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Carbone

Cosa deve fare l’Europa dell’Est per scongiurare una crisi energetica

Troppi nodi irrisolti tra i paesi dell’ex blocco sovietico alle prese con indipendenza e sicurezza energetica e decarbonizzazione

Scarsi investimenti, impianti datati e inquinanti. Dalla caduta del muro di Berlino, la produzione di energia nell’Europa sudorientale sta continuamente lottando con il suo passato ma anche con il presente per soddisfare la domanda richiesta da imprese e cittadini da un lato e la necessità di essere in regola con le normative europee in materia di clima e di qualità dell’aria dall’altro. In breve, non è da escludere che l’Europa dell’Est possa instradarsi sul percorso di una crisi energetica, evitabile, tuttavia, con massicci investimenti finanziari nella produzione di energia non inquinante.

POCHE INTERCONNESSIONI

Nel febbraio 2015, un documento trapelato da Bruxelles, fece luce sui piani della Commissione europea per eliminare le isole energetiche cioè la mancanza di interconnessioni energetiche tra le varie regioni europee, citando l’Europa sudorientale come una sfida particolare. La regione stessa è moderatamente interconnessa, ma il suo isolamento dai mercati esterni dell’energia fa sì che la sicurezza energetica rimanga un problema. La dipendenza dalle importazioni rimane significativa, tra il 17 e il 73 per cento, e quasi tutti i paesi (ad eccezione di Romania e Croazia) dipendono fortemente dalle importazioni di idrocarburi, soprattutto petrolio e gas.

L’IDROELETTRICO POTREBBE ESSERE LA CHIAVE

rinnovabiliL’attuale produzione di energia nell’Europa sudorientale è dominata dall’idroelettrico e dal carbone, non esattamente il miglior combustibile per contribuire alla decarbonizzazione. La Comunità dell’energia ha stimato che per conformarsi ai requisiti della direttiva sulle emissioni industriali (IED) sono necessari investimenti per 7,843 miliardi di euro nelle attuali centrali termoelettriche (TPP). Un aiuto potrebbe arrivare anche dal nucleare: attualmente ci sono dei reattori attivi in Bulgaria e Romania, con quest’ultima che ha in programma di espandere la propria capacità con due nuovi impianti da 720 MW. Il resto potrebbe essere fornito dalle rinnovabili con l’energia idroelettrica in prima linea.

La topografia della regione, insieme alle abbondanti precipitazioni, rendono l’idroelettrico un candidato ideale. Nonostante vi siano già molti impianti, c’è spazio per un’ulteriore espansione: ma dei quasi 2.000 progetti in corso, pianificati o previsti, molti destano preoccupazione per i danni ambientali che possono provocare, mettendo in discussione la loro realizzazione. Tuttavia, il potenziale di crescita è evidente, e la regione ha tutto ciò che le serve per costruire una rete al 100% rinnovabile entro il 2050 con l’installazione di 100 gigawatt di stoccaggio idroelettrico.

CONDIZIONI POLITICHE ED ECONOMICHE NON OFFRONO UN AMBIENTE STABILE PER I NUOVI PROGETTI

Al momento attuale, esiste quindi il potenziale per raggiungere sia gli obiettivi di sicurezza energetica che quelli di decarbonizzazione attraverso entrambe le vie, ciascuna con i propri punti di forza e di debolezza. L’espansione della capacità di generazione è stata promossa sia dall’Ue che dalla Banca mondiale, ma secondo uno studio sull’energia e lo sviluppo nell’Europa sudorientale, le condizioni politiche ed economiche non offrono un ambiente stabile per i nuovi progetti di generazione di energia. L’attenzione si è invece concentrata sulla trasmissione e il trasporto di energia, come il gasdotto del Caucaso meridionale (SCP), il Trans Anatolian Natural Gas Pipeline (TANAP) e il Trans Adriatic Pipeline (TAP). Questi gasdotti si collegheranno al giacimento di Shah Deniz-2 in Azerbaigian e, potrebbero garantire una parte dell’approvvigionamento europeo di gas naturale senza però garantire appieno l’indipendenza energetica.

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