Il piano dell’Ue di integrare il clima nel Bilancio rischia di fallire, secondo Bruegel. Tutte le ragioni e le soluzioni
L’UE prova ad integrare il clima nel bilancio ma sarà tutto inutile senza una riforma strutturale. Infatti, i fondi destinati al contrasto al climate change rischiano di finanziare spese all’insegna del greenwashing e interventi dannosi per l’ambiente. La ragione è che l’attuale sistema di integrazione climatica soffre di gravi lacune strutturali, metodologiche e operative, secondo l’ultima analisi del think tank Bruegel, finanziata dalla European Climate Foundation. Come deve cambiare il sistema di assegnazione dei fondi per assicurare che non vadano sprecati?
CLIMA, IL PIANO DELL’UE FALLIRA’?
L’Unione Europea (UE) ha deciso di destinare il 30% del Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) e il 37% dello strumento per il Recupero e la Resilienza (RRF) a investimenti per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici. Tuttavia, l’integrazione delle politiche climatiche nel bilancio comunitario non sarà sufficiente a realizzare gli obiettivi sostenibili a causa dei forti limiti che caratterizzano questo sistema, secondo Bruegel.
Il primo problema riguarda la progettazione complessa e frammentata del sistema di integrazione climatica. Infatti, è composto da regolamenti non armonizzati, difficili da applicare e comprendere, secondo il think tank. Inoltre, le politiche climatiche non sono abbastanza efficaci perché spesso non c’è coerenza di programmi tra i diversi Paesi.
CLIMA, MONITORAGGIO ERRATO E SCARSA TRASPARENZA
I limiti del sistema di integrazione climatica europeo non finiscono qui. Infatti, è caratterizzato anche da una metodologia di monitoraggio inadeguata. Le spese sono classificate con coefficienti (0%, 40%, 100%) basati su stime qualitative degli impatti attesi, ma manca una documentazione scientifica solida come fondamento. Di conseguenza, le valutazioni dei risultati climatici sono incomplete o assenti, quindi c’è il rischio sovrastimare i benefici climatici e trascurare gli effetti negativi. In altre parole, non esiste un sistema per misurare l’effettivo impatto delle spese climatiche sugli obiettivi ambientali.
Un altro limite è la scarsa trasparenza. Infatti, la Commissione Europea non comunica i progetti con impatti ambientali negativi, contraddicendo le raccomandazioni della Corte dei Conti Europea (ECA). Inoltre, Bruegel sottolinea che il sistema di integrazione attuale è caratterizzato da un’applicazione incoerente del principio DNSH (“Do No Significant Harm”) nei diversi Paesi e programmi. La ragione è che spesso i meccanismi di valutazione si basano su dichiarazioni non verificate. Il risultato è che alcuni investimenti, come quelli agricoli o energetici, sfuggono a una rigorosa valutazione ambientale. L’ultimo problema riguarda la Politica Agricola Comune (PAC), che rappresenta una quota significativa della spesa climatica. Il sistema è accusato di “greenwashing” a causa dell’attribuzione generosa di coefficienti climatici a progetti con impatti ambientali discutibili.
LA RICETTA DI BRUEGEL
Il think tank propone diverse riforme per rendere più efficace il quadro di integrazione climatica. In primo luogo, l’unificazione normativa in un unico atto giuridico con un elenco standardizzato dei campi d’intervento. In secondo luogo, Brugel propone di restringere la definizione dei campi d’intervento e aumentarne il numero per garantire maggiore precisione nella classificazione delle attività.
Inoltre, si propone di sviluppare una metodologia scientificamente fondata e pubblicamente accessibile per l’attribuzione dei coefficienti climatici. A questo si aggiunge l’introduzione dell’obbligo legale di rendicontazione, per riportare progetti con effetti negativi sulla biodiversità e sul clima. Bruegel consiglia inoltre di sostituire l’attuale sistema di valutazione a tre livelli con una scala più dettagliata (ad esempio 0%, 25%, 50%, 75%, 100%) per migliorare la precisione. Inoltre, il think tank suggerisce di integrare le stime iniziali degli impatti con un’analisi dei risultati effettivi per garantire una maggiore responsabilità. Infine, propone ridurre le disparità tra paesi nelle valutazioni sostanziali del DNSH e garantire che anche le procedure semplificate siano sottoposte a controlli rigorosi.