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Northvolt

Cosa è successo a Northvolt e cosa può insegnare all’Unione europea

I piani di espansione di Northvolt includevano gigafactory in Svezia e Germania, uno stabilimento in Canada e impianti di stoccaggio e riciclaggio di energia in Polonia. Con 55 miliardi di dollari in ordini garantiti, l’azienda sembrava pronta a diventare leader di mercato nella rivoluzione delle tecnologie pulite in Europa

La crisi di Northvolt, il produttore di batterie svedese che a novembre ha presentato istanza di protezione ai sensi del Capitolo 11 contro i creditori negli Stati Uniti, è un avvertimento per l’Unione europea sulla futura direzione della sua politica industriale. Dopo la sua fondazione, nel 2017, Northvolt – che è partner della European Battery Alliance, l’iniziativa di punta della politica industriale dell’Unione europea – è diventata un simbolo delle ambizioni europee di tecnologia pulita e dell’obiettivo di creare una filiera competitiva e nazionale per le batterie.

Lo sgretolamento dell’azienda – scrivono Simone Tagliapietra e Cecilia Trasi in un’analisi per il think tank Bruegel – evidenzia in particolare che i classici fallimenti dell’interventismo statale devono essere evitati. Le lezioni apprese da Northvolt dovrebbero essere prese in considerazione nell’accordo Ue per un’industria pulita, che verrà proposto a febbraio 2025.

LE AMBIZIONI DI NORTHVOLT NEL MERCATO DELLE BATTERIE EUROPEO

Northvolt mirava a conquistare il 25% del mercato europeo delle batterie entro il 2030 e, per farlo, ha ricevuto un sostanziale sostegno pubblico e privato. Il sostegno istituzionale, in varie forme, è arrivato dalla Banca Europea per gli Investimenti (BEI), dall’Unione europea e dal governo tedesco. Questo sostegno pubblico ha attirato importanti investitori privati, tra cui Volkswagen, che nel 2019 era diventata il maggiore azionista di Northvolt, con una quota del 21%, seguita da Goldman Sachs con una quota del 19%. Un prestito di 5 miliardi di dollari garantito alla società dalla BEI, dalla Nordic Investment Bank e da 23 finanziatori commerciali per finanziare l’espansione dello stabilimento a Skellefteå, in Svezia, resta il più grande prestito green mai raccolto in Europa.

I piani di espansione di Northvolt includevano gigafactory in Svezia e Germania, uno stabilimento in Canada e impianti di stoccaggio e riciclaggio di energia in Polonia. Con 55 miliardi di dollari in ordini garantiti – tra cui sostanziali pre-ordini da Volkswagen, BMW e altre case automobilistiche – Northvolt sembrava ben posizionata per diventare un leader di mercato nella rivoluzione delle tecnologie pulite in Europa.

NEL 2023 PER NORTHVOLT INIZIANO I PROBLEMI

Tuttavia, i problemi hanno iniziato ad emergere quando l’impianto di Skellefteå ha faticato a soddisfare gli obiettivi di produzione, fornendo meno dell’1% della sua capacità di 16 GWh, nel 2023. Le carenze di know-how sono diventate evidenti nella forte dipendenza dell’azienda dalle importazioni di materiale catodico e macchinari cinesi, che spesso richiedevano personale cinese per essere utilizzati.

Alla fine, Northvolt ha perso ordini e non è riuscita ad ottenere nuovi finanziamenti, portando alla presentazione del Capitolo 11. La crisi finanziaria dell’azienda svedese ha avuto fortissime ripercussioni nel panorama delle tecnologie pulite in Europa, con la Germania esposta ad una potenziale perdita di 620 milioni di euro.

LE VULNERABILITÀ DELL’EUROPA

La crisi evidenzia vulnerabilità sistemiche per le tecnologie pulite in Europa: la persistente dipendenza da fornitori stranieri per input critici, la sfida di gestire il rapido aumento della capacità produttiva e la difficoltà di competere con attori affermati in Asia. Sebbene Northvolt sia stata la prima a raggiungere la produzione commerciale, non è l’unico player europeo nel settore delle batterie: altri includono Verkor, sostenuta da Renault, ACC, sostenuta da Stellantis, e PowerCo, su cui Volkswagen ha stretto una partnership con la cinese Gotion.

Le difficoltà di Northvolt rischiano di scatenare un’ondata di pessimismo lungo tutta la filiera europea delle batterie, gettando dubbi sulla sua fattibilità complessiva. Questo sentimento rischia di innescare un effetto a catena di esitazione degli investitori, che potrebbe minare la fiducia necessaria affinché le restanti iniziative prosperino ed ostacolare lo slancio collettivo europeo verso le tecnologie pulite, in un momento critico.

IL CLEAN INDUSTRIAL ACT DELL’UNIONE EUROPEA

In senso più ampio, la politica industriale pulita sarà al centro dell’agenda politica dell’Unione europea nei prossimi cinque anni. La Commissione europea ha affermato che a fine febbraio 2025 proporrà un Clean Industrial Deal che combinerà misure politiche orizzontali volte a creare un ambiente più favorevole per la produzione di tecnologie pulite e gli investimenti nella decarbonizzazione industriale, con interventi politici verticali mirati allo sviluppo di settori specifici ritenuti strategici. Nel preparare il Clean Industrial Deal, la Commissione dovrà riflettere sulle lezioni dell’esperienza di Northvolt.

LE TRE LEZIONI DA IMPARARE

Innanzitutto, l’Europa deve conciliare le sue ambizioni di tecnologie pulite con le realtà dell’innovazione. Costruire un’industria high-tech competitiva richiede resilienza e accettazione dei rischi. La storia di Northvolt sottolinea la necessità di una cultura che abbracci la sperimentazione e comprenda che gli insuccessi fanno parte del processo.

Gli insuccessi di Northvolt fanno parte dei rischi naturali dell’innovazione, non sono un verdetto sulla fattibilità degli obiettivi generali di tecnologie pulite dell’Europa. In particolare, per mitigare i rischi sistemici e limitare l’esposizione dei contribuenti, l’Ue dovrebbe promuovere un ecosistema diversificato di iniziative imprenditoriali, anziché affidarsi a “campioni”. Supportare più attori innovativi è il modo per costruire resilienza, assicurando che gli inevitabili fallimenti nel ciclo dell’innovazione non facciano deragliare la più ampia strategia industriale europea.

L’IMPORTANZA DI COSTRUIRE DELLE PARTNERSHIP STRATEGICHE

In secondo luogo, l’approccio dell’Unione europea ai concorrenti stranieri dovrebbe essere valutato attentamente, con il possibile sviluppo di una strategia che definiremmo “derisking by embrace”. L’Europa non dovrebbe concentrarsi sulla coltivazione di campioni nazionali in settori in cui le aziende cinesi, coreane o giapponesi dominano in termini sia di costi di produzione che di innovazione tecnologica. In relazione alle batterie, è evidente che le aziende cinesi dominano il mercato globale, producendo celle economiche, ma innovative.

Anziché escludere le competenze straniere, l’Europa dovrebbe cercare di costruire partnership strategiche con aziende cinesi e altre aziende asiatiche, sfruttando la loro conoscenza ed efficienza produttiva e offrendo in cambio l’accesso al mercato. Naturalmente, queste partnership dovrebbero essere disciplinate da un solido quadro normativo, per garantire gli interessi di sicurezza europei, a partire dalla sicurezza informatica. Un approccio “location over ownership”, con la produzione in Europa, indipendentemente dalla proprietà, potrebbe fornire un percorso pragmatico verso i triplici obiettivi europei di decarbonizzazione, competitività e resilienza.

SERVONO DELLE CONDIZIONI QUADRO

In terzo luogo, le politiche industriali verticali a volte falliscono, e l’approccio non può essere risolto completamente nemmeno implementando le prime due raccomandazioni. I decisori politici europei devono abbinare meglio ambizione ed esecuzione, e dovrebbero sapere che sovvenzionare aziende senza solide condizioni quadro per farle prosperare è una ricetta per il fallimento.

L’incapacità di realizzare progetti di tecnologie pulite come Northvolt riflette una debolezza più ampia nell’espandere le tecnologie pulite dall’innovazione alla produzione su larga scala. L’Europa ha eccelso nel finanziare la ricerca e nel pilotare progetti innovativi, ma il suo approccio spesso manca di incentivi chiari e dell’attenzione ai risultati misurabili che serve per supportare l’implementazione su vasta scala.

Le giuste condizioni quadro per gli investimenti in tecnologie pulite, inclusi elementi difficili come prezzi dell’energia più bassi e sviluppo di competenze e mercati dei capitali, sono dei prerequisiti fondamentali per ottenere veri progressi.

ALL’EUROPA MANCA UNA STRATEGIA INDUSTRIALE COMPLETA

Il fatto che l’Unione europea abbia approvato l’assistenza tedesca per Northvolt anche quando stavano emergendo problemi di scalabilità della produzione dovrebbe essere un monito per la Commissione europea. Le minacce delle aziende – che cercano sostegno di lasciare l’Europa e spostare gli investimenti negli Stati Uniti – potrebbero essere correlate a problemi operativi. La minaccia alla posizione dell’Europa nella tecnologia pulita è dovuta principalmente alla mancanza di una strategia industriale completa equivalente a quelle di altre grandi regioni.

L’Inflation Reduction Act statunitense – che lega direttamente il supporto alle pietre miliari della produzione (come la generazione di un kilowattora di capacità della batteria o di un chilogrammo di idrogeno verde) – e le politiche industriali dirette della Cina hanno creato degli ambienti in cui le imprese di tecnologia pulita possono prosperare su larga scala. L’Europa ora deve progettare il suo approccio di politica industriale, che dovrà essere granulare e specifico per settore.

Una politica industriale pulita ben calibrata deve essere dinamica, adattabile e radicata in valutazioni realistiche dei vantaggi comparativi dell’Europa. Se questi elementi mancano, è consigliabile collaborare con attori stranieri, ovvero facendo il “derisking by embrace”. Più che concentrarsi sulla vittoria di una gara globale di tecnologia pulita, l’Ue dovrebbe concentrarsi sul raggiungere i suoi obiettivi di decarbonizzazione, competitività e resilienza nel modo più intelligente ed efficiente possibile.

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