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Petrolio offshore

La Guyana cambia presidente. Che ne sarà del petrolio?

Il mandato di Ali durerà cinque anni. Il 2025 è anche l’anno in cui la compagnia statunitense ExxonMobil conta di raggiungere un output di 750mila barili al giorno di petrolio dal blocco offshore di Stabroe

Dopo un riconteggio dei voti durato mesi, la vittoria alle elezioni presidenziali del 2 marzo in Guyana è stata infine assegnata all’opposizione. Irfaan Ali del Partito Progressista Popolare ha prestato giuramento come presidente domenica scorsa.

Sarà lui, quindi, a dover gestire le nuove entrate petrolifere che – questa è la speranza – rivoluzioneranno l’economia della Guyana, uno dei paesi più poveri dell’America del sud ma che quest’anno, a fronte di una contrazione del PIL regionale del 4,6 per cento, dovrebbe crescere del 51,7.

LE TENSIONI POLITICHE E SOCIALI

Le tensioni politiche non sono però finite. L’ex-presidente David Granger – che aveva rivendicato la vittoria alle elezioni, salvo poi venire costretto ad accettare il riconteggio tra sospetti di frode – contesta infatti il risultato, che lo vede sconfitto per un margine del 3 per cento circa (150mila voti).

Lo scontro politico rischia di diventare anche sociale, dato che la politica guyanese riprende le divisioni etniche: la popolazione di discendenza africana sostiene cioè Granger, mentre quella di discendenza indiana appoggia Ali. Entrambe le parti temono, in caso di vittoria del partito avversario, di venire escluse dalla redistribuzione delle ricchezze petrolifere.

LA QUESTIONE PETROLIFERA

La cerimonia di inaugurazione dell’amministrazione Ali si terrà sabato 8. L’attenzione dell’industria petrolifera si concentra tutta su un preciso ministero, quello delle Risorse naturali, che al momento non è noto da chi sarà guidato.

Il mandato di Ali durerà cinque anni. Il 2025 è anche l’anno in cui la compagnia statunitense ExxonMobil conta di raggiungere un output di 750mila barili al giorno dal blocco offshore di Stabroek, dove la produzione è stata avviata nel dicembre scorso.

L’output nel campo Liza è attualmente di 100mila barili al giorno; nel mese di agosto dovrebbe salire a 120mila. La “fase 2” di Liza dovrebbe aggiungere altri 220mila barili al giorno per il 2022, e altrettanti la “fase 3”.

Nonostante le incertezze sul futuro dei combustibili fossili, il petrolio potrebbe comunque stravolgere l’economia della Guyana, che ad oggi si basa sulla coltivazione di riso e zucchero e sull’estrazione di bauxite.

Nel blocco Stabroek – dove opera ExxonMobil, assieme ai suoi partner Hess Corporation e China National Offshore Oil Corporation (CNOOC) – sono state trovate riserve recuperabili di greggio per 8 miliardi di barili equivalenti. Qualora venissero provate, le riserve guyanese sarebbero più grandi di quelle di Messico e Colombia, scrive il CSIS.

Lo sviluppo delle risorse petrolifere della Guyana, temono le aziende coinvolte, potrebbe però venire rallentato dalla nuova amministrazione. Il Partito Progressista Popolare aveva infatti criticato il contratto firmato dal governo Granger con ExxonMobil – che prevede un tasso di royalty al 2 per cento e una divisione dei profitti al 50 per cento –, giudicandolo troppo generoso e svantaggioso per il paese. Ma Irfaan Ali ha adottato toni più concilianti nei confronti della compagnia e smesso di pretendere la rinegoziazione dei termini dell’accordo.

Il governo Ali sarà insomma chiamato ad amministrare i proventi del petrolio. Un compito non facile per la Guyana, a cui mancano del tutto le competenze settoriali.

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