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L’Unione europea vuole sconfiggere il greenwashing. Ecco come

Un’indagine della Commissione europea – che ha analizzato 344 dichiarazioni ambientali – ha rivelato che il 42% di queste risultavano “esagerate, false o ingannevoli”, mentre il 37% conteneva “formulazioni vaghe e generiche”

Il greenwashing – ovvero il presentare come sostenibili aziende, enti e istituzioni che in realtà cercano di occultare il proprio impatto ambientale negativo ricorrendo a comunicazioni scorrette o ambigue – è una pratica molto diffusa. Secondo la Commissione europea oltre la metà delle dichiarazioni ambientali presenti sul mercato è infondata o ambigua.

E, con l’Unione europea che si sta muovendo per alleggerire alcuni obblighi verso le aziende e per rinviare l’entrata in vigore di alcune norme per una maggiore trasparenza ambientale, alcuni temono che contrastare il greenwashing diventerà ancora più difficile.

IL FENOMENO DEL GREENWASHING

“Prodotto ecologico”, “a emissioni zero” o “naturale”. Ecco alcuni esempi di affermazioni ambientali generiche che costituiscono delle pratiche commerciali sleali vietate in Europa. Questi tentativi di nascondere la realtà dietro un’immagine ecologica rientrano appunto nel concetto di “greenwashing”, termine coniato nel 1986 dall’ambientalista statunitense Jay Westerveld, che unì le due parole inglesi “green” (verde) e “washing” (lavaggio).

IL GREENWASHING IN ITALIA: IL CASO SHEIN

Il fenomeno del greenwashing riguarda anche l’Italia. Come verrà spiegato il prossimo 22 maggio ad Alba (Cuneo) nel documento “Greenwashing 2025”, all’interno dell’evento “Circonomìa – Festival dell’economia circolare” – un caso emblematico è quello del colosso cinese del fast fashion Shein, nei cui confronti l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avviato un’istruttoria.

Secondo l’AGCM, infatti, Shein avrebbe cercato di veicolare un’immagine di sostenibilità produttiva con “dichiarazioni ambientali generiche, vaghe, confuse e/o fuorvianti in tema di circolarità e di qualità dei prodotti e del loro consumo responsabile”. Nella fattispecie, la collezione dell’azienda “evoluSHEIN” non avrebbe informato i consumatori sul fatto che i capi non fossero riciclabili.

LE AZIONI DELL’UNIONE EUROPEA PER COMBATTERE IL GREENWASHING

Un’indagine della Commissione europea – che ha analizzato 344 dichiarazioni ambientali – ha rivelato che il 42% di queste risultavano “esagerate, false o ingannevoli”, mentre il 37% conteneva “formulazioni vaghe e generiche”. L’Ue ha quindi formulato una serie di norme per garantire ai cittadini la possibilità di prendere scelte più informate e rispettose dell’ambiente. Una delle più rilevanti è la “Direttiva sulla responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde”, che dovrà essere recepita dai Paesi membri  entro il 27 marzo 2026, a cui si è aggiunta la “Direttiva Green Claims”, che dovrebbe arrivare ad un testo definitivo entro fine anno.

I RISCHI DI UN RALLENTAMENTO DELLE NORME UE

Tuttavia, un cambiamento di approccio della stessa Ue potrebbe rallentare questi progressi normativi, con conseguenze rilevanti sulla vita dei consumatori. Lo scorso 26 febbraio Bruxelles ha presentato il “Pacchetto Omnibus”, una serie di proposte legislative per semplificare le norme e assistere le imprese – soprattutto le PMI – che non sempre riescono a seguire regolamenti spesso piuttosto complessi. Tra le altre cose, l’Ue punta “ad una riduzione di almeno il 25% degli oneri amministrativi e almeno il 35% per le PMI fino alla fine di questo mandato”.

Inoltre, il Parlamento e il Consiglio Ue hanno avviato il cosiddetto meccanismo “stop the clock”, che prevede il rinvio dell’entrata in vigore di alcune normative: se da una parte il meccanismo vuole alleggerire le imprese dagli obblighi burocratici, dall’altra rischia di svuotare di efficacia le normative europee contro il greenwashing.

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