che la decarbonizzazione è tuttavia solo una faccia della medaglia della strategia per il cambiamento climatico. L’altra è quella dell’adattamento e della resilienza agli effetti. Questa strategia deve allora includere in parallelo obiettivi, politiche e processi per la resilienza analoghi a quelli esaminati per la decarbonizzazione. Un elemento fondamentale per la credibilità, l’accettazione e l’effettiva attuazione della strategia per il cambiamento climatico e delle varie aree di policy, come quella legata al phase-out del carbone, è garantire l’inclusione e la partecipazione di tutti gli stakeholder a monte delle decisioni attraverso un processo stratificato di consultazione durante il 2019 e di tavoli di lavoro aperti sui territori delle comunità più colpite dalla chiusura delle attività legate al carbone. Più vi sarà trasparenza e condivisione delle ipotesi che formano la base degli scenari, più alta sarà l’accettazione da parte degli attori economici e sociali. Il coinvolgimento degli stakeholder può avvenire, ad esempio, attraverso workshop tematici in preparazione della proposta del Governo”.

DOMANDA IN CALO IN EUROPA E USA MA NON IN ASIA. IN ITALIA ANCORA 12 CENTRALI

gasdottoIn ogni caso a livello mondiale la domanda mondiale di carbone rimarrà stabile fino al 2023, nonostante i venti contrari all’utilizzo di questa tipologia di combustibile. Mentre il consumo diminuisce in Europa e negli Stati Uniti, infatti, continuerà ad aumentare in alcune parti dell’Asia secondo quanto rilevato dall’Agenzia internazionale per l’energia (Aie) che ha dedicato al carbone un Report annuale 2018 con analisi e previsioni al 2023 e nel quale sottolinea come la domanda mondiale sia tornata a crescere nel 2017, dopo due anni di calo, dell’1% a quota 7.585 milioni di tonnellate grazie ad una ripresa della crescita economica che ha spinto produzione industriale e uso di elettricità. In Italia, secondo i dati di Assocarboni, sono presenti dodici centrali sparse tra Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Lazio, Puglia e Sardegna producono elettricità bruciando carbone. Otto sono di proprietà dell’Enel, due di A2A, una della E.ON e una della Edipower. Di queste, tre (Brindisi, Assemini, Sulcis) sono state inserite nella lista dei 14 impianti designati ai fini del capacity market.

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