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“Garantire la stabilità energetica attraverso la diversificazione”. Parla Giuliano Frosini

Conversazione con il Senior Vice President Institutional Relations, Public Affairs and Media Communication di IGT Giuliano Frosini che al Meeting di Rimini ha moderato “Comunità energetiche e povertà energetica: la democratizzazione dell’energia” e “Il “dietro le quinte” della crisi energetica: quale scenario ci aspetta?”

L’energia è al centro del Meeting di Rimini. Una centralità non solo fisica, la grande agorà del piano terra dell’edificio della Fiera ospita gli spazi di Eni, tra i main partner della manifestazione, ma anche di contenuti. Due eventi, in particolare, hanno esaminato due delle numerose sfaccettature del grande tema dell’energia: le comunità energetiche e i cambiamenti dopo la “crisi energetica”.

Ne abbiamo parlato con Giuliano Frosini, Senior Vice President Institutional Relations, Public Affairs and Media Communication di IGT e moderatore di entrambi gli eventi.

Le comunità energetiche sono la strada giusta per democratizzare l’energia?

È una delle strade giuste. Le comunità energetiche rinnovabili sono un nuovo strumento offerto dalla normativa. Alla base c’è l’idea di un allargamento del campo di gioco e dell’ingresso nello scacchiere energetico anche di altri soggetti, oltre al programmatore centrale. Quindi si crea un ecosistema più vasto che converge sugli interessi dell’abbassamento dei costi, per le famiglie e le imprese ma, allo stesso tempo, prova rispondere alla richiesta di limitare l’impatto sull’ambiente.

In che relazione si pone con la necessità di seguire la strada della decarbonizzazione?

Si tratta di trovare un giusto equilibrio tra la prospettiva di continuare a decarbonizzare e l’esigenza di trovare un meccanismo di sostenibilità nella diffusione di queste infrastrutture, che per loro natura, hanno un carattere di invasività. Qualche giorno fa, per esempio, Monsignor Santoro, Vescovo emerito di Taranto, diceva che se le 25mila parrocchie italiane si dotassero di pannelli fotovoltaici o di qualche pala eolica arriveremo a contribuire per circa 5 gigawatt e mezzo. Non è poco. Se 25mila parrocchie montassero pannelli solari e pale eoliche ci sarebbero impatti sulla burocrazia, la stabilità e la programmazione. Quindi è uno strumento giusto ma va trovata una via mediana, che possa mettere insieme le varie esigenze.

Però la democratizzazione dell’energia fornisce uno scenario suggestivo.

Sicuramente. L’energia è diventato un argomento da bar, cosa che giudico molto positiva. Si parla di decarbonizzazione, di decentralizzazione e di digitalizzazione. A queste tre “D” il Meeting di Rimini vuole aggiungerne una quarta, quella della democratizzazione. Qui c’è proprio l’idea che una comunità metta insieme i propri sforzi per produrre, consumare ma soprattutto deresponsabilizzare il programmatore centrale, in modo da mixare le fonti, cercare di offrire una produzione più sostenibile, a costi più ridotti per le famiglie e per le imprese.

Come valuta le misure introdotte prima dal governo Draghi e poi dal governo Meloni per superare la dipendenza del nostro paese dal gas russo?

I risultati sono piuttosto interessanti. In poco meno di un anno abbiamo importato 31 miliardi di metri cubi, questo rende i russi il nostro quarto importatore; quindi, il mix dell’importazione è cambiato. Il tema però ha carattere più generale. Quando si parla di energia, l’impatto che essa genera su famiglie, imprese e cittadini, è dipendente dal prezzo del gas, perché la produzione di energia, ancora oggi, è legata al prezzo del gas. L’anno scorso eravamo sopra i 300 euro a megawattora, oggi siamo a 40. La prospettiva di pompare risorse nella tariffa per abbattere gli extra costi è, dunque, superata dai fatti. Va dato merito al governo Draghi perché il price cap al gas è stato un deterrente, forse più di natura psicologica: è bastato paventare che vi fosse un tetto affinché questo cominciasse a scendere. Complice anche un contesto internazionale meno grave. I provvedimenti e lo spirito di iniziativa anche di questo governo vanno in quella direzione.

Nel corso dell’evento “Il “dietro le quinte” della crisi energetica: quale scenario ci aspetta?” è emerso, tra le altre cose, che quello delle rinnovabili non sarà, e non è, un cammino senza intoppi.

Lo sviluppo delle rinnovabili presuppone alcuni vincoli: naturali, giuridici, amministrativi e tecnologici. L’energia prodotta dalle fonti intermittenti non può garantire la sicurezza energetica del nostro paese. Si può alimentare un piccolo centro, anche una grande città, con i pannelli fotovoltaici dei palazzi, però se passa una nuvola non posso fermare un ospedale. Dobbiamo trovare la modalità migliore per garantire la continuità elettrica. Si parla di storage e di batterie, che però hanno il doppio problema di essere invise ai produttori e di essere delle strumentazioni tecnologicamente ancora poco avanzate. Oggi produrre 100 megawatt di batterie equivale a coprire, dal punto di vista dell’impatto territoriale, la superficie di un campo di calcio.

A cosa si riferiscono gli altri limiti?

Altri sono legati alle tradizioni culturali del nostro paese. Se produci capacità green, poi la devi alloggiare. Si parla tanto di smart grid ma segnalo che le reti vanno costruite. Quindi vanno progettate, ma prima ancora autorizzate. E poi vanno costruite con delle risorse, risorse che chiaramente finiscono, per impattare sulla tariffa. Bisogna trovare anche qui il giusto equilibrio. Io, nella mia esperienza, non ho ancora trovato nessuna comunità che, dopo essersi lamentata dell’impatto climatico, sia poi disposta a tenersi un traliccio elettrico nel proprio comune o nella propria comunità.

Ci spiega in che modo la costruzione di queste reti impatta sulla tariffa?

Se si progettano reti per alcuni miliardi di euro, o li metti in tariffa, quindi l’utente paga la realizzazione, oppure si usano i fondi del Pnrr. Però dobbiamo ricordare che i fondi del Pnrr sono a debito mentre i fondi della tariffa sono reperiti sul mercato del credito tradizionale e sono già remunerati da una regolazione stabile, quella dell’Autorità per l’energia; quindi, l’investitore è più invogliato a stabilire delle linee di credito verso questi soggetti attuatori. Alla fine, il punto è sempre lo stesso: burocrazia, stabilità della regolazione e programmazione, questi sono i punti sui quali si può tenere traccia delle nostre esigenze principali e vedere come affrontarle.

L’anno scorso il Presidente Draghi aveva messo in relazione la pace e l’energia che, come ha sempre detto anche la Premier Meloni è un asset strategico. La stabilità geopolitica in che rapporto è con quella energetica?

È chiaro che la possibilità di disporre di fonti energetiche contribuisce a diminuire la prospettiva di contrasto. Durante la prima fase della crisi russo-ucraina il prezzo del gas è cresciuto a causa delle difficoltà con le quali hanno funzionato i principali gasdotti che collegano la Russia all’Europa. Dove c’è pace, c’è energia a prezzo più basso e c’è una prospettiva di maggiore sostenibilità. Però, purtroppo, non si può dare per scontato che non ci siano mai crisi nel mondo; quindi, ove esse si presentino dobbiamo trovare soluzioni. Penso che Draghi abbia tracciato una strada che l’attuale esecutivo ha raccolto bene. Cioè bisogna mettersi nelle condizioni di far fronte a tutte le evenienze, anche quando la mancanza di pace non dipende da noi, quando noi la subiamo. Quindi secondo me bene gli accordi con l’Algeria, bene la prospettiva di diversificare fonti. Per esempio, è molto interessante la prospettiva dell’utilizzo delle navi gasiere che, anche nell’immaginario collettivo, hanno un impatto meno pesante del rigassificatore. Sicuramente i temi delle interconnessioni transfrontaliere per gas ed elettricità sono importantissimi. I nostri TSO di gas ed elettricità, cioè Snam e Terna, hanno fatto finora un lavoro straordinario e hanno sviluppato delle reti che sono sempre più sofisticate e sempre più in grado di garantire la continuità dei nostri consumi. La sostenibilità, in mancanza di pace, va garantita con adeguate diversificazione delle fonti. In chiave elettrica le principali interconnessioni con le frontiere sono Francia, Austria, Svizzera, Algeria, alcune già realizzate altre vie di autorizzazione che ci garantiscono delle interessantissime visioni, anche del prezzo. Per esempio, l’energia nucleare francese quando non viene utilizzata dai francesi si può importare a prezzo negativo, cioè ci pagano per prendercela. Insomma, il sistema è dinamico, comunque abbastanza efficiente.

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