Continuano gli attacchi di Israele a siti nucleari e petroliferi. L’Italia e il resto dell’UE osservano con crescente preoccupazione le conseguenze di un’escalation che rischia di travolgere equilibri già fragili
Nelle ultime 72 ore l’operazione militare israeliana “Rising Lion” ha colpito con una serie di raid aerei numerosi siti nucleari strategici, impianti energetici e giacimenti di gas. L’obiettivo di Tel Aviv è fermare il programma nucleare iraniano, ritenuto ormai a un passo dal “punto di non ritorno” per la produzione di armi atomiche. La crisi rischia di avere un effetto domino sull’economia globale e sulla sicurezza europea. In particolare, i mercati temono eventuali rappresaglie dell’Iran nello stretto di Hormuz, snodo cruciale per il traffico di gas e petrolio. L’Italia e il resto dell’UE osservano con crescente preoccupazione le conseguenze di un’escalation che rischia di travolgere equilibri già fragili.
NUCLEARE E OIL&GAS SOTTO ATTACCO
Questa notte i caccia israeliani hanno colpito il centro di arricchimento dell’uranio di Fordow. Ma è solo l’ultimo dei siti nucleari colpiti da Israele. Nella lista troviamo anche Natanz, Isfahan e il reattore sperimentale di Arak.I danni agli impianti di Esfahan e Natanz sarebbero gravi e richiederanno settimane per essere riparati. Inoltre, sono stati uccisi almeno nove scienziati nucleari di rilievo, secondo fonti israeliane. Teheran, tuttavia, minimizza l’entità dei danni, sostenendo che le strutture chiave siano ancora operative e che molte attrezzature siano state spostate in anticipo.
Non solo nucleare: anche il settore energetico è stato colpito. Il Ministero del Petrolio iraniano ha confermato un attacco a un impianto petrolifero nell’area di Shahran, a Teheran, dove è divampato un vasto incendio. Anche il grande giacimento di gas di South Pars ha subito danni, con conseguenze che potrebbero essere importanti per la disponibilità di gas. Le infrastrutture come le raffinerie di Abadan e Isfahan e i terminal di esportazione di Jas e Karg restano vulnerabili. Un attacco diretto a questi snodi potrebbe provocare una crisi energetica globale, facendo impennare i prezzi di petrolio e gas.
I RISCHI PER ITALIA E UE
La tensione è alle stelle, con il rischio concreto di una guerra regionale su larga scala che coinvolga anche Stati Uniti, Arabia Saudita ed Emirati ArabI. Le ripercussioni per l’Italia e l’Europa sono già tangibili. Il prezzo del petrolio è schizzato a 73,48 dollari al barile (+8%), mentre l’oro ha superato i 3.420 dollari l’oncia, segnalando la fuga degli investitori verso beni rifugio. L’Italia, fortemente dipendente dalle importazioni di gas e petrolio dal Medio Oriente, rischia di pagare il prezzo più alto in termini di caro-energia, con effetti a cascata su famiglie e imprese.
Più di tutto i mercati temono attacchi iraniani nello stretto di Hormuz, che potrebbero avere effetti più devastanti dell’eventuale coinvolgimento degli impianti petroliferi iraniani, il cui export è soprattutto diretto in Cina e interessato dalle sanzioni contro il regime. Infatti, attraverso il canale passa tutto il petrolio e il GNL diretti dal Golfo Persico agli importatori nel mondo. L’eventuale chiusura dello Stretto di Hormuz, da cui transita circa un quarto del greggio mondiale, rappresenterebbe uno scenario da incubo per i mercati e la sicurezza energetica italiana.
Inoltre, non si esclude il rischio di attacchi cyber o sabotaggi alle infrastrutture energetiche e logistiche europee, né quello di azioni terroristiche indirette, come già avvenuto in passato in periodi di forte tensione tra Iran e Occidente.