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Petrolio

Covid e prezzi del petrolio mettono in crisi i conti delle major

Le aziende guardano nervosamente all’andamento della domanda a lungo termine e ai prezzi del petrolio

Trimestrali dai toni cupi per le major petrolifere mondiali. I bassi prezzi del petrolio e la crisi innescata dalla pandemia globale di Covid-19 hanno fatto registrare conti in rosso per tutti, a cominciare dalla Royal Dutch Shell che ha perso 18 miliardi di dollari, aggravati da una svalutazione degli asset pari a 168 miliardi di euro.

SHELL

L’enorme perdita è arrivata dopo aver guadagnato 3 miliardi nel secondo trimestre del 2019 e aver registrato un utile di 2,7 miliardi nel primo trimestre di quest’anno. Escludendo la svalutazione e altre voci una tantum, Shell ha realizzato comunque un utile netto di 638 milioni. Shell ha avvertito che potrebbe essere necessario ridurre la produzione nel terzo trimestre a causa delle preoccupazioni sulla domanda, che “avrà probabilmente una varietà di impatti sulle nostre metriche operative e finanziarie”.

ENI

Nel secondo trimestre Eni ha registrato una perdita netta di 4,41 miliardi di euro, portando i risultati semestrali a una perdita di 7,34 miliardi di euro. Il dato include una svalutazione degli asset di 3,5 miliardi di euro, in gran parte dovuta al calo delle ipotesi di prezzo del petrolio in futuro. La compagnia petrolifera italiana ha anche ridotto gli investimenti e rivisto la politica dei dividendi.

CONOCOPHILLIPS

ConocoPhillips ha registrato una perdita di 1 miliardo di dollari nel secondo trimestre, con circa un quarto della produzione in stand by nel secondo trimestre. La società ha dichiarato che la produzione è in corso di ripresa e prevede di ripristinarla completamente entro settembre.

TOTAL

Total ha annunciato una perdita di valore di 8 miliardi di dollari dei suoi asset, in gran parte correlata alle sabbie bituminose del Canada. Il colosso petrolifero francese riferirà i risultati trimestrali il 4 agosto.

IL LATO POSITIVO DEL TRADING

“Ma c’è stato un lato positivo per Shell e per alcune delle altre major europee. Molte di loro sono state in grado di approfittare dell’estrema volatilità dei prezzi per trarre profitto dal trading, attutendo parzialmente il colpo delle perdite. Ad esempio, gli utili da trading di Shell, pari a 1,5 miliardi di dollari, sono stati 30 volte superiori a quelli dello stesso periodo dell’anno precedente. Ma si tratta di un fenomeno su cui le major non potranno contare in futuro. Il trading non sarà in grado di compensare le prospettive in calo del loro core business – la produzione e la raffinazione di petrolio e gas”, si legge su Oilprice.

MALE ANCHE LE AMERICANE

ExxonMobil, citando “l’eccesso di offerta globale e gli impatti della domanda correlati a Covid”, ha registrato una perdita di 1,1 miliardi di dollari, rispetto ai 3,1 miliardi di profitti dello stesso periodo dell’anno scorso. Chevron ha registrato una perdita di 8,3 miliardi di dollari, rispetto ai profitti di 4,3 miliardi nello stesso periodo dell’anno scorso.

LE AZIENDE GUARDANO AL FUTURO

È in questo contesto che le aziende guardano nervosamente all’andamento della domanda a lungo termine. “La domanda richiederà molto tempo per riprendersi se mai si riprenderà del tutto”, ha detto van Beurden ai giornalisti.

Dietro l’ampia svalutazione di Total c’è una revisione al ribasso dei prezzi ipotizzati a lungo termine del petrolio. La società ipotizza che il Brent raggiungerà una media di 56,80 dollari al barile tra il 2020 e il 2050, il che sembra essere un’ammissione del fatto che i prezzi probabilmente non aumenteranno in futuro, o almeno, non aumenteranno per un lungo periodo.

Total ha intrapreso una revisione del rischio di “stranded assets”, in particolare alle riserve oltre i 20 anni e con elevati costi di produzione. Le sabbie bituminose del Canada sono la vittima più probabile di tale analisi; della svalutazione di 8 miliardi di dollari di Total, 7 miliardi di dollari sono stati concentrati proprio nelle sabbie bituminose canadesi.

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