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Opec

Ecco perché il futuro dell’OPEC è sempre più incerto

Alcuni membri dell’organizzazione potrebbero avere difficoltà persino a mantenere la produzione di petrolio, mentre altri stanno aumentando la loro capacità inutilizzata perché possono permettersi di farlo

L’OPEC, nell’opinione pubblica, spesso viene concepita come una struttura monolitica e irremovibile, tranne quando i prezzi del petrolio scendono. Eppure, il gruppo non è così omogeneo – o, anzi, unanime – come potrebbe sembrare, e i diversi interessi dei suoi membri, ad un certo punto, potrebbero minacciare la sopravvivenza dell’organizzazione stessa.

L’ESTENSIONE DEI TAGLI ALLA PRODUZIONE

Nella loro ultima riunione ministeriale di giugno, i leader dell’OPEC hanno deciso di estendere i loro tagli volontari alla produzione fino al 2024, e hanno deciso anche di adeguare le quote dei membri che avevano difficoltà a raggiungere i livelli di produzione precedentemente concordati.

L’INVITO (SMENTITO) ALLA GUYANA AD ENTRARE NELL’OPEC

Nel frattempo, l’organizzazione ha proposto alla Guyana di entrare a far parte dell’OPEC, proposta che il Paese sudamericano ha rifiutato dicendo che vuole concentrarsi sulla crescita della produzione. Anche il Brasile ha resistito a diventare un membro OPEC, preferendo agire per conto proprio.

L’Indonesia, da parte sua, aveva lasciato l’OPEC a metà degli anni 2000, quando divenne un importatore netto di petrolio, ma in seguito è rientrata nel cartello. E, sebbene la possibilità sia remota, potrebbe non rimanere l’unica ad aver fatto questa mossa.

L’INDISCREZIONE DEL WSJ SUGLI EMIRATI ARABI UNITI

Poi c’è un rapporto del Wall Street Journal secondo cui gli Emirati Arabi Uniti starebbero pensando di lasciare l’OPEC. Gli EAU si sono affrettati a negare il rapporto, ma i dubbi sono rimasti, soprattutto perché il documento è arrivato in un periodo in cui le tensioni politiche tra gli Emirati e il suo più grande partner OPEC – l’Arabia Saudita – sono aumentate.

All’ultimo incontro dell’OPEC+, l’Arabia Saudita ha annunciato quello che il suo ministro dell’Energia ha definito “un lecca-lecca saudita”: un taglio volontario di 1 milione di barili al giorno nella produzione, mentre agli Emirati Arabi Uniti è stato permesso di aumentare la propria produzione di 200.000 barili al giorno. Eppure, questa potrebbe non essere stata la parte più importante delle notizie emerse da quell’incontro.

LINEE GUIDA E QUOTE DI PRODUZIONE

In un recente articolo, Ahmad Ghaddar dell’agenzia Reuters ha suggerito che un altro elemento dell’accordo potrebbe avere un significato maggiore: l’adeguamento delle linee guida e delle quote di produzione. Con l’aggiustamento, l’OPEC ha riconosciuto che alcuni membri – come Iraq, Nigeria e Angola – semplicemente non hanno la capacità produttiva per produrre quanto richiesto dalle loro quote originali. Quindi, queste quote sono state adeguate di conseguenza, riflettendo le difficoltà di questi membri OPEC nell’attrarre capitale straniero, da cui dipendono per sviluppare le loro risorse di idrocarburi.

Allo stesso tempo, il taglio volontario dell’Arabia Saudita arriva tra i piani per aumentare la sua capacità produttiva inutilizzata a 13 milioni di barili al giorno, nel medio termine, e i piani praticamente identici negli Emirati Arabi Uniti.

MEMBRI OPEC DEL GOLFO E MEMBRI OPEC AFRICANI

In altre parole, alcuni membri OPEC potrebbero avere difficoltà persino a mantenere la produzione, mentre altri stanno aumentando la loro capacità inutilizzata perché possono permettersi di farlo. Secondo Ghaddar, questo potrebbe ampliare il divario tra i membri del Golfo – forse escludendo l’Iraq – e i membri africani come la Nigeria e l’Angola.

I membri del Golfo sicuramente hanno già un ruolo di primo piano nell’OPEC. Per Ghaddar l’adeguamento delle quote aumenterebbe solo la loro influenza e ridurrebbe quella dei membri africani, e questi ultimi potrebbero decidere di non seguire la via dell’Indonesia.

La Nigeria in più di un’occasione si è lamentata delle quote, anche se non riesce a raggiungerle. E a lamentarsi sono stati anche gli Emirati Arabi Uniti, membri del Golfo e del gruppo dominante dell’OPEC. Per ora, l’appartenenza all’organizzazione e il potere di dettare i prezzi mondiali hanno tenuto unito il gruppo, ma cosa succederà quando i prezzi mondiali smetteranno di rispondere?

GLI EFFETTI SUI PREZZI DEL PETROLIO

Questo è quello che sta accadendo in questo momento. I commercianti di petrolio non sembrano preoccuparsi della domanda e dell’offerta di petrolio, quel che gli interessa sono i rapporti e le proiezioni sul PIL e gli ultimi dati sulle attività di fabbrica provenienti da Cina e Stati Uniti. Di conseguenza, i prezzi sono bloccati intorno ai 70-75 dollari al barile, e anche la notizia che l’Arabia Saudita estenderà i suoi tagli volontari e che la Russia ridurrà le esportazioni non ha aiutato a spingerli più in alto.

Questa situazione sta creando un senso di frustrazione nell’OPEC, così come le aspettative degli analisti che questi tagli “faranno poco per spostare il sentimento ribassista, in un mercato che è consumato dal pessimismo sulle prospettive di crescita della domanda di petrolio nella seconda metà dell’anno”, come ha affermato Eurasia Group.

LA STRATEGIA DELLA GUYANA

La Guyana potrebbe fornire ispirazione per alcuni: il piccolo Paese sudamericano – che nel giro di pochi anni si è trasformato in un hotspot petrolifero – ha rifiutato di unirsi al gruppo perché vuole massimizzare i rendimenti che può ricavare dalle sue risorse. Curiosamente – scrive Irina Slav su Oilprice – è stato ancora il Wall Street Journal a riportare la notizia che l’OPEC aveva invitato la Guyana ad aderirvi, a seguito della quale fonti ufficiali dell’organizzazione hanno negato la notizia di tale invito.

L’OPEC TRA FRATTURE INTERNE E RICERCA DI UNITÀ

Il leader dell’OPEC – l’Arabia Saudita – ha costantemente dimostrato che il gruppo era unito anche quando c’erano delle fratture interne e dei disaccordi sulla politica di produzione. In effetti, tutti i membri hanno fatto uno sforzo per mantenerlo unito per il bene di ognuno, anche perché qualsiasi notizia di divisioni interne fa crollare il prezzo del petrolio. La domanda, in un momento sensibile ai prezzi come questo, è quanto durerà questa unità, se gli sforzi per indirizzare i prezzi attraverso il controllo dell’offerta continueranno a fallire?

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