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Petrolio

Ecco le conseguenze del disinvestimento da petrolio e gas

Si delinea un rafforzamento delle compagnie di petrolio e gas statali a dispetto dei colossi privati tradizionali

La stabilità del mercato petrolifero globale è minacciata. L’impatto del Covid-19 e la conseguente riduzione della domanda ha instradato sempre più produttori di petrolio e gas verso il fallimento.

Solo per fare un esempio, al momento, l’elenco dei produttori di petrolio e gas shale degli Stati Uniti che hanno presentato istanza per il Chapter 11 cresce di giorno in giorno, mentre i servizi petroliferi globali e le società di perforazione offshore lottano per sopravvivere.

In definitiva, si tratta di situazione disastrosa per il settore, guidata dalla domanda e dai prezzi di petrolio e gas, che è anche il motivo per cui si era giunti a una certa stabilità con i prezzi del petrolio intorno ai 40 dollari.

IL DISINVESTIMENTO DAI COMBUSTIBILI FOSSILI

Ma c’è un’altra variabile oltre la semplice domanda e offerta che ora minaccia di reintrodurre instabilità nei mercati: il disinvestimento dai combustibili fossili. Supportato da governi internazionali, istituzioni finanziarie internazionali e investitori, il disinvestimento dai combustibili fossili minaccia di spingere le compagnie petrolifere e del gas verso l’abisso. Nelle ultime settimane, un gruppo di 12 grandi città di Europa, Stati Uniti e Africa, si sono impegnate a disinvestire da carbone, petrolio e gas. Queste città ospitano oltre 36 milioni di residenti e detengono oltre 295 miliardi di dollari di asset. Guidate da Londra e New York, hanno deciso di disinvestire dai beni legati ai combustibili fossili che controllano direttamente e hanno invitato i fondi pensione che gestiscono i loro soldi a fare lo stesso. Le altre città che aderiscono alla dichiarazione sono Berlino, Bristol, Città del Capo, Durban, Los Angeles, Milano, New Orleans, Oslo, Pittsburgh, secondo quanto riferisce il L.a. Times.

A RISCHIO L’EQUILIBRIO TRA PRODUTTORI PRIVATI E COMPAGNIE CONTROLLATE DAGLI STATI

Gli investitori attivisti, in scia con il crescente martellamento mediatico su cambiamenti climatici e riscaldamento globale, stanno tuttavia mettendo a serio rischio non solo il futuro dei produttori internazionali di petrolio e gas, ma anche il necessario equilibrio tra i produttori di petrolio e gas indipendenti (privati) e le compagnie petrolifere nazionali.

Il motivo? Semplice: Per decenni, la produzione globale di petrolio e gas è stata costruita e si sviluppata su diverse strutture tradizionali, tra cui la Texas Railroad Commission, le ‘Sette sorelle’ e Opec. Queste strutture hanno contribuito a stabilizzare e strutturare il mercato a vantaggio di produttori, azionisti e consumatori allo stesso tempo. L’equilibrio di potere tra le Sette Sorelle (che nella sua forma moderna è composta da Shell, BP, ExxonMobil e Chevron) e i produttori dell’Opec ha regolato il mercato del petrolio da 1,7-1,8 trilioni di dollari durante periodi di crisi finanziaria, guerre regionali, ed eventi cosiddetti ‘Cigno nero’. Ora, questa necessaria cooperazione o equilibrio di potere è però minata da investitori e politici, che minacciano non solo la fornitura di energia e prodotti petroliferi sui mercati globali, ma anche l’influenza dei paesi consumatori sui produttori.

MOLTI COLOSSI FINANZIARI HANNO DETTO STOP AI COMBUSTIBILI FOSSILI

Un numero crescente di colossi finanziari internazionali, come il gestore patrimoniale olandese Robeco, si è impegnata a escludere gli investimenti in carbone, sabbie bituminose e perforazioni artiche da tutti i fondi comuni di investimento. Il fondo ha dichiarato questa settimana che escluderà le aziende che ricavano il 25% o più dei ricavi dal carbone o dalle sabbie bituminose, o il 10% o più dalle trivellazioni nell’Artico. Il gestore patrimoniale olandese, che detiene circa 155 miliardi di euro ha già escluso gli investimenti nel carbone dai suoi fondi sostenibili.

“La decisione di escludere gli investimenti in combustibili fossili dai nostri fondi è un ulteriore passo avanti nello sforzo per ridurre l’impronta di carbonio dai nostri investimenti, passando a un’economia a basse emissioni di carbonio”, ha affermato Victor Verberk, CIO del settore fixed income and sustainability di Robeco. La mossa di Robeco segue un elenco crescente di assicuratori e gestori patrimoniali europei che hanno tagliato gli investimenti nei combustibili fossili, tra cui l’assicuratore olandese Aegon. Robeco ha detto che completerà l’esclusione delle aziende di combustibili fossili entro la fine di quest’anno. Gli assicuratori, gli asset manager e i fondi pensione europei non sono gli unici. Report recenti indicano che gli investitori globali hanno già escluso 5,4 trilioni di dollari dai combustibili fossili.

GLI OBIETTIVI CLIMATICI

Il motore principale dietro il disinvestimento è la determinazione a rimuovere le emissioni di gas serra prodotte dall’uomo per contrastare il cambiamento climatico. I rapporti indicano che l’80% di tutte le emissioni globali proviene da combustibili fossili. Per raggiungere gli obiettivi fissati dai governi, le emissioni devono essere ridotte di due terzi o la produzione di combustibili fossili devono essere ridotte dell’1% all’anno fino al 2050.

IL RISCHIO STRANDED ASSET

Al contrario, la produzione di combustibili fossili ha visto una crescita del 2% all’anno nel ultimi 30 anni. Agli occhi della maggior parte degli investitori, attivisti e governi, disinvestire in società di combustibili fossili rappresenterà un importante passo avanti. Alcuni investitori sostengono, infatti, che sia economicamente sensato disinvestire sulla base dell’argomento degli stranded asset avanzato in un importante rapporto della Banca d’Inghilterra. Le banche, i fondi azionari e le casse pensioni temono che il valore intrinseco dei beni basati su combustibili fossili sia molto inferiore alle attuali valutazioni di mercato, come si legge sul Washington Post.

Il problema con questo argomento è che i rischi non sono presi in considerazione dalla maggior parte degli investitori e dei politici. Anche se il valore totale dei produttori di idrocarburi in borsa è diminuito, l’impatto del disinvestimento sull’asset allocation e sui rendimenti sarà immenso. I produttori di combustibili fossili rappresentano circa il 6% del mercato azionario globale e oltre il 12% del mercato britannico. Come alcuni analisti hanno già affermato, l’esclusione di un intero settore potrebbe avere un impatto sull’asset allocation, con conseguente aumento del rischio di benchmark (rispetto al mercato) e potenzialmente una maggiore volatilità. La ricerca della banca d’investimento Schroders dimostra che nel lungo periodo l’impatto delle esclusioni sui rendimenti degli investimenti è minimo. Tuttavia, può aumentare la volatilità nel breve termine, evidenzia un articolo del Financial Times.

I COLOSSI DELL’OIL&GAS SPOSTANO LA LORO ATTENZIONE VERSO IL ‘GREEN’ MA SI RISCHIA L’INSTABILITA’ DEL MERCATO

Il percorso è comunque già in atto. Gli investitori stanno progressivamente abbandonando il mercato, i prezzi delle azioni stanno precipitando, le strategie aziendali vengono modificate e la produzione è in pericolo. Nelle ultime settimane, le dichiarazioni di BP e Shell di voler spostare parte dei loro investimenti dal petrolio e gas upstream al settore ‘green’ sono state accolte con molte reazioni positive da parte dei media, ma gli annunci dovrebbero considerare anche alcuni dati preoccupanti. Diventare “verdi” significa mettere a rischio la stabilità del mercato. Le rivalutazioni sui principali asset da parte delle compagnie petrolifere private negli ultimi mesi dovrebbero essere prese, infatti, cum grano salis. Anche se le più grandi compagnie petrolifere del mondo dovessero tagliare il valore delle riserve e dei progetti in corso nel 2020, come ad esempio la francese Total che ha svalutato circa 7 miliardi di dollari di asset canadesi di sabbie bituminose, o i 4,7 miliardi di dollari della Shell nel secondo trimestre relativi ad asset in Nord America, Brasile ed Europa e ad un progetto in Nigeria, il valore reale degli asset ha pur sempre un valore contabile. E in tempi di crisi e di incertezza, è sempre interessante accettare svalutazioni. Persino la Exxon Mobil ha avvertito ad agosto che i bassi prezzi dell’energia potrebbero eliminare anche un quinto delle sue riserve di petrolio e gas naturale.

OFFERTA OIL IN PERICOLO

Non è tutto. In una situazione simile, se da un lato gli azionisti soffrono dei minori ricavi e dividendi anche i progetti di idrocarburi si stanno rivelando antieconomici. Tuttavia, eliminando progetti di investimento multimiliardari nel settore degli idrocarburi in tutto il mondo, l’offerta sarà duramente colpita nei prossimi anni, mentre la domanda continuerà a crescere. I progetti rinnovabili sono in grado di contrastare la crescente domanda di energia, non di prodotti. In questo senso dovrebbe essere allarmante dal punto di vista economico, il fatto che le grandi compagnie, come Shell o BP, non solo stanno cedendo parte delle loro superfici globale di produzione di petrolio e gas e dei loro progetti, ma stanno anche interrompendo l’esplorazione di nuove aree. Se i mercati del petrolio e del gas saranno ulteriormente destabilizzati, sarà compito delle compagnie petrolifere statali salvare il mercato.

LE COMPAGNIE NAZIONALI E IL LORO FUTURO LUMINOSO

“Gli analisti, soprattutto quelli che si occupano di ‘green’ sembrano non aver capito che gli stranded asset delle compagnie petrolifere private sono beni che si possono rivelare ‘interessanti’ per altri. I margini di profitto, i dividendi e gli azionisti attivisti non sono un problema per Aramco, ADNOC, NNPC, Gazprom o CNOOC. Con la diminuzione dell’offerta nei prossimi anni e il probabile ritorno della domanda, i prezzi aumenteranno e i margini saliranno. Ciò renderà di nuovo interessante dal punto di vista commerciale la crescente lista dei cosiddetti ‘stranded assets’. Ma questa volta cadranno probabilmente nelle mani delle compagnie statali piuttosto che delle ‘private’”, ha osservato Oilprice.

In sostanza, il futuro di queste ultime e degli indipendenti non sembra molto promettente. La mancanza di accesso ai mercati finanziari e la spinta politico-sociale a bloccare i progetti sugli idrocarburi farà sì che alcune delle più grandi compagnie petrolifere del mondo assomiglieranno a fondi pensione o addirittura a imprese di costruzione.

Il futuro delle compagnie petrolifere nazionali, in particolare di quelle Opec+, è invece luminoso. “Senza azionisti attivisti di cui preoccuparsi, un facile accesso ai mercati finanziari e ai fondi sovrani, queste ultime non solo saranno in grado di raccogliere i frutti dell’attuale situazione, ma saranno anche disposti a farlo. Per loro non ci saranno stranded asset, ogni goccia di risorsa potrà e sarà prodotta e utilizzata, in quanto farà parte della loro identità nazionale. Per i consumatori occidentali e asiatici, tuttavia, ciò significherà che i loro politici e le loro aziende dovranno affrontare nuove ‘potenze’ nel settore degli idrocarburi. Trattare con Shell o BP a livello di governo europeo è facile. Trattare con una compagnia statale, sostenuta dal rispettivo governo nazionale, sarà una questione molto più complessa”, ha concluso Oilprice.

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