La strategia dell’OPEC+ di allentare i tagli alla produzione, iniziata ad aprile, ha già contribuito a mantenere i prezzi bassi per gran parte degli ultimi mesi, nonostante le tensioni geopolitiche e il picco della domanda estiva.
Le entrate della Russia derivanti dalla vendita di petrolio e gas sono crollate del 25,2% su base annua ad agosto, scendendo al livello più basso degli ultimi due anni e mettendo sotto pressione le finanze del Cremlino. A pesare sul bilancio russo è principalmente il calo dei prezzi del greggio sui mercati internazionali, a sua volta influenzato dalla prospettiva che l’OPEC+ possa decidere un ulteriore aumento della produzione nella cruciale riunione del prossimo fine settimana.
I dati, che fotografano la crescente difficoltà di Mosca nel mantenere i suoi ricavi energetici, sono stati diffusi dal Ministero delle Finanze russo e analizzati dall’agenzia di stampa TASS. Parallelamente, i mercati petroliferi mostrano segni di nervosismo, con i prezzi in calo in attesa delle decisioni del cartello.
I NUMERI DEL CROLLO: UN BILANCIO IN ROSSO PER MOSCA
Secondo le statistiche del Ministero delle Finanze, i ricavi russi da petrolio e gas ad agosto 2025 si sono attestati a 505 miliardi di rubli (circa 6,2 miliardi di dollari), segnando un crollo del 25,2% rispetto ai 675,2 miliardi di rubli dello stesso mese del 2024. Questo dato rappresenta il punto più basso registrato sia nel 2025 che nel 2024.
Il bilancio complessivo dei primi otto mesi dell’anno mostra una contrazione del 20,2%, con entrate totali per 6.027 miliardi di rubli (74,7 miliardi di dollari). Il calo è stato particolarmente marcato per le imposte sulla produzione di petrolio e gas (-32% su base annua) e per i dazi all’esportazione sul gas, che si sono più che dimezzati rispetto ad agosto 2024.
I MERCATI IN ATTESA: L’OPEC+ VERSO UN NUOVO AUMENTO DELL’OFFERTA?
Questa crisi delle entrate russe si inserisce in un contesto di mercato globale in fermento. Oggi, i prezzi del petrolio hanno registrato un calo del 2%, con il greggio WTI sceso a 64,34 dollari e il Brent a 68,02 dollari al barile. La causa di questa flessione è l’attesa per la riunione dell’OPEC+ del 7 settembre.
Secondo due fonti a conoscenza dei piani, citate da Reuters, otto paesi produttori dell’alleanza stanno discutendo di un ulteriore aumento della produzione a partire da ottobre. Dopo aver già annullato i tagli per 2,2 milioni di barili al giorno (bpd), l’OPEC+ ha ancora un ultimo “strato” di tagli per 1,66 milioni di bpd, attualmente in vigore fino alla fine del 2026. Se il gruppo decidesse di attingere anche a questa riserva, sarebbe un chiaro segnale di un ritorno a una strategia di caccia alle quote di mercato, che manterrebbe i prezzi del petrolio su livelli contenuti.
UN GIOCO A INCASTRI TRA GEOPOLITICA E MERCATI
La strategia dell’OPEC+ di allentare i tagli alla produzione, iniziata ad aprile, ha già contribuito a mantenere i prezzi bassi per gran parte degli ultimi mesi, nonostante le tensioni geopolitiche e il picco della domanda estiva.
Questa dinamica, se da un lato sembra allinearsi al desiderio del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di avere prezzi dell’energia contenuti, dall’altro crea notevoli problemi. Per la Russia e altri paesi produttori, prezzi più bassi significano un colpo diretto ai bilanci statali. Per l’industria dello shale oil statunitense, invece, minacciano la redditività delle operazioni, con il rischio di tagli agli investimenti e una riduzione delle attività di trivellazione. La decisione che l’OPEC+ prenderà nel fine settimana è quindi destinata a ridisegnare gli equilibri energetici ed economici globali per i mesi a venire.