Il definitivo “no” della città di Taranto all’arrivo della nave, comunicato formalmente agli investitori, ha fatto saltare i piani. Secondo le fonti, questo stop ha reso impossibile la costruzione del polo del DRI a Taranto, facendo venire meno il fabbisogno di grandi quantità di gas e, di conseguenza, l’interesse strategico del consorzio, in cui la compagnia petrolifera statale Socar giocava un ruolo chiave.
Si restringe la rosa dei pretendenti per l’ex Ilva: restano in corsa solo il gruppo indiano Jindal Steel e il fondo statunitense Bedrock Industries dopo il passo indietro del consorzio azero guidato da Baku Steel Company. Sul tavolo del governo c’è ora la sfida di rendere appetibile un asset strategico gravato da enormi incertezze, a partire dai costi miliardari per le quote di CO₂, per i quali l’esecutivo sta lavorando a una maxi garanzia di Stato da 800 milioni – 1 miliardo di euro, cercando il via libera di Bruxelles. La notizia del ritiro degli azeri, anticipata dal Sole 24 Ore e confermata da fonti vicine al dossier all’agenzia AGI, segna una svolta cruciale nella complessa procedura di vendita di Acciaierie d’Italia. Salvo slittamenti, le offerte vincolanti degli unici due player internazionali rimasti sono attese entro il 15 settembre.
I MOTIVI DEL RITIRO AZERO: IL “NO” AL RIGASSIFICATORE E LA STRATEGIA SUL DRI
La decisione del consorzio azero di non partecipare alla nuova fase di gara è maturata dopo una serie di cambiamenti nel progetto di decarbonizzazione dello stabilimento di Taranto. Il piano iniziale degli azeri, giudicato il migliore nella prima fase di gara, si basava su una decarbonizzazione dell’80% del ciclo produttivo e sulla necessità di una nave rigassificatrice nel porto di Taranto per alimentare gli impianti di DRI (Direct Reduced Iron – preridotto di ferro).
Il definitivo “no” della città di Taranto all’arrivo della nave, comunicato formalmente agli investitori, ha fatto saltare i piani. Secondo le fonti, questo stop ha reso impossibile la costruzione del polo del DRI a Taranto, facendo venire meno il fabbisogno di grandi quantità di gas e, di conseguenza, l’interesse strategico del consorzio, in cui la compagnia petrolifera statale Socar giocava un ruolo chiave.
VERSO UNA MAXI GARANZIA DI STATO SUI COSTI DELLA CO₂
Il governo, di fronte a un quadro sempre più complesso, deve ora rassicurare i pretendenti rimasti, preoccupati soprattutto per la fine, a partire dal 2026, delle quote gratuite di certificati di emissione (ETS). Si stima un onere aggiuntivo di circa 2 miliardi di euro nei prossimi cinque anni.
Per supportare i futuri investitori, l’esecutivo sta mettendo a punto un sistema di garanzie statali, anche attraverso Sace, che potrebbe valere tra gli 800 milioni e il miliardo di euro. La chiave per ottenere il via libera della Commissione Europea potrebbe essere il CISAF, il nuovo quadro sugli aiuti di Stato per la decarbonizzazione adottato a giugno.
GARA AL RIBASSO E IL RUOLO DEI PLAYER ITALIANI
Le ambizioni iniziali di incassare un miliardo di euro dalla vendita sembrano ormai un sogno sfumato. Ora ci si attende che le offerte finali abbiano un importo “meramente simbolico o vicino allo zero”. L’unico punto fermo è l’obbligo di acquistare il magazzino, valutato tra i 400 и 500 milioni di euro.
Nel frattempo, non si escludono possibili alleanze tra i player italiani, come Marcegaglia, e i candidati internazionali, né il coinvolgimento di grandi società italiane non siderurgiche in affiancamento ai partner industriali. Le offerte possono riguardare l’intero gruppo o i singoli poli del Nord (Genova, Novi Ligure) e di Taranto.
LA STRATEGIA AZERA IN ITALIA NON SI FERMA
Il passo indietro sull’ex Ilva non segna la fine degli interessi azeri in Italia. Anzi, le risorse che erano destinate a Taranto sarebbero state dirottate su altri importanti asset. Sembra infatti in dirittura d’arrivo l’acquisizione della maggioranza di Api (gruppo IP) da parte di Socar, che consoliderebbe la presenza dello Stato dell’Azerbaigian nel settore energetico italiano, dove è già azionista del gasdotto TAP.