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Riserve Petrolio

L’obiettivo delle major petrolifere: pareggiare i 30 dollari al barile

Le compagnie stanno prendendo di mira nuovi giacimenti che possono essere redditizi anche a 30 dollari al barile di petrolio, riflettendo la convinzione dei dirigenti che i prezzi elevati siano tutt’altro che garantiti

Il settore petrolifero e del gas statunitense e globale in questo momento sta beneficiando del terzo anno di prezzi dell’energia relativamente elevati. La domanda di petrolio mostra una traiettoria di crescita costante. Il greggio WTI è stato scambiato sopra i 70 dollari al barile per gran parte degli ultimi 12 mesi, ben al di sopra del prezzo medio di pareggio di 54 dollari al barile per i bacini di scisto statunitensi. Tuttavia, scrive Alex Kimani su Oilprice, le major petrolifere USA non permettono agli alti prezzi dell’energia di infondere loro un pieno senso di sicurezza, forti dei ricordi dello storico crollo dei prezzi del petrolio avvenuto nel 2020.

Le major ora stanno prendendo di mira nuovi giacimenti petroliferi che possono essere redditizi anche a 30 dollari al barile di petrolio, riflettendo la convinzione dei dirigenti che i prezzi elevati siano tutt’altro che garantiti. “Dopo tre gravi crolli del prezzo del petrolio in 15 anni, in molti ritengono probabile che avverrà di nuovo”, ha commentato Alex Beeker, direttore ricerca aziendale della società di consulenza energetica Wood Mackenzie.

PETROLIO, LE ATTIVITÀ DELLE MAJOR NEGLI STATI UNITI

Exxon Mobil Chevron e Occidental Petroleum hanno stretto accordi per un valore complessivo di 125 miliardi di dollari per acquisire società con giacimenti petroliferi a basso costo che possono essere redditizi a 25 e 30 dollari al barile. Lo scorso ottobre, Exxon ha acquisito la rivale dello shale Pioneer Natural Resources, in un’operazione interamente azionaria del valore di 64,5 miliardi di dollari incluso il debito. La fusione ha unito gli oltre 850.000 acri netti di Pioneer nel bacino del Midland con i 570.000 acri netti di ExxonMobil nei bacini del Delaware e del Midland, più che raddoppiando l’impronta del Bacino Permiano e la produzione di Exxon a 1,3 milioni di barili di petrolio equivalente al giorno (moebd). La ciliegina sulla torta? Dalle attività di Pioneer, Exxon si aspetta un costo di fornitura inferiore ai 35 dollari al barile.

All’incirca nello stesso periodo, Chevron annunciò l’acquisizione di Hess, in una transazione interamente azionaria del valore di 60 miliardi di dollari, debito incluso. Acquisendola, Chevron ottiene il controllo della partecipazione del 30% di Hess nel blocco Stabroek in Guyana, oltre a costi di pareggio molto competitivi, che vanno da 25 a 35 dollari al barile per tutti i progetti di produzione. Secondo Hess, lo sviluppo produrrà inizialmente 220.000 barili lordi di petrolio al giorno nella prima metà del 2024, per poi aumentare fino a 620.000 b/g.

PETROLIO, LE ULTIME OPERAZIONI DI ACQUISIZIONE

Lo scorso dicembre, Occidental Petroleum ha annunciato che acquisirà CrownRock, uno dei produttori privati di shale oil USA più ricercati, in un accordo in contanti e azioni del valore di 12 miliardi di dollari. A differenza delle compagnie petrolifere pubbliche – che hanno dovuto affrontare pressioni da Wall Street per dare priorità ai rendimenti degli azionisti – CrownRock negli ultimi anni ha aumentato la produzione a 170.000 b/g. Sebbene la transazione sia stata esaminata attentamente – perché sarà finanziata principalmente in contanti – si prevede che l’accordo, solo nel primo anno, genererà 1 miliardo di dollari di free cashflow.

Ultimamente, le major petrolifere hanno preferito finanziare operazioni M&A (Merge & Acquisition, fusione e acquisizione) utilizzando azioni anziché contanti, perché finanziare asset energetici greenfield, soprattutto nei mercati emergenti, è diventato un’impresa impegnativa a causa dell’aumento dei tassi di interesse. Con questi ultimi che, però, negli Stati Uniti ora sono in calo, potremmo iniziare a vedere il contante avere un ruolo più importante.

PETROLIO, LE ATTIVITÀ DELLE MAJOR IN EUROPA

Nel frattempo, in Europa Shell ed Equinor stanno perseguendo progetti con un pareggio di 25-30 dollari al barile, mentre la francese TotalEnergies ha fissato un obiettivo ancora più ambizioso di portare i costi di produzione sotto i 25 dollari. Questi bassi costi rappresentano circa la metà del livello di pareggio per i progetti petroliferi di appena dieci anni fa, e rappresentano circa il 40% dell’attuale benchmark globale del petrolio Brent. Queste compagnie petrolifere, però, scommettono che il miglioramento della produttività dei pozzi proseguirà.

MIGLIORARE L’EFFICIENZA NELL’ESTRAZIONE

Il miglioramento delle trivellazioni e l’efficienza dei costi hanno consentito alle compagnie petrolifere di ottenere profitti a prezzi del petrolio molto più bassi. Secondo J.P. Morgan, i costi di trivellazione e fracking dal 2014 negli Stati Uniti sono diminuiti del 36%, diminuendo significativamente i punti di pareggio per molti produttori. Ad esempio, JPM stima che EOG Resources oggi possa guadagnare tanto dal petrolio al prezzo di 42 dollari al barile quanto avrebbe guadagnato nel 2014 dal petrolio a 86 dollari al barile. ExxonMobil ora scommette che i produttori di shale possano persino raddoppiare la produzione di greggio dai loro pozzi esistenti, impiegando nuove tecnologie di fracking.

“Semplicemente, c’è molto petrolio rimasto nel terreno. Il fracking esiste da molto tempo, ma la sua scienza non è ben compresa”, ha affermato Darren Woods, amministratore delegato di Exxon. Woods ha aggiunto che Exxon sta cercando di migliorare la produttività e di ridurre i costi, effettuando un fracking più preciso lungo il pozzo, in modo che venga drenata una maggiore quantità di roccia imbevuta di petrolio e anche mantenendo aperte più a lungo le fessure del fracking, in modo da aumentare i flussi di petrolio.

I RISULTATI DI ENI

Intanto, per quanto concerne l’Italia, ieri Eni ha presentato i risultati aziendali del quarto trimestre 2023 e dell’intero anno. La produzione di petrolio nel quarto trimestre 2023 è stata di 781.000 b/g (769.000 b/g nell’anno 2023, +2% rispetto al 2022), in aumento dell’1% rispetto al quarto trimestre 2022. La crescita della produzione in Kazakistan e Costa d’Avorio è stata in parte compensata dal declino dei campi maturi.

Nel quarto trimestre 2023 il margine di raffinazione indicatore Eni (Standard Eni Refining margin) si è attestato in media a 8,1 dollari/barile, rispetto a 13,6 d/barile nel quarto trimestre 2022. Su base annua, i margini di raffinazione registrano un aumento (10,1 d/barile nei dodici mesi 2023 rispetto a 8,5 d/barile nei dodici mesi 2022) trainati principalmente dalla riduzione dei prezzi del gas naturale.

“Il 2023 – ha dichiarato l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi – è stato un altro anno di eccellenti risultati, nonostante uno scenario incerto e volatile: abbiamo conseguito ottimi risultati sia finanziari che operativi, progredendo nella nostra strategia di creazione di valore, di decarbonizzazione e di contestuale garanzia di stabilità e affidabilità delle forniture energetiche. Il nostro modello satellitare distintivo si conferma un’efficace leva nell’accelerazione della crescita di valore, contribuendo alla nostra performance in modo sostanziale”.

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