Una possibilità è quella di sfruttare la natura piantando delle foreste di mangrovia e praterie di alghe che rimuovono la CO2 dall’oceano e lo immagazzinano
L’oceano sarebbe una soluzione valida per gli sforzi di rimozione dell’anidride carbonica. Sappiamo che rimuovere e immagazzinare l’anidride carbonica, così come ridurre le emissioni, sarà necessario per evitare gli effetti più pericolosi del cambiamento climatico.
Per utilizzare gli oceani come piattaforma di rimozione della CO2, però, bisognerà innanzitutto rispondere a delle questioni scientifiche, legali e sociali. Axios ha ricevuto un nuovo report dall’Aspen Institute, con il supporto della ClimateWorks Foundation, che delinea una strategia per esplorare legalmente l’oceano come un possibile sito di rimozione dell’anidride carbonica.
RIMUOVERE L’ANIDRIDE CARBONICA CON LE FORESTE O CON IL FITOPLANCTON
Sappiamo che l’oceano può giocare un ruolo negli sforzi di rimozione dell’anidride carbonica perché lo sta già facendo attualmente: circa il 40% delle emissioni di CO2 prodotte dall’uomo dall’inizio dell’età industriale, infatti, è stato assorbito dall’oceano, rallentando il ritmo con cui avanza il riscaldamento globale. Considerato che l’oceano ricopre oltre due terzi della superficie terrestre, c’è molto più spazio rispetto al suolo per condurre dei progetti di rimozione dell’anidride carbonica. Una possibilità è quella di sfruttare la natura piantando delle foreste di mangrovia e praterie di alghe che rimuovono la CO2 dall’oceano e lo immagazzinano.
Una seconda opzione è di fertilizzare gli oceani con ferro disciolto che stimola la crescita del sito plancton che nell’acqua può nutrirsi di CO2. “La natura delle autorità e delle scienze nell’oceano presentano molte sfide al livello di sviluppo che sarebbe necessario”, ha dichiarato Michael Conathan, senior policy fellow per l’oceano e il clima del programma “Energia e Ambiente” dell’Aspen Institute.
GLI OCEANI E LE QUESTIONI NORMATIVE
Gli Stati richiedono una zona economica esclusiva (EEZ) – il territorio in cui possono controllare risorse marine viventi e non viventi – solo per 230 miglia a largo delle loro coste. Queste zone spesso si sovrappongono e più in là c’è il mare aperto, che ha una normativa internazionale ancora più ambigua. “Come gestire questi effetti transfrontalieri, in cui l’azione condotta in uno Stato finisce per influenzare gli altri?”, si domanda Conathan.
Il report di Aspen suggerisce che, prima che la rimozione dell’anidride carbonica nell’oceano superi la fase sperimentale, debbano essere stabilite le strutture governative nazionali e internazionali da coinvolgere. Ciò include l’assicurarsi che i progetti di rimozione della CO2 rispettino i diritti dei cittadini che abitano sulle coste – che dipendono soprattutto dalla salute degli oceani -, un aspetto che in passato è stato considerato molto raramente. “Vogliamo sfruttare ciò che l’oceano ci offre per rimuovere l’anidride carbonica, ma non vogliamo farlo in un modo che comprometta gli ecosistemi dell’oceano stesso, o che in qualche modo finisca per provocare dei problemi più seri”, ha concluso Conathan.