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Tap

Energia ed equilibri geopolitici. L’Italia vuole starne fuori?

L’approvvigionamento energetico e le relative reti di distribuzioni tra gli stati sono in grado di spostare equilibri geopolitici. Cambiare alleanze strategiche tra nazioni, incrinare rapporti consolidati o crearne di nuovi. C’è grande dinamismo, in questo senso, soprattutto nei rapporti tra la Russia e gli stati cerniera d’Europa dell’est. Il tema energetico da sempre è utilizzato Putin in maniera strategicamente ineccepibile per gli interessi nazionali e dà una centralità imprescindibile al Cremlino in un’area orfana dell’ex Urss, che non si è mai integrata a pieno con l’Europa e non si è mai emancipata del tutto dal suo recente passato. È il caso, ad esempio, del recente riavvicinamento tra Mosca e Sofia grazie ad un accordo per la realizzazione di un passaggio in Bulgaria per il gas prodotto dal gasdotto Turkish Stream.

Di contro c’è una parte d’Europa che sembra non volere tenere conto delle opportunità e della necessità di giocare un ruolo di primo piano in questo ambito. L’Italia, ad esempio, con il nuovo Governo sembra imbroccare una strada che punta all’isolamento più che all’integrazione, alla marginalizzazione più che al protagonismo. Il caso più eclatante in ordine di tempo è quello del Tap, il gasdotto transadriatico che parte dalla Turchia per approdare in Puglia e contro il quale sono in trincea i 5 Stelle capeggiati dal vicepremier Di Maio. Motivazioni sostanziali di contrarietà? Nessuna. La questione è una mera tutela di un bacino elettorale a cui forse nessuno è riuscito finora a spiegare, con pazienza e credibilità, i vantaggi e le ricadute positive sul territorio del completamento dell’opera. Ruolo che a questo punto competerebbe all’altra metà dei componenti del Governo, ovvero i leghisti. Finora troppo timidi nel difendere il Tap, ruolo lasciato al Ministro Tria, sempre più nella scomoda posizione di schierarsi a favore delle scelte giuste, ma impopolari. Nel frattempo la credibilità del Paese su queste tematiche diventa più bassa e non c’è da meravigliarsi se su competitività, attrattività e politica estera siamo sempre più marginali.

Servono scelte coraggiose di lungo periodo: slogan elettoralistici e di basso respiro fanno male all’Italia. E agli italiani.

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