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Hormuz

Lo Stretto di Hormuz vale oltre 2 milioni di barili di petrolio al giorno

In totale, circa 21 milioni di barili passano ogni giorno attraverso lo Stretto di Hormuz. Anche se l’OPEC ha deciso di aumentare ulteriormente la produzione, non esistono alternative in grado di compensare un’eventuale chiusura dello Stretto per l’approvvigionamento del mercato mondiale, che consuma 110 milioni di barili al giorno

Attraverso lo Stretto di Hormuz, un corridoio marittimo di 33 chilometri tra Iran e Oman, transita tutto il petrolio e il gas della regione. Passa da qui tra il 20% e il 30% della produzione mondiale di greggio. Ogni giorno, più di cento navi cisterna attraversano lo Stretto per trasportare petrolio e GNL da Iran, Iraq, Kuwait, Qatar, Emirati Arabi Uniti e, in parte, Arabia Saudita.

Dopo gli attacchi statunitensi contro le sue installazioni nucleari, il 22 giugno scorso, in ritorsione Teheran ha minacciato il blocco strategico di questo lembo di mare, uno dei punti più sensibili del pianeta, che avrebbe enormi conseguenze a livello mondiale, con interruzioni nell’approvvigionamento globale del petrolio (alla fine, il 25, il Consiglio supremo di sicurezza nazionale iraniano, a cui spetta la decisione finale, non ha varato la proposta del Parlamento di sospendere la navigazione nello Stretto, ndr). Lo riporta il Fatto Quotidiano.

LE FORNITURE DI PETROLIO DELL’IRAN

L’Iran fornisce oltre 2 milioni di barili di petrolio al giorno al mercato mondiale. In totale, circa 21 milioni di barili passano ogni giorno attraverso lo Stretto di Hormuz. Anche se l’OPEC ha deciso di aumentare ulteriormente la produzione del petrolio, anche se il mercato petrolifero è stato moderatamente sovraccarico negli ultimi mesi e se una parte della produzione dell’Arabia Saudita può essere trasportata lungo altre rotte marittime, non esistono alternative in grado di compensare un’eventuale chiusura dello Stretto di Hormuz per l’approvvigionamento del mercato mondiale, che consuma 110 milioni di barili al giorno.

LO STRETTO DI HORMUZ E I PREZZI DEL PETROLIO

Non appena l’Iran ha ventilato il rischio di chiusura, i prezzi del petrolio, che erano già cresciuti del 14% in una settimana, sono ulteriormente saliti. All’apertura dei mercati, lunedì 23 giugno, dopo il panico iniziale, è poi progressivamente tornata la calma e le quotazioni Brent e WTI, i due principali benchmark del mercato petrolifero, si sono stabilizzate rispettivamente a circa 77 e 74 dollari al barile. Un livello equivalente a quello raggiunto nello stesso periodo del 2024. Secondo gli analisti di JP Morgan e Goldman Sachs, il peggiore degli scenari possibili, in caso di una nuova escalation del conflitto in Medio Oriente, sarebbe quello di un barile di petrolio a 120 o 150 dollari, che causerebbe un deragliamento economico globale.

Molti esperti di geopolitica ritengono comunque che non solo la chiusura dello Stretto di Hormuz sia uno scenario poco probabile, ma che sia anche un’operazione complicata, se non impossibile, da attuare, a meno che le acque dello Stretto non vengano interamente minate.

LA CHIUSURA DELLO STRETTO DI HORMUZ NON È ANCORA MAI STATA ATTUATA

Nel corso degli anni, la minaccia è stata del resto brandita in diverse occasioni, ma finora il governo iraniano non ha mai osato metterla in atto, neanche tra il 1981 e il 1988, durante la guerra tra Iran e Iraq. Già nel 1984 gli Stati Uniti si erano detti pronti a studiare ogni strategia possibile pur di garantire il libero passaggio delle navi. Momenti di tensione si sono registrati anche in seguito, soprattutto nel 2019 e nel 2022, quando, in particolare in risposta alle sanzioni statunitensi, il regime di Teheran ha intensificato i controlli delle navi commerciali in transito nella regione, sequestrandone alcune e arrestando gli equipaggi, a volte per mesi. Neanche in quel caso lo Stretto fu chiuso.

Per cui, questo tipo di ritorsione – cioè un aumento dei controlli delle navi, consentendo ad alcuni Paesi, soprattutto del Sud, di transitare nelle acque dello Stretto e bloccando le superpetroliere provenienti da Paesi considerati nemici – resterebbe, per molti esperti, lo scenario più probabile. Un funzionario iraniano ha anche ipotizzato di colpire solo le navi statunitensi, britanniche, francesi e tedesche.

Per garantire il transito sicuro e la stabilità marittima nello Stretto, il governo statunitense aveva dato il via nel 2019 all’operazione Sentinel, a cui avevano aderito altri dieci Paesi, tra cui gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita, il Bahrein e il Regno Unito. Non è detto però che i Paesi del Golfo, che hanno reagito con estrema cautela alle recenti minacce di blocco avanzate da Teheran, sarebbero disposti anche questa volta ad aderire a un’iniziativa dello stesso tipo. Tutti questi Paesi hanno condannato gli attacchi israeliani e statunitensi. Tutti hanno chiesto di tornare al più presto al tavolo dei negoziati diplomatici.

La sicurezza del transito commerciale del petrolio e del GNL nella regione non si limita però allo Stretto di Hormuz.

IL RUOLO DEGLI HOUTHI

Dal 2023, gli Houthi dello Yemen attaccano regolarmente le navi occidentali di passaggio al largo del Golfo di Aden, al punto che alcune compagnie di navigazione, come CMA CGM, rifiutano ormai di utilizzare questa rotta, preferendo navigare intorno all’Africa. A marzo, Donald Trump ha ordinato diversi bombardamenti sui campi dei ribelli yemeniti e, dopo i raid statunitensi contro i siti nucleari iraniani, i ribelli hanno minacciato di riprendere gli attacchi alle navi occidentali nel Golfo di Aden. Nei giorni scorsi, considerando l’area troppo pericolosa, alcune navi cisterna hanno preferito fare marcia indietro. Dal canto loro, le compagnie di assicurazione stanno iniziando a rivedere le loro tariffe, applicando premi di rischio sempre più elevati per i carichi e le navi.

Anche se per il momento sembra accantonato, il rischio di una nuova crisi energetica, con un’interruzione degli approvvigionamenti, torna a preoccupare. Tra i primi a esprimere preoccupazione è stato il governo cinese, principale acquirente di petrolio iraniano. Il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino aveva subito esortato a mettere fine a un’escalation del conflitto tra Israele e Iran che avrebbe potuto “influenzare l’economia globale”.

I TIMORI DELL’EUROPA

L’Europa, pur non ammettendolo apertamente, sarebbe ancora più vulnerabile di fronte all’eventuale chiusura del transito commerciale nello Stretto di Hormuz. Imponendo le sanzioni economiche alla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina, l’Europa infatti si è tagliata fuori quasi completamente dalle forniture di petrolio e gas russo e, per compensare, ha cominciato ad acquistare petrolio e gas dagli Stati del Golfo, in particolare dal Qatar e dall’Arabia Saudita. La chiusura dello Stretto di Hormuz minaccerebbe quindi l’approvvigionamento da questi Paesi, causando un’impennata dei prezzi che potrebbe avere ripercussioni molto gravi in un momento delicato per le economie di diversi Stati europei.

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