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Mar Rosso

La crisi nel Mar Rosso ora minaccia anche le auto elettriche. Ecco perché

Le navi che transitano nel Mar Rosso rischiano ancora di cadere preda dei ribelli Houthi. Ora la crisi minaccia anche le auto elettriche. Ecco perché

La crisi del Mar Rosso non si spegne e minaccia le auto elettriche. Gli attacchi dei ribelli Houthi alle navi container continuano e si iniziano a vedere le prime conseguenze sul settore automobilistico europeo, in particolare sulle vetture a batteria. Cosa rischiano consumatori e case produttrici?

MAR ROSSO, LE FABBRICHE SI FERMANO

Volvo e Tesla hanno interrotto la produzione dei loro veicoli elettrici in Europa. Il problema principale è la carenza di componenti, dovuta a diverse ragioni. In primo luogo, le imbarcazioni sono costrette a compiere un viaggio più lungo per evitare gli assalti dei ribelli.

Una situazione aggravata dal fatto che le fabbriche cinesi hanno il monopolio su molti componenti delle automobili elettriche, incluse le batterie al litio. Una delle rotte alternative porta all’Africa, ma comporta 3.000 miglia in più di navigazione e 2.700 tonnellate di CO2 aggiuntive emesse, secondo le stime di Peter Sand, analista del trasporto marittimo presso la piattaforma di analisi del trasporto marittimo e aereo Xeneta.

LE VETTURE NON SI SALVANO

Gli elementi citati rendono le importazioni di componenti in Europa sempre più costose e complicate. Il risultato finale è un paradosso: il blocco alla produzione di vetture elettriche nel momento in cui la domanda e le vendite sono in aumento. Un circostanza che rischia di influire negativamente sul mercato e ostacolare la transizione.

La crisi del Mar Rosso ha conseguenze anche sulle automobili prodotte in Cina e destinate alla vendita sul mercato europeo. Geely, che realizza veicoli Volvo nel Paese asiatico, ha già avvertito dei ritardi i consumatori europei che aspettano le nuove auto nel 2024.

MAR ROSSO, LE ALTRE CONSEGUENZE DELLA CRISI

Le conseguenze della crisi del Mar Rosso non si fermano però qui. Le fabbriche mono-prodotto come alcune Gigafactory di Tesla non possono fare altro che ridurre al minimo le linee di produzione. Una cattiva notizia per i lavoratori ad ore, che devono rimanere a casa, mentre i dipendenti dovranno svolgere anche altri ruoli.

Attualmente la fabbrica tedesca di Tesla produce circa 4.000 unità a settimana, secondo quanto riporta The Driven. Se consideriamo che i ricavi su ogni automobile ammontano a circa 8.000 dollari, una riduzione della produzione potrebbe portare a una perdita di 64 milioni di dollari di profitti.

COME RENDERE LA SUPPLY-CHAIN PIÙ RESILIENTE?

Le moderne catene di fornitura globali sono pianificate al dettaglio, ma geopolitica, pandemia ed altri eventi esterni possono incidere fortemente. Generalmente, lo spostamento di merci nelle fabbriche (e lontano da esse per i clienti) è fortemente trainato dalla domanda. Le stime prevedono che questa possa crescere sempre più nei prossimi anni, superando quota 27 miliardi di dollari (21,3 miliardi di sterline). Gestire le aspettative e rassicurare gli acquirenti contribuirà così ad appianare eventuali problemi con la fornitura.

Dirottare le navi per salvaguardare le merci, invece, è uno stratagemma che aumenta la resilienza delle catene di approvvigionamento, ma servono anche misure a lungo termine. Tesla e altre case automobilistiche, ad esempio, stanno cercando di ovviare al problema avvicinando il loro prodotto al consumatore costruendo stabilimenti in ogni area geografica in cui vengono venduti. Compito non semplice, poiché serviranno molti investimenti in competenze e fabbriche per rendersi indipendenti dalla Cina.

IL PRECEDENTE

Non è la prima volta che il Canale di Suez è chiuso temporaneamente al traffico marittimo. Infatti, nel 2021 la portacontainer Ever Given si è arenata bloccando la rotta più rapida che collega l’Estremo oriente e l’Europa per quasi una settimana. Un problema che ha impedito alle merci di passare attraverso il canale, facendo aumentare i prezzi del trasporto dei container.

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