Attraverso lo Stretto di Hormuz, lungo la costa meridionale del Paese, transitano tra i 18 e i 21 milioni di barili al giorno di petrolio e prodotti petroliferi, e vi è una forte preoccupazione che le ostilità possano interrompere i flussi commerciali
I prezzi del petrolio oggi sono saliti, dopo che questa notte Israele e Iran hanno continuato a scambiarsi attacchi missilistici e la posizione sul conflitto del presidente degli Stati Uniti Donald Trump sta tenendo gli investitori con il fiato sospeso.
L’AUMENTO DEI PREZZI DEL PETROLIO
Come spiega Reuters, i future sul Brent alle 09:13 GMT di oggi sono saliti di 36 centesimi (+0,5%), a 77,06 dollari al barile. Il greggio West Texas Intermediate statunitense di luglio è salito di 54 centesimi (+0,7%), a 75,68 dollari. Il 13 giugno, quando Israele ha lanciato i primi attacchi, il Brent aveva raggiunto il massimo degli ultimi cinque mesi a 78,50 dollari.
UNA SETTIMANA DI GUERRA TRA ISRAELE E IRAN
Il conflitto oggi è entrato nel suo settimo giorno, dopo che Israele ha colpito un importante sito nucleare iraniano e i missili iraniani hanno colpito un ospedale israeliano. Secondo alcuni analisti c’è ancora un sano premio di rischio incorporato nel prezzo, mentre i trader aspettano di vedere se la prossima fase del conflitto Israele-Iran sarà un attacco degli Stati Uniti o colloqui di pace.
Ieri Goldman Sachs ha affermato che un premio di rischio geopolitico di circa 10 dollari al barile è giustificato, data la minore offerta iraniana e il rischio di una più ampia interruzione che potrebbe spingere il Brent sopra i 90 dollari. Sempre ieri il presidente americano Donald Trump ha dichiarato che non ha ancora deciso se gli Stati Uniti si uniranno ad Israele negli attacchi all’Iran.
LA REZIONE DEI MERCATI AL CONFLITTO ISRAELE-IRAN
“Il rischio di una grave interruzione del sistema energetico aumenterà, se l’Iran si sentirà minacciato esistenzialmente e l’ingresso degli USA nel conflitto potrebbe innescare attacchi diretti alle petroliere e alle infrastrutture energetiche”, ha affermato l’analista di RBC Capital Helima Croft.
L’Iran è il terzo produttore tra i membri OPEC, con un’estrazione di circa 3,3 milioni di barili al giorno di petrolio. Attraverso lo Stretto di Hormuz, lungo la costa meridionale del Paese, transitano tra i 18 e i 21 milioni di barili al giorno di petrolio e prodotti petroliferi, e vi è una forte preoccupazione che le ostilità possano interrompere i flussi commerciali.
Separatamente, ieri la Federal Reserve statunitense ha mantenuto invariati i tassi di interesse, ma ha previsto due tagli entro la fine dell’anno. Tassi di interesse più bassi potrebbero stimolare l’economia, contribuendo a sostenere la domanda di petrolio. Per quanto riguarda l’offerta, ieri l’Energy Information Administration ha dichiarato che “le scorte di petrolio statunitensi la scorsa settimana sono diminuite drasticamente, registrando il calo maggiore in un anno”.
LA STRATEGIA DELL’IRAN E LE CONSEGUENZE SULL’EUROPA E L’ITALIA
L’Iran, consapevole che un blocco dello Stretto di Hormuz danneggerebbe anche le sue esportazioni (principalmente dirette alla Cina, che assorbe oltre il 95% del greggio iraniano esportato), sembra restio ad intraprendere questa strada. Inoltre, la presenza della Quinta Flotta statunitense nel Golfo Persico rappresenta un deterrente significativo contro azioni drastiche da parte di Teheran.
Per l’Italia, che dipende fortemente dalle importazioni di energia, la situazione attuale sottolinea l’importanza di mantenere le riserve piene. Un’eventuale escalation, soprattutto se coinvolgesse gli Stati Uniti o altri attori, potrebbe interrompere le forniture attraverso lo Stretto di Hormuz, con ripercussioni immediate sui prezzi di benzina, gasolio e gas. E anche l’Europa, che con lo stop alle forniture russe via gasdotto è diventata più dipendente dalle importazioni di GNL, sarebbe particolarmente vulnerabile ad un’impennata dei costi energetici.