Quello che è certo è che a fine 2020 la produzione nazionale di petrolio e gas sarà inferiore rispetto al 2019, così come in calo saranno le royalty versate dalle compagnie alle regioni
“Se mettiamo in fila i provvedimenti presi dal governo gialloverde prima e da quello rossogiallo poi non c è troppo da stupirsi di fronte al disimpegno delle compagnie petrolifere nei confronti del mercato italiano. Eppure i numeri fanno effetto: più di duemila chilometri quadrati di aree in concessione sono state restituite allo stato, quasi due volte la superficie della città di Roma. Il calcolo viene fuori sommando le cifre contenute nei 45 decreti pubblicati sull’ultimo Bollettino ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse (Buig)”. È quanto riferisce Il Foglio evidenziando che si tratta di “undici compagnie e una pioggia di istanze per mettere un piede fuori dall’Italia”.
IL TAGLIO DELLE AREE DI CONCESSIONE
A occuparsi della vicenda era stata anche Energia Oltre: “Probabilmente ha inciso l’aumento dei canoni di concessione petrolifere: pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso dicembre, il decreto firmato dal ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli e dal titolare del Mef Roberto Gualtieri rivede ‘modalità di versamento delle maggiorazioni dei canoni annui per le concessioni di coltivazioni e stoccaggio nella terraferma, nel mare territoriale e nella piattaforma continentale italiana’. In totale il Buig dà conto di 45 decreti ministeriali di riduzioni delle aree di concessione di coltivazione di idrocarburi sia onshore, sia offshore, tutti firmati dal direttore generale del Mise Sara Romano”.
I PROVVEDIMENTI DEL GOVERNO ALL’ORIGINE DEI TAGLI
“Per spiegare questa repentina uscita di scena delle compagnie dell’oil&gas basta ricordare i provvedimenti recenti che hanno riguardato il settore. In un solo anno sono diventate legge le norme blocca trivelle, con la sospensione delle attività di ricerca e delle autorizzazioni, l’aumento dei canoni di concessione e la riduzione delle franchigie per le royalty – prosegue il quotidiano -. Un puzzle di interventi che punta a tagliare i sussidi dannosi per l’ambiente e disincentivare la produzione nazionale – pari a 5,55 miliardi di metri cubi di gas e a 4,67 miliardi di chilogrammi di petrolio (dati 2018) – senza però considerare che si tratta di risorse energetiche insostituibili, o al massimo sostituibili con gas e petrolio prodotti altrove. Nel frattempo, gli impatti fiscali e occupazionali di queste scelte politiche non sono mai stati quantificati”, ammette il Foglio.
MENO ENTRATE PER LO STATO
“Quello che è certo è che a fine 2020 la produzione nazionale di idrocarburi sarà inferiore rispetto al 2019, così come in calo saranno le royalty versate dalle compagnie alle regioni. In base ai dati contenuti nell ultimo Buig, si può calcolare che Emilia-Romagna e Marche hanno perso rispettivamente 580 e 407 chilometri quadrati di concessioni a terra su un totale di 5.379 e 1.339. La Basilicata 348 su 5.241 e la Puglia 265 su 677. Va peggio al Molise, dove le concessioni sulla terraferma si sono quasi dimezzate. A questo si aggiungono gli introiti che lo stato si attende per l’aumento dei canoni, 15 milioni di euro all’anno sulla base delle concessioni attive prima che le compagnie iniziassero a dare forfait, che dovranno adesso essere ricalcolati. L’intenzione era quella di usare queste risorse per pagare, almeno in parte, i ricorsi delle imprese a cui il governo ha sospeso le attività con il decreto Semplificazioni. A questo punto la spesa dello Stato non potrà che essere maggiore di quella prevista”, ha concluso Il Foglio.