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Gas

È il Mediterraneo orientale il nuovo Eldorado del gas

Dopo la scoperta di Zohr in Egitto e di Leviathan in Israele, anche Cipro, Libano e Turchia sono pronti a correre la corsa ad accaparrarsi nuovi giacimenti di gas nelle acque mediterranee. Ma non tutti con la stessa fortuna

Quando il mese scorso il gas è cominciato a fuoriuscire dal giacimento di Zohr, è iniziata una nuova era di indipendenza energetica per l’Egitto ma anche per il Mediterraneo orientale. Claudio Descalzi, l’amministratore delegato di Eni alla guida del progetto egiziano da 12 miliardi di dollari, ha dichiarato infatti che Zohr “trasformerà completamente il paesaggio energetico egiziano, permettendogli di diventare autosufficiente e di trasformarsi da importatore in futuro esportatore di gas”.

Il Mediterraneo orientale è la nuova frontiera degli idrocarburi

Se Zohr rappresenta la più grande scoperta di idrocarburi nel Mediterraneo, la caccia ad altre riserve non è finita: Israele e Cipro intravedono un analogo potenziale nelle loro acque e anche il Libano si sta aprendo alle esplorazioni. La prospettiva di nuove fonti di gas alle porte dell’Europa appare strategicamente interessante visto che le riserve del Mare del Nord sono in declino e la dipendenza dalle forniture russe crea più di qualche dubbio. Nonostante ciò, però, lo sviluppo delle risorse del Mediterraneo orientale è tutt’altro che semplice a causa del mix di rischi politici e rivalità che coinvolgono i paesi interessati. Lo sfruttamento delle riserve potrebbe generare nuove tensioni o rinfocolare vecchie controversie. Al di là degli aspetti politici, anche l’aspetto strettamente economico non è da trascurare: i mercati sono inondanti di gas a basso costo proveniente da Russia, Stati Uniti e altri paesi. Lo sviluppo di Zohr ha avuto un senso grazie alla domanda interna, ma Israele e Cipro, ad esempio, sarebbero orientati quasi completamente sulle esportazioni.

Situazione geopolitica e difficoltà di esportazione i principali problemi

Nonostante queste difficoltà, si stanno facendo molti progressi sul fronte delle esplorazioni del Mediterraneo orientale. Una nave noleggiata da Eni e Total è arrivata a sud di Cipro il mese scorso per ispezionare le acque ad ovest del campo Afrodite, scoperto nel 2011. I lavori sono iniziati l’anno scorso per sviluppare il tanto atteso giacimento israeliano di Leviathan in un progetto da 3,75 miliardi di dollari guidato dall’americana Noble Energy mentre quest’anno si dovrebbe progredire nei vicini giacimenti Karish e Tanin controllati dalla greca Energean. Trovare e produrre gas è però solo metà della sfida. Altrettanto difficile è stabilire le vie di esportazione per raggiungere i mercati internazionali. Il primo segnale è arrivato dal gasdotto proposto da Israele che attraversando Cipro e Grecia approderebbe in Italia: 2000 km di lunghezza e fino a 3 km di profondità per un’opera che dovrebbe essere completata entro il 2025. Anche se molti esperti dubitano sulla fattibilità di una infrastruttura che risulta troppo complessa da realizzare. Un’opzione meno costosa sarebbe quella di attraversare la Turchia. Ma in questo caso le ostilità arabo-israeliane escludono il percorso attraverso le acque libanesi e siriane. Un’altra rotta alternativa passerebbe vicino Cipro ma anch’essa non rappresenterebbe una facile opzione visti i rapporti tesi tra Nicosia e Ankara. Per il momento la Turchia ha condannato le ultime prospezioni a Cipro e gli analisti si interrogano sul fatto se le aziende impegneranno o meno risorse in una situazione così complessa. Afrodite, per esempio, a sei anni dalla scoperta, non è stata ancora sviluppato appieno. Israele e Cipro potrebbero, quindi, dirottare in futuro le loro risorse nei terminali Gnl egiziani trasformando il paese in un hub del gas, come ha sottolineato, tra l’altro, una relazione al Parlamento europeo dello scorso anno.

La situazione di Israele gasd

Prima che venissero scoperte riserve di idrocarburi di fronte alle coste israeliane, il paese era pressoché totalmente dipendente dall’estero sotto il profilo energetico. Adesso, invece, non solo è in grado di soddisfare le proprie esigenze ma anche di esportare. La vera domanda, nel caso di Israele, è però la situazione geopolitica in cui si trova e se la realpolitik basata sugli idrocarburi sia in grado di superare le pluridecennali tensioni dell’area. “Il potere dell’energia di influenzare la politica, che era una forza potente negli anni Settanta, è oggi molto più debole, nel bene e nel male – ha detto Eyal Winter professore di economia politica e Medio Oriente dell’Università ebraica di Gerusalemme a Xinhua -. Nonostante la recente scoperta di gas, Israele non sarà in grado di cambiare la politica nei confronti di Israele nel mondo arabo e altrove”. Il cambiamento di rotta dopo la scoperta del gas nel 2009 è però innegabile. Secondo il ministero dell’Energia israeliano, esistono riserve sufficienti per consentire l’esportazione di 7 miliardi di metri cubi di gas all’anno, conservando una quantità sufficiente a soddisfare il proprio fabbisogno per i decenni a venire. Un piccolo esempio di cooperazione che potrebbe aprire spiragli per il futuro è stato proprio quello tra Noble Energy e la società statale giordana Nepco che insieme hanno condotto le esplorazioni e la messa in produzione del giacimento al largo delle coste israeliane. Secondo un articolo pubblicato da Oded Eran, ex ambasciatore israeliano in Giordania e ricercatore senior presso l’Istituto per gli studi sulla sicurezza nazionale dell’Università di Tel Aviv, l’accordo dimostra “che le parti possono raggiungere intese e forse accordi completi in molti settori, e questi possono creare un ambiente positivo, anche se non sostituiscono accordi politici”. Discorso analogo anche per Amir Foster, responsabile strategia e ricerca presso l’Associazione israeliana delle industrie di esplorazione petrolifera e del gas, secondo il quale, una volta conclusi gli accordi e realizzate le pipeline, le turbolenze politiche non avranno un effetto negativo. “Sono molto più durevoli di quanto pensiamo – ha detto Foster a Xinhua -. L’energia è uno stabilizzatore. Gli ostacoli politici sussistono fino a quando non vi sarà un vero e proprio gasdotto, un accordo reale. Una volta che tutto questo sarà avvenuto e tutti i soldi saranno stati investiti, non si chiuderà un tubo a causa di incidenti diplomatici”. In effetti , il petrolio che Israele esporta soprattutto dalle ex Nazioni sovietiche in oleodotti che passano attraverso la Turchia, continuava ad arrivare nonostante il grave deterioramento delle relazioni tra Israele e Turchia.

La posizione di Winter è invece diversa: “Se il paese che importa da Israele ha una fonte alternativa, un deterioramento della situazione politica porterà il paese all’alternativa”. La dipendenza cioè sarebbe la chiave. Secondo Winter, infatti, i progressi tecnologici degli ultimi anni nel campo delle esplorazioni porteranno molto probabilmente a trovare altro gas naturale nel Mediterraneo, non necessariamente nelle acque territoriali israeliane. Ciò significa che Israele sta attualmente godendo di uno slancio che potrebbe essere breve. Per questo l’accordo con Cipro, Grecia e Italia sulla posa del gasdotto sottomarino per esportare in Europa potrebbe condurre il paese a raggiungere mercati amici e più stabili, mitigando il problema.

La Turchia nuovo player del Mediterraneo

Uno dei principali antagonisti di Israele nel Mediterraneo potrebbe diventare la stessa Turchia. In una recente intervista a Milano Finanza, il ministro delle Finanze, dell’Energia e delle Risorse Naturali Berat Albayrak ha sottolineato che il paese continuerà le sue operazioni di esplorazione e perforazione nel Mediterraneo e nel Mar Nero. Albayrak ha ammesso che il settore energetico turco è in una fase di grande transizione che include cambiamenti fondamentali nella struttura del mercato e nel modello di business attraverso il decentramento e la digitalizzazione. Ma anche che è caratterizzato da una rapida crescita della domanda e dalla dipendenza dalle importazioni. Per ridurre tale dipendenza e soddisfare le crescenti esigenze del mercato, il governo turco ha sviluppato una strategia nazionale basata su tre pilastri: localizzazione, sicurezza dell’approvvigionamento e prevedibilità delle condizioni di mercato, con particolare attenzione ai progetti infrastrutturali regionali. “Negli ultimi 15 anni la capacità installata della Turchia è quasi triplicata, raggiungendo 81.000 megawatt (MW), pur mantenendo una crescita economica media del 5% negli ultimi sette anni”, ha scritto il ministro. La strategia turca include rinnovabili, carbone pulito, nucleare e soprattutto sicurezza di approvvigionamento e diversificazione del consumo di gas naturale. “La capacità di stoccaggio del gas in Turchia è salita a 4 miliardi di metri cubi con l’introduzione dell’impianto di stoccaggio sotterraneo di Lake Tuz – si legge nell’articolo -. Entro il 2023, il paese mira ad aumentare la capacità di stoccaggio a 11 miliardi di metri cubi”. Grazie anche al supporto di unità galleggianti di rigassificazione. “Abbiamo sempre cercato di mantenere l’allineamento tecnico e normativo con l’Unione Europea e di aumentare la nostra integrazione con i mercati energetici dell’Ue attraverso la costruzione di più interconnessioni e la promozione di progetti per la diversificazione regionale e la sicurezza dell’approvvigionamento, come il Trans Anatolian Pipeline Project (Tanap) e l’oleodotto Baku-Tblisi-Ceyhan”, ha spiegato Albayrak. Per quanto riguarda il Tanap, che porterà il gas azero in Turchia e nei mercati europei, l’80% della sua costruzione è stata completata prima del previsto. Una volta terminati i lavori su Tanap, Tap e TurkStream e altre potenziali iniziative future, la sicurezza degli approvvigionamenti in molti paesi europei sarà “pienamente garantita”, ha ottolineato il ministro turco, che ha aggiunto: “Abbiamo iniziato a concentrarci sugli studi di prospezione petrolifera e del gas. Sono già in corso esami approfonditi per effettuare indagini sismiche nel Mediterraneo e intendiamo fare lo stesso per la regione del Mar Nero nel prossimo periodo. Queste operazioni seguiranno ulteriori attività di esplorazione e perforazione, che riveleranno il potenziale di entrambi i mari e contribuiranno alla sicurezza dell’approvvigionamento in Turchia e nella nostra regione”, ha concluso Albayrak.

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