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Ilva, entro mezzanotte le manifestazioni d’interesse. Ultima chiamata per la salvezza

A mezzanotte scadono i tempi per presentare eventuali manifestazioni d’interesse per l’ex Ilva. Un’ultima occasione per salvare il colosso siderurgico

Entro la mezzanotte di oggi i commissari dell’Ilva hanno chiesto ai due soggetti che hanno presentato manifestazioni di interesse di concretizzarli in un piano industriale e una proposta vincolante. Sarebbero quattro i player interessati: i fondi americani Bedrock e Flacks Group, oltre a due altre realtà extracomunitarie rimaste per ora anonime. Se i tempi dovessero allungarsi, i commissari potrebbero venire affiancati da un gestore italiano.

SITUAZIONE GRAVE

In audizione ieri al Senato, Antonio Gozzi, presidente di FederAcciai ha sottolineato le difficoltà dei possibili investitori ad avvicinarsi a una fabbrica gravata da inchieste e sequestri giudiziari. «Le perdite oscillano fra gli 80 e i 100 milioni al mese perché si produce un milione e mezzo di tonnellate sostenendo i costi fissi di uno stabilimento che ne può produrre 10 milioni» ha ribadito. Secondo quanto riporta Repubblica i sindacati, Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm continuano a chiedere l’impegno diretto dello Stato, almeno nella fase di decarbonizzazione. Richiesta ribadita ieri in un documento del consiglio di fabbrica a Taranto, sottoscritto da Regione Puglia e Comune. «Il documento ribadisce la necessità di realizzare tre forni elettrici e quattro impianti Dri» hanno spiegano Loris Scarpa (coordinatore nazionale siderurgia Fiom Cgil) e Francesco Brigati (segretario generale Fiom Cgil Taranto).

LE POSSIBILI OFFERTE

A settembre erano 10 le offerte presentate. Ma solo due, quelle di Bedrock e della cordata Flacks Group–Steel Business Europe, riguardavano l’intero perimetro industriale. Diversi operatori italiani si erano detti interessati solo agli stabilimenti del Nord (Genova, Novi Ligure, Racconigi). Bedrock Industries è specializzato in grandi complessi siderurgici in crisi: nel suo portafoglio c’è anche la canadese Stelco, rilevata dopo la bancarotta e rilanciata attraverso una forte ristrutturazione. Flacks Group, anch’essa statunitense, si presenta in cordata con Steel Business Europe, società slovacca del settore. Il fondo ha già effettuato sopralluoghi a Taranto con una propria delegazione tecnica, segno di un interesse concreto.

DECRETO 1 DICEMBRE

Il decreto legge del 1° dicembre dell’esecutivo introduce misure urgenti con l’obiettivo di garantire continuità operativa degli stabilimenti e sostenere l’amministrazione straordinaria in questa fase di transizione. Il testo è all’esame della Commissione Industria del Senato. Prevede la possibilità di utilizzare le risorse residue del finanziamento ponte e introduce strumenti per sostenere investimenti come la riattivazione del secondo altoforno e la manutenzione del quarto. Il rischio è che il quadro normativo venga percepito dagli investitori come instabile a garantire le condizioni di lungo periodo necessarie a Taranto.

L’INCAPACITA’ POLITICA

Sull’Ilva si è arrivati a parlare apertamente di spezzatino: Taranto separata da Genova, impianti regalati a fondi internazionali estranei alla siderurgia e una fortissima competizione cinese e indiana. La sindaca di Genova Silvia Salis ha espresso disaccordo: «Il tema dello spezzatino indebolisce tutto il gruppo. È una filiera che va tenuta insieme». Il ministro delle imprese e del made in Italy Adolfo Urso, come riporta Il Foglio, è stato incapace di governare politicamente il conflitto tra la città e la magistratura che volevano semplicemente chiudere la fabbrica e l’esigenza industriale che avrebbe richiesto scelte nette, investimenti e protezione strategica. Il ministro ha mandato via l’investitore internazionale che c’era ed è caduto nelle mani di chi Ilva la vuole chiudere.

NAZIONALIZZAZIONE ANTICAMERA DELLA CHIUSURA

L’ipotesi della nazionalizzazione viene evocata come ultima spiaggia, ma paradossalmente l’Ilva dopo l’uscita di ArcelorMittal è già 100 per cento dello stato. Questa possibilità rischia di diventare l’anticamera della riduzione e poi della chiusura. L’unica speranza sono i forni elettrici, sapendo che con quella tecnologia a regime l’occupazione deve ridursi del 40 per cento e che i principali concorrenti sono altre aziende private italiane, come hanno scritto Firpo e l’ex commissario Lupo sul Foglio.

SINDACATI IN SCIOPERO

Da 15 giorni i lavoratori dell’ex Ilva sono mobilitati con scioperi in tutti gli stabilimenti «l’obiettivo è far ritirare al governo il cosiddetto piano corto, che per noi è un piano di chiusura, e avere una discussione con Meloni sul futuro dello gruppo», ha dichiarato Loris Scarpa della Fiom. Il governo ha messo 108 milioni di euro nelle mani di Acciaierie d’Italia. «Saranno appena sufficienti a far fronte ai costi di gestione ordinaria e per evitare lo spegnimento, visto che il gruppo perderebbe fino a 60 milioni di euro al mese» ha spiegato Guglielmo Gambardella, della Uilm. Come riporta Il manifesto anche l’Associazione indotto e general industries (Aigi) ha chiesto all’esecutivo un intervento risolutivo: «serve che lo Stato faccia lo Stato e metta in atto tutte le azioni necessarie perché una materia così complessa e strategica per l’economia italiana non può essere risolta demandandola all’imbarazzo».

PROSSIMI PASSI

Nei prossimi giorni i commissari dovranno valutare le proposte degli investitori Bedrock e Flacks Group–Steel Business Europe, verificandone la credibilità dei piani industriali: la capacità produttiva, i tempi e le modalità della decarbonizzazione, le garanzie occupazionali, sicurezza e ambiente. Si potrebbe aprire una trattativa più serrata, anche alla luce degli emendamenti del Parlamento e del governo al decreto. Non è escluso che in futuro possano affacciarsi altri soggetti interessati a singoli asset.

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