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Ue Cina clima

Le relazioni tra Unione europea e Cina sul clima in vista della COP30

Cina e Ue rappresentano i due maggiori mercati mondiali di tecnologie pulite e sono attori influenti nella definizione degli standard globali per i mercati del carbonio, il monitoraggio delle emissioni e la finanza sostenibile

La Conferenza dell’ONU sui cambiamenti climatici (COP30) in programma il mese prossimo a Belem, in Brasile, si terrà in un momento in cui l’architettura dell’Accordo di Parigi è saldamente definita, ma le politiche per attuarla sono incerte.

LA POSIZIONE DEGLI STATI UNITI SUL CAMBIAMENTO CLIMATICO

Gli Stati Uniti si sono ritirati dall’Accordo di Parigi per la seconda volta e hanno rinnovato il loro impegno sui combustibili fossili. L’effetto diretto sulle emissioni potrebbe essere modesto, ma lo shock di credibilità è sistemico: se gli Stati Uniti possono tirarsi indietro due volte, perché altri dovrebbero spingersi oltre gli impegni minimi?

Inoltre, il taglio o l’abbandono da parte degli Stati Uniti di programmi di diretta rilevanza per la cooperazione globale sul clima, tra cui il taglio degli aiuti climatici dell’USAID e la cessazione del sostegno al Fondo Verde per il Clima, minaccia l’integrità strutturale dei finanziamenti globali per il clima e mina la fiducia nell’azione multilaterale per il clima.

UNIONE EUROPEA E CINA LEADER SUL CLIMA

Il presidente americano Donald Trump ha liquidato il cambiamento climatico come “la più grande truffa di sempre” e ha lasciato l’Unione europea e la Cina leader mondiali in materia di cambiamento climatico, eppure i loro contributi determinati a livello nazionale (NDC) – ovvero gli impegni di riduzione delle emissioni – finora non sono stati all’altezza della leadership. La Cina si è impegnata a ridurre le proprie emissioni del 7-10% rispetto ai livelli massimi entro il 2035, il suo primo obiettivo di riduzione assoluta.

Pur essendo simbolicamente importante, l’impegno è stato criticato come insufficiente, rappresentando solo una frazione di quanto necessario per mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi Celsius rispetto ai livelli preindustriali. Ancor più preoccupante è il fatto che l’UE non sia riuscita a concordare il suo NDC e abbia annunciato solo una dichiarazione d’intenti che delinea un intervallo di riduzione delle emissioni dal 66,25% al ​​72,5% entro il 2035, riflettendo una profonda divisione interna. L’ambiguità è stata condannata perché confonde gli investitori e indebolisce la credibilità dell’Ue come leader.

IL MULTILATERALISMO SUL CLIMA

Questa erosione di credibilità – scrivono gli analisti del think tank Bruegel – ha messo sia l’Unione europea che la Cina sotto pressione per dimostrare che il multilateralismo sul clima può ancora produrre risultati. Nessuno dei due può guidare da solo, ma insieme possono stabilizzare le aspettative e sostenere il progresso in un sistema frammentato.

La Cina è sia il maggiore emettitore al mondo che il maggiore produttore di tecnologie pulite: un “custode del clima” con un duplice ruolo che può plasmare i risultati climatici globali. L’Ue resta indispensabile, ma non può guidare da sola. Come nel 2017, il ritiro degli USA dall’accordo di Parigi apre un nuovo spazio diplomatico per la cooperazione Ue-Cina, sebbene con vincoli geopolitici ed economici più stretti.

Per l’Ue, il compito non è quello di aggirare le altre grandi potenze, ma di perseguire una nuova strategia di realpolitik climatica adatta a un ordine internazionale frammentato: mantenere un potere normativo forte in patria, impegnarsi in una cooperazione selettiva con la Cina all’estero e costruire coalizioni multilaterali per aumentare l’ambizione globale.

LA CINA PUÒ ESSERE UN LEADER PER IL CLIMA?

Dalla firma dell’Accordo di Parigi nel 2015, la Cina è responsabile di oltre il 60% dell’aumento delle emissioni globali di CO2, mentre le emissioni di Stati Uniti e Ue sono diminuite. La Cina ora produce oltre il 30% del totale annuo delle emissioni globali, più di tutti i Paesi sviluppati messi insieme.

Tuttavia, i cambiamenti strutturali nell’economia e nel mix energetico della Cina suggeriscono un possibile punto di svolta. La crescita delle emissioni è diminuita drasticamente, da circa il 9% annuo negli anni 2000 allo 0,7% annuo nel 2024. Nel primo trimestre 2025, le emissioni della Cina potrebbero persino aver iniziato a diminuire, trainate da un’impennata nella diffusione delle energie rinnovabili e dal rallentamento dell’attività industriale.

LA CAPACITÀ DI ENERGIA RINNOVABILE DELLA CINA

A maggio 2025 la Cina ha installato 93 GW di capacità solare, quattro volte di più rispetto allo stesso periodo del 2024 e più di qualsiasi altro Paese installato nell’intero anno precedente. Questi progressi sono stati accelerati da un ultimo sforzo per raggiungere gli obiettivi provinciali previsti dal 14° Piano Quinquennale. Pertanto, sebbene sia prevista una certa decelerazione a causa dei colli di bottiglia della rete e dei limiti di disponibilità di terreni, la direzione del percorso sembra chiara.

Parallelamente, tuttavia, il carbone svolge ancora un ruolo dominante nel mix elettrico cinese. Questa espansione simultanea di energie rinnovabili e carbone riflette un approccio politico deliberato, in cui le misure climatiche sono esplicitamente progettate per coordinarsi con lo sviluppo economico e la stabilità sociale.

Le crescenti pressioni economiche interne, dalla riduzione della domanda interna al rallentamento della crescita del PIL, rafforzano questa dinamica, spingendo Pechino a considerare le tecnologie pulite e la sicurezza energetica non solo come soluzioni climatiche, ma come risposte strategiche alle vulnerabilità economiche che mantengono la competitività industriale.

I POSSIBILI SCENARI DI COOPERAZIONE TRA UNIONE EUROPEA E CINA

Dal punto di vista dell’Unione europea, la Cina è allo stesso tempo un partner, un concorrente e un rivale sistemico. Cina e Ue rappresentano i due maggiori mercati mondiali di tecnologie pulite e sono attori influenti nella definizione degli standard globali per i mercati del carbonio, il monitoraggio delle emissioni e la finanza sostenibile. La sfida è gestire la rivalità garantendo al contempo la convergenza su risultati reciprocamente vantaggiosi.

Data la generale sfiducia da entrambe le parti, la cooperazione deve procedere attraverso canali pragmatici e specifici, che allineino gli incentivi economici piuttosto che basarsi su ampie dichiarazioni politiche. L’ostacolo più immediato alla cooperazione climatica Ue-Cina è la collisione tra commercio e politica climatica. Le tensioni commerciali, come i dazi europei sui veicoli elettrici cinesi o il rafforzamento delle restrizioni all’esportazione di materiali cruciali per le batterie da parte di Pechino, si riversano sempre più sulla diplomazia climatica. Come affermò l’ambasciatore cinese presso l’Unione europea prima della COP28, “la cooperazione climatica non avviene nel vuoto”, mettendo in guardia dall’aspettarsi una collaborazione incondizionata nel contesto di più ampi attriti diplomatici.

LA COOPERAZIONE SU QUESTIONI SPECIFICHE

Oltre a gestire le tensioni, l’Ue e la Cina possono costruire la fiducia attraverso una cooperazione mirata e orientata ai risultati in aree in cui i loro interessi economici coincidono. Piattaforme esistenti come il Ministerial on Climate Action (MoCA) – un forum co-fondato nel 2017 da Ue, Cina e Canada per sostenere lo slancio politico sull’Accordo di Parigi – e il Dialogo ad alto livello sull’ambiente e il clima (HECD) – istituito nel 2020 e copresieduto dal Commissario europeo per il clima e dall’inviato cinese per il clima – forniscono già l’infrastruttura istituzionale necessaria.

Ad esempio, il sostegno dell’Unione europea al sistema nazionale di scambio di quote di emissione (ETS) della Cina, in corso dal 2014, ha contribuito a migliorare gli standard di monitoraggio e verifica. Con l’espansione della copertura dell’ETS da parte della Cina, che nel 2025 includerà anche cemento e acciaio, l’Ue dovrebbe incoraggiare la convergenza tecnica con le pratiche dell’ETS europeo, anche per facilitare la futura conformità al CBAM.

Anche la riduzione del metano dovrebbe essere una priorità bilaterale. Considerando che la Cina non fa parte del Global Methane Pledge e che il metano è responsabile di circa il 14% delle emissioni di gas serra cinesi, iniziative coordinate nell’estrazione del carbone, nell’agricoltura e nella gestione dei rifiuti potrebbero generare delle rapide riduzioni delle emissioni in settori in cui la tecnologia e le competenze sono facilmente trasferibili.

UTILIZZARE L’ADATTAMENTO PER LA COOPERAZIONE CON I PAESI TERZI

Infine, la cooperazione può estendersi ai Paesi terzi attraverso il promettente (ma sottoutilizzato) ambito dell’adattamento agli impatti dei cambiamenti climatici. Sia l’Unione europea che la Cina sono fornitori attivi di supporto all’adattamento: l’Ue attraverso i suoi programmi di sviluppo e fondi multilaterali, la Cina attraverso la cooperazione Sud-Sud nell’ambito della Belt and Road Initiative.

L’opportunità risiede nell’allineare questi sforzi. Le iniziative congiunte potrebbero includere il cofinanziamento di sistemi di allerta precoce nelle regioni vulnerabili al clima, la condivisione di competenze in materia di agricoltura resiliente al clima e gestione delle risorse idriche e il coordinamento nei framework multilaterali di adattamento per evitare duplicazioni e massimizzare l’efficacia.

CONCLUSIONI

La Cina non sarà l’alleato dell’Europa per il clima, ma rimarrà una controparte necessaria. L’Ue dovrebbe impegnarsi per garantire che la rivalità produca ancora convergenza su risultati condivisi. Ciò richiede la gestione delle tensioni commerciali e climatiche per preservare lo spazio diplomatico, promuovendo una cooperazione selettiva, laddove gli interessi economici si allineano e approfondendo la convergenza tecnica in settori come i mercati del carbonio e la finanza verde.

Estendere questa cooperazione all’adattamento e al coinvolgimento dei Paesi terzi dimostrerebbe una responsabilità condivisa, in un momento di frammentazione geopolitica. La COP30 metterà alla prova la capacità dell’Europa di trasformare la rivalità gestita con la Cina in un progresso, oppure se prevarrà la paralisi, nel momento più costoso possibile.

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