I produttori di acciaio europei, per andare avanti, sembrano essere completamente dipendenti dai risultati delle prossime elezioni e dal denaro dei contribuenti
Con la transizione energetica che prosegue a ritmo serrato, ridurre l’impronta carbonica delle industrie tradizionalmente ad alte emissioni è sempre più cruciale per limitare le emissioni globali. Tra i cosiddetti settori “hard to abate” (difficili da abbattere), la produzione dell’acciaio è uno dei più impegnativi. Nonostante gli incentivi e le agevolazioni fiscali pensati per promuovere la produzione di acciaio verde – prodotto, cioè, utilizzando elettricità a zero emissioni di carbonio – le acciaierie europee si trovano ad affrontare diverse difficoltà.
LA SOSTENIBILITÀ DELL’ACCIAIO
La sostenibilità economica a lungo termine dell’acciaio verde rispetto all’acciaio grigio – prodotto utilizzando combustibili fossili – è in serio pericolo, poiché il materiale ecologico costa fino a 1.000 euro per tonnellata in più rispetto all’alternativa. Per colmare il divario, le tasse sull’acciaio grigio dovrebbero ammontare a circa 500 euro per tonnellata di CO2, un forte aumento rispetto all’attuale tassa di 60 euro per tonnellata, oppure i governi dovrebbero offrire incentivi sostanziali per produrre acciaio verde.
Rystad Energy ha osservato che l’importazione di ferro verde a riduzione diretta (DRI) – minerale di ferro prodotto da idrogeno verde – da Paesi con migliori risorse energetiche rinnovabili, come l’Australia o l’Oman, potrebbe aiutare a ridurre i costi in Europa. Tuttavia, la storia del commercio marittimo del DRI indica che potrebbe essere un’opzione rischiosa per alcune regioni. I volumi degli scambi negli ultimi anni sono diminuiti per diverse ragioni, tra cui la nazionalizzazione degli impianti di produzione in Venezuela. Il conflitto in corso in Medio Oriente è un altro fattore di rischio.
IN EUROPA INVESTIMENTI IN STALLO
Se i produttori siderurgici europei potrebbero voler essere autosufficienti, secondo i produttori di impianti regionali gli investimenti nel settore all’interno dell’Ue sembrano essere in fase di stallo. I produttori di acciaio europei, per andare avanti, sembrano essere completamente dipendenti dai risultati delle prossime elezioni e dal denaro dei contribuenti, un importo che varia da progetto a progetto. Ad esempio a Duisburg, in Germania, ThyssenKrupp riceverà 500 milioni di euro per costruire una nuova serie di strutture, che costerà 1.800 milioni di euro. Inoltre, alla società sono stati assegnati 1.450 milioni di euro per sovvenzionare i costi energetici, a condizione che scelga l’idrogeno verde rispetto al gas naturale. Tuttavia, per beneficiare del sussidio, ThyssenKrupp deve fornire una verifica indipendente di aver acquistato idrogeno verde, anziché grigio.
Nonostante l’incertezza economica, l’industria sta adottando delle misure concrete per sostituire la granigliatura, un processo di trattamento superficiale ad alto contenuto di carbonio che rimuove dai rottami metallici ruggine, contaminanti e detriti generali. Gli stabilimenti stanno sostituendo questa pratica con delle alternative più sostenibili come gli impianti DRI e i forni elettrici ad arco (EAF), anche se questi ultimi sono più costosi. Il DRI prevede la riduzione diretta del minerale di ferro allo stato solido utilizzando monossido di carbonio e idrogeno derivati dal gas o dal carbone, mentre gli EAF utilizzano l’energia elettrica per fondere ferro e rottami.
ACCIAIO E DRI (DIRECT REDUCTION IRON)
Il DRI è una materia prima utilizzata nella produzione dell’acciaio, insieme ai rottami metallici e alla ghisa. Quando viene prodotto in Paesi con costi energetici inferiori, utilizzando ad esempio gas naturale o idrogeno verde, può essere trasportato in Europa ad un ritmo ridotto rispetto alla produzione nazionale. Questo DRI può essere fuso in un EAF per produrre acciaio o trasportato in forma liquida fusa ad un forno ad ossigeno basico (BOF). In questo modo, il produttore di acciaio può ottenere una soluzione più economicamente vantaggiosa rispetto alla produzione del proprio DRI in Europa.
Secondo la World Steel Association, le opere integrate – che comprendono altiforni e impianti di produzione di acciaio ad ossigeno basico – rilasciano una media di 2,33 tonnellate di CO2 per tonnellata di acciaio grezzo, mentre gli impianti DRI ed EAF emettono solo 1,37 tonnellate di CO2 per tonnellata di acciaio grezzo. Solo il 7% dell’attuale produzione globale di acciaio proviene da queste forme di produzione più pulite.
RYSTAD ENERGY: INDUSTRIA SIDERURGICA COMBATTE DECARBONIZZAZIONE CON INCERTEZZA ECONOMICA
“L’industria siderurgica si trova in un momento cruciale nella transizione energetica, combattendo la spinta alla decarbonizzazione con l’incertezza economica. L’importazione del DRI da Paesi con migliori risorse energetiche rinnovabili potrebbe ridurre il costo della produzione di acciaio verde, ma solo se i costi di trasporto non superano i vantaggi”, ha affermato Alistair Ramsay, vicepresidente catena di fornitura di Rystad Energy.
Per Ramsay “i produttori di acciaio tedeschi potrebbero importare DRI come ferro bricchettato a caldo (HBI), prodotto attraverso idrogeno verde dall’Oman o dall’Australia, se i minori costi dell’idrogeno compensassero gli elevati costi di spedizione rispetto alla produzione in Germania”.
L’ACCIAIO ITALIANO DELL’EX ILVA
In Italia tutte le attenzioni sono rivolte all’acciaieria Ex Ilva di Taranto. Lo scorso 29 aprile a Palazzo Chigi il governo ha incontrato i sindacati metalmeccanici Fiom-Cgil, Fim-Cisl, Uilm-Uil, Usb e Ugl metalmeccanici, per discutere del piano industriale, che a breve verrà presentato a Bruxelles per il via libera al prestito ponte all’azienda da 320 milioni di euro.
Per il governo erano presenti il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, il ministro del Lavoro e delle politiche sociali, Marina Calderone, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano. All’incontro hanno partecipato anche i commissari straordinari di Acciaierie d’Italia.
DE PALMA (FIOM): LE RISORSE NON BASTANO
Uscendo dall’incontro, il segretario generale della Fiom Cgil, Michele De Palma, ha dichiarato che “non siamo più disponibili a discutere di piani di lungo periodo, dev’essere applicato il piano del 2018, e per realizzarlo servono le risorse. Il governo ci ha detto che sono in via di intervento 150 milioni di euro, oltre ai 320 milioni del prestito, che devono essere autorizzati dalla Commissione europea. È passato fin troppo tempo, i 320 milioni servivano subito. Queste risorse non bastano”.
RIZZO (USB): PIANO DEL GOVERNO ESCLUDEREBBE 4.500 LAVORATORI
“Il governo – ha commentato Francesco Rizzo dell’USB – come obiettivo massimo al 2026 ci ha presentato un piano industriale di 6 milioni di tonnellate, con gli altiforni attuali e la produzione a carbone. Poi ha aggiunto che, dal 2026 al 2029, si lavorerà per sostituire due altiforni con due forni elettrici, che dovranno garantire almeno 4 milioni di tonnellate, più 2 mt da produzione di altoforno”. Per Rizzo “è un piano industriale che ad oggi avrebbe un impatto significativo sui lavoratori. I forni elettrici hanno un impatto occupazionale molto minore rispetto agli altiforni, quindi rischiamo che vengano esclusi dal mondo del lavoro 4.500 lavoratori”.
A MAGGIO AZIENDE INTERESSATE VISITERANNO L’EX ILVA
Dall’incontro del 29 aprile è emerso anche che, nella seconda metà di maggio, alcune società che hanno manifestato interesse per il possibile acquisto del polo siderurgico Ex Ilva dovrebbero visitare gli stabilimenti.
Secondo quanto riferito da Giovanni Fiori, uno dei commissari straordinari di Acciaierie d’Italia, nel primo semestre 2025 inizieranno i lavori per la realizzazione di due forni elettrici, che sostituiranno altrettanti altiforni ed entreranno in attività nel 2027. Oggi a Taranto è in funzione solo Afo 4 – che verrà mantenuto fino al 2030 -, mentre Afo 1 e Afo 2 sono fermi per manutenzione.