Investimenti nel settore energetico a rischio nei prossimi 5 anni. Meno detrazioni in arrivo per gli interventi edilizi: 1/3 saranno solo del 36% invece del 50%. Primato in Ue per Poste, Snam, Generali, Intesa e Nexi per trasparenza nella comunicazione digitale. La rassegna Energia
Allarme rosso per gli investimenti nel settore energetico. Nei prossimi cinque anni c’è il rischio di un significativo calo di interesse in tecnologie come fotovoltaico, sistemi d’aria compressa e interventi su processi produttivi, secondo un’analisi del Polimi. Stime che si aggiungono ai risultati poco incoraggianti del Piano Transizione 5.0, che non sembra molto attrattivo per le imprese. Un terzo degli interventi edilizi beneficerà solo della detrazione del 36%, invece che del 50%. Una stretta che interesserà principalmente i lavori per case diverse dall’abitazione principale, ma anche diversi interventi su prime case, secondo il Caf Acli. Terna, Poste, Snam, Generali, Intesa e Nexi si aggiudicano lo scettro di aziende quotate più trasparenti nella comunicazione digitale in Ue, secondo la Webraking 2024-2025 di Lundquist. La rassegna Energia.
CASE, STRETTA SU BONUS: 1 SU 3 A RISCHIO
“La stretta sui bonus edilizi nel 2025 farà sì che un terzo degli interventi abbia la detrazione più povera: 36% anziché 50 per cento. Sono i lavori che – secondo le elaborazioni del Caf Acli – riguardano case diverse dall’abitazione principale e che perciò verranno penalizzati dalla manovra in arrivo. A rischiare di rimetterci, però, sarà anche una fetta consistente degli altri interventi – circa i due terzi del totale – che pure sono riferiti a una prima casa. Il disegno di legge di Bilancio ora alla Camera, infatti, prevede la detrazione del 50% solo per chi ristruttura una dimora «adibita ad abitazione principale». Lasciando il più magro bonus del 36% anche a coloro che avvieranno un cantiere su un immobile che non è ancora la loro prima casa, ma lo diventerà solo alla fine dei lavori. (…) La manovra nel 2025 concederà il 50% solo a chi fa lavori su abitazioni principali possedute in base a diritti reali di godimento. (…) Grazie alle informazioni aggiuntive che gli operatori del Caf inseriscono a sistema, si scopre che il 33,7% delle detrazioni riguarda immobili che nel 2025 saranno esclusi dal bonus più ricco: case locate, sfitte e di vacanza (22,6%); alloggi per i quali detrae un familiare convivente (8,6%), il titolare della nuda proprietà (1,1%), il comodatario (1%) o l’inquilino (0,4%). Secondo il Caf Acli, il 66,3% delle detrazioni riguarda abitazioni principali (codice «1» nel quadro B). Ma il fatto è che molte di queste case sono diventate «abitazione principale» solo alla fine dei lavori. E, come detto, in base all’attuale testo del Ddl verrebbero escluse dal bonus del 50 per cento. «Al Nord sta emergendo una leggera tendenza a cercare case già ristrutturate, soprattutto perché il costo dei lavori è salito parecchio, ma in genere chi compra ristruttura: nel 90% dei casi qualche lavoro va fatto, aprendo una Cila», osserva Paolo D’Alessandris, responsabile del dipartimento immobiliare del Cresme”, si legge su Il Sole 24 Ore.
“I numeri delle compravendite – 709mila nel 2023 – aiutano a capire quanto può essere diffuso il problema: secondo le statistiche del Consiglio nazionale del Notariato, l’anno scorso il 50,8% delle abitazioni è stato acquistato con l’agevolazione prima casa. Perciò, almeno metà delle dimore compravendute rischia di avere il bonus del 36% nel 2025; senza contare che i lavori potrebbero riguardare anche immobili ereditati o già posseduti in cui la famiglia si trasferirà a fine lavori. La differenza tra 36 e 50% frenerà anche le opere in condominio (si veda l’articolo in basso). «È chiaro che, senza modifiche, nel 2025 si faranno solo interventi non rinviabili», commenta Spaziani Testa. (…) Se a queste incertezze aggiungiamo l’impatto della “tagliola” per i contribuenti con redditi oltre 75mila euro, è evidente la difficoltà di stimare quanto sarà ripida la discesa degli interventi incentivati, che quest’anno – dice il Cresme – chiuderanno a 50,4 miliardi di euro dopo il picco di 74,1 nel 2022. (…) «La riqualificazione residenziale è stata l’unico comparto che negli anni della crisi ha tenuto alta l’edilizia, e verrà meno nel 2025, anche perché le famiglie hanno anticipato alcune scelte d’investimento», commenta Flavio Monosilio, direttore del centro studi dell’Ance. A rendere più cupo il quadro c’è anche il rischio-sommerso. Spiega ancora Monosilio: «Più di 20 anni fa, al debutto dei bonus casa, facemmo una valutazione sull’opzione tra lavori fatturati e in nero. La soglia di indifferenza per il committente era circa il 41% di detrazione per le opere con Iva al 20% (quella dell’epoca, Ndr) e il 36% per le opere con Iva al 10 per cento»”, continua il giornale.
ENERGIA, INVESTIMENTI SUL SETTORE A RISCHIO
“Secondo i dati di Ispra (l’Istituto per la protezione e la ricerca ambientale), pubblicati a settembre nel rapporto “Efficiency and decarbonization indicators in Italy and in the biggest european countries”, il nostro sistema energetico risulta nel complesso efficiente:dal 2005 al 2022 (ultimo anno disponibile), i numeri certificano che il fabbisogno di energia per unità di Pil prodotto nel nostro Paese si è ridotto del 23,4%, mentre le emissioni di gas serra per la stessa unità sono diminuite del 32%. In più, le emissioni sono calate in tutti i settori chiave per unità di energia consumata: 7,8% in agricoltura, 10,4% nell’industria e 22,6% nei servizi. Ispra sottolinea che, in termini di consumo interno lordo di energia da fonti rinnovabili (Fer), l’Italia è seconda solo alla Svezia tra i principali Paesi europei: la quota nazionale è pari a 19% nel 2022, mentre la media Ue è pari a 18,4%. (…) ha permesso all’Italia di registrare un’intensità energetica tra le più basse in Europa: 83,5 tonnellate equivalenti di petrolio (tep) contro 98,3 tep dei 27 Stati membri. Inoltre, gli indicatori di decarbonizzazione e di intensità energetica per settore mostrano come industria e agricoltura costituiscano un’eccellenza in Europa, mentre settori come residenziale e trasporti presentino ampi margini di miglioramento”, si legge su La Repubblica Affari & Finanza.
“Nell’industria, in particolare, la corsa agli investimenti in efficienza energetica è iniziata da tempo per far fronte ai costi dell’energia, che in Italia sono da sempre tra i più alti d’Europa. Corsa che è proseguita anche nel 2023 con un flusso di investimenti compreso tra i 2,4 e i 2,9 miliardi di euro, in crescita del 20% sul 2022 secondo i dati del Politecnico di Milano, pubblicati nel rapporto “Energy Efficiency 2024”. La quota maggiore degli investimenti industriali è relativa a soluzioni hardware (91-93%), tra cui spiccano interventi sul processo produttivo, cogenerazione (produzione congiunta di energia termica ed elettrica) e fotovoltaico. Mentre gli investimenti in soluzioni digitali ricoprono una quota di mercato compresa tra il 7% e il 9%, in linea con quanto rilevato lo scorso anno. (…) Un’analisi del Polimi sulle tendenze previste per i prossimi cinque anni evidenzia un significativo declino dell’interesse nell’investire in tecnologie come fotovoltaico, sistemi di aria compressa e interventi sui processi produttivi. Queste previsioni sono suffragate dai primi risultati poco incoraggianti del piano Transizione 5.0 (che integra il precedente piano “4.0”)”, continua il giornale.
“Per il piano Transizione 5.0, denuncia il Polimi, il problema sta nelle procedure burocratiche troppo complesse, in particolare, la doppia certificazione che le imprese devono presentare per accedere al credito d’imposta. Certificazione che deve essere sia preventiva (ex ante), cioè che attesti la riduzione dei consumi energetici conseguibili tramite i beni strumentali oggetto dell’investimento; (…) Infatti, nei primi tre mesi dall’avvio del piano sono stati prenotati crediti d’imposta per soli 99 milioni di euro, ovvero l’1,6% dei 6,23 miliardi stanziati con il Pnrr, che si aggiungono ai 6,4 miliardi già previsti dalla legge di bilancio, per un totale di circa 13 miliardi nel biennio 2024-2025”, continua il giornale.
ENERGIA: TERNA, POSTE, SNAM, GENERALI, INTESA E NEXI PRIME IN UE PER COMUNICAZIONE
Terna, Poste, Snam, Generali, Intesa e Nexi si aggiudicano lo scettro di aziende quotate più trasparenti nella comunicazione digitale in Ue, secondo la Webraking 2024-2025 di Lundquist.
“Le aziende italiane si confermano al vertice della trasparenza nella comunicazione digitale. A stabilirlo è la Webraking 2024-2025, l’indagine — giunta alla 28esima edizione — realizzata da Lundquist, in collaborazione con la società svedese Comprend, che valuta il livello di trasparenza dell’informazione societaria online delle 500 principali imprese quotate europee. Le prime quattro posizioni sono infatti occupate da aziende italiane: si tratta di Terna (95,3, il punteggio massimo è 100), Poste Italiane (94,1), Snam (93,8) ed Eni (92,7). E se si aggiunge il sesto posto di Generali (85,3), metà della top 10 è composta da società del nostro Paese. Inoltre, Mediobanca e Intesa Sanpaolo si affermano ai vertici del settore «Banks & Financial Services», mentre Amplifon guida il settore «Healthcare». Tra le società italiane che si sono migliorate di più figurano Interpump (+9,5%), Poste Italiane (+6,9%) e Nexi (+6%). L’Italia si distingue con un punteggio medio di 53,7, superiore alla media europea di 48,4, posizionandosi però «solo» terza tra i Paesi del Continente, dietro Finlandia e Svezia”, si legge su L’Economia de Il Corriere della Sera.
“(…) mostrano i risultati peggiori è quella relativa agli «Investor Relators»: le aziende infatti faticano a mettere in evidenza le informazioni più rilevanti e a offrirne una lettura completa, dalla strategia all’investment case, dall’outlook finanziario al profilo del debito. La comunicazione resta, infatti, ancorata a report e presentazioni per analisti, i cui contenuti non vengono veicolati all’interno del sito corporate: solo il 47% delle società incluse presenta un investment case, fondamentale per il mercato, mentre solo il 32% presenta obiettivi finanziari concretamente misurabili”, continua il giornale.
“L’indagine mette inoltre evidenza i grandi cambiamenti a cui sta andando incontro la comunicazione aziendale. A partire dal fattore sostenibilità. (…) «La “compliance” rischia di standardizzare la comunicazione della trasparenza — sostiene Lundquist —. Le imprese devono differenziarsi dalla concorrenza, ma per riuscirci dovranno pensare a una comunicazione strategica. In questo senso, tutti i “touchpoint” digitali possono riaffermarsi come strumenti affidabili per rispondere a un pubblico esigente».(…) «La comunicazione non dovrà più essere generica, ma dovrà spostarsi verso l’essenzialità: un Paese che sta lavorando bene in questo senso è l’Inghilterra, che non è molto in alto in classifica per la trasparenza, ma si sta focalizzando molto sulla comunicazione strategica. Un altro cambiamento, infine, deriva dal fatto che oggi i consumatori sono più consapevoli sui temi Esg, quindi le aziende non dovranno più comunicare solo le strategie, ma dimostrare che cosa stanno facendo con esempi concreti», conclude Lundquist”, continua il giornale.